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 2024  aprile 14 Domenica calendario

La vera storia degli 883

Mauro Repetto, l’altra metà degli 883, si definisce «uno che ha sognato, un visionario». E in effetti ci vuole il suo modo di aggredire la vita con un pizzico (o due) di follia, quello che l’ha portato a mollare tutto all’apice del successo, ma anche per lanciarsi nell’impresa che prende il via a fine mese: un one man show dove lui parla, canta, balla, coadiuvato dall’Intelligenza Artificiale. Alla ricerca dell’Uomo Ragno debutta il 28 aprile a Bergamo e, dopo una tranche primaverile, torna in scena in autunno per portare a teatro «la vera storia degli 883».
Parafrasandovi, «Come mai»?
«Stefano Salvati e Maurizio Colombi, due amici, mi hanno proposto questa avventura. L’epopea degli 883 è spostata nel Medioevo, diventiamo menestrelli che cercano di far arrivare le canzoni al conte Claudio Cecchetto».
Canterà i brani degli 883?
«Canterò tutte le canzoni più famose, fra cui una piccola chicca: la versione di “Finalmente tu” in inglese, come era nata in origine».
L’Intelligenza Artificiale come entra in gioco?
«Tre schermi mi permetteranno di dialogare con me e Max da giovani. L’Uomo Ragno sarà una specie di Beatrice per Dante che però elencherà anche tutti i miei difetti, con molta autoironia».
Anche sui suoi celebri balletti?
«All’epoca degli 883 eravamo due ragazzi né carne né pesce. Io ero contentissimo di ballare, ma eravamo proprio impreparati alla scena, copiavo da Janet Jackson e certo, mi prendevano in giro. Non cantavo perché Max mi pareva Frank Sinatra ed era evidente dovesse farlo lui. Adesso c’è stata un’evoluzione: ho imparato a suonare la chitarra e canto».
Pezzali cosa ha detto dello spettacolo?
«Abbiamo la fortuna di essere sempre stati amici e mai colleghi. Quando gliene ho parlato mi ha detto “grande”, per lui è una figata come se gli dicessi che vado in vacanza. Gli ho detto che lo inviterò e che rideremo insieme di brutto. Fra noi ci sarà sempre questa dimensione da bar e infatti appena tutto era diventato lavoro, quasi ci parlavamo di meno».
Quando ha mollato gli 883, Max non le ha detto nulla.
Nello spettacolo l’epopea del duo è spostata nel Medioevo, diventiamo menestrelli che cercano di far arrivare le canzoni
al conte Cecchetto
«Io e lui siamo cresciuti insieme e questo vale più del resto. Lui quella volta ha capito in 10 secondi, sapeva benissimo che non andavo via dagli 883, ma che avevo bisogno di un altro sogno. Max, con il suo humor surrealista, è la persona più divertente che abbia mai conosciuto, nonché il più grande amico della mia vita».
Chiamavate Radio Deejay ogni giorno per farvi conoscere.
«Avevo “estorto” il numero del telefono della radio a Linus. Così, ogni pomeriggio, la prima cosa da fare era chiamare. Rispondevano veramente, a volte ci passavano Jovanotti, e chiamare a Milano ci esaltava, non era per impuntarsi».
Claudio Cecchetto poi vi diede fiducia.
«Lui è stato veramente l’unico che ha creduto in noi. Quando ci ha chiamati per Castrocaro, abbiamo fatto cose assurde, tipo ingoiare una sigaretta accesa che stavamo fumando prima che ci ricevesse. Una volta a pranzo a casa sua, avevamo una tale riverenza che non avevamo il coraggio di chiedergli di andare in bagno. Poi siamo corsi in strada a fare pipì contro un muro».
Lei oggi vive a Parigi: lavora ancora a Disneyland?
«Certo, organizzo eventi. Ho iniziato come cowboy e non avevo bisogno di lavorare visti i diritti d’autore, così come non ne ho bisogno adesso, ma mia madre mi aveva convinto. Sono nate tante leggende su di me, ma quando sono andato a Parigi godevo del ricominciare da zero e non ho mai avuto un momento duro».
Come si spiega la nostalgia degli anni 90?
«All’epoca eravamo tutti più ingenui e avevamo voglia di sognare e innamorarci dei nostri idoli. Oggi forse di idoli ce ne sono di meno, è tutto più uniforme».
Lei e Max scriverete mai nuova musica insieme?
«Se, per un caso fortuito, dopo qualche cavolata venisse fuori una canzone come all’epoca, sarebbe l’unica eventualità. Ma mai ci cercheremo per fare qualcosa da colleghi».
Lavoro ancora a Disneyland Paris: oggi organizzo eventi, ho iniziato come cowboy e non avevo bisogno di lavorare visti i diritti d’autore
In questi anni che proposte ha avuto?
«Mi cercavano per fare film o libri su di me perché ero una specie di Loch Ness. Ma io sono sempre stato fuori dal mondo, non ho mai risposto. Tranne a Max o a Cecchetto».