Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  aprile 14 Domenica calendario

Chi ha ordinato l’attacco


Nessuno, nemmeno gli osservatori interni, si aspettava un’azione diretta. Quasi ci scherzavano su: «Il bullo, il regime, fa la voce grossa, ma raramente agisce per davvero». E invece no. Questa volta è successo. Niente guerra per procura, né tweet infuocati lanciati a vuoto. L’ayatollah Khamenei ha dato il via libera per una serie di attacchi con droni partiti dal suolo iraniano verso Israele. La vendetta del regime per il bombardamento israeliano sull’ambasciata di Damasco è in atto. Khamenei si vendica fuori, ma lo fa anche dentro aumentando, nello stesso giorno, il livello di repressione interna per neutralizzare la dissidenza. Il leader supremo sa di non avere il supporto del suo popolo: nelle ultime elezioni solo il 40% dei cittadini è andato a votare, ma per gli oppositori i numeri sono molto più bassi.
Da qualche giorno, c’è un sondaggio che gira su X e che chiede agli iraniani se sono favorevoli alla guerra con Israele. Il risultato è un paradosso: più del 50% ha risposto con un «sì». «Non perché ci piacciano le bombe», spiega M., professore di Teheran, «ma perché un attacco esterno potrebbe determinare la fine della dittatura». Ma ieri, i messaggi da Teheran erano di panico: «Khamenei ci ha portato in guerra», ci hanno scritto.
Ali Khamenei, 84 anni, è il pilastro fondamentale su cui si regge tutto il potere e il terrore della Repubblica islamica. Uomo chiave nella Rivoluzione del 1979 e consigliere dell’ayatollah Khomeini, nel 1981 è diventato presidente dell’Iran e nel 1989 la Guida suprema. Tutto passa attraverso di lui e a lui spetta sempre l’ultima parola. Come ogni dittatore, non si fida di nessuno tranne che del secondogenito Mojtaba che non ha ruoli ufficiali ma è tra gli uomini più ascoltati dall’ayatollah e suo probabile successore. Un altro che sembra correre – ma senza grandi speranze – per il ruolo di futuro leader è il presidente Ebrahim Raisi, conosciuto per gli spietati metodi repressivi e per essere il «fantoccio di Khamenei». Sotto l’ayatollah c’è il Supremo Consiglio per la Sicurezza nazionale, che decide in materia di sicurezza militare e politica estera. Il segretario è Ali Akbar Ahmadian, un ex pasdaran. Del consiglio fanno parte i vertici della Repubblica islamica che elaborano piani per le grandi questioni: dalle proteste al nucleare fino a se attaccare o meno Israele. L’ultima parola resta quella di Khamenei.
Il secondo pilastro della teocrazia si trova nelle componenti della sicurezza affidate a uomini di grande esperienza. Hossen Salaimi è al vertice dei guardiani, il corpo che si identifica con il «sangue della rivoluzione», braccio e scudo. Nato nel 1960, ha interrotto gli studi in ingegneria per partecipare al conflitto con l’Iraq e ha poi assunto incarichi di responsabilità. È considerato un «falco», noto per le sortite piene di retorica, determinato nello sfidare gli avversari interni ed esterni. A un gradino inferiore, Esmail Qaani, comandante della Qods, la «divisione» che assiste le milizie alleate in Medio Oriente, gestisce passaggi di armi, e colpisce anche in modo clandestino. Una macchina efficace fondata dal generale Qasem Soleimani, ucciso in Iraq nel 2020 dagli americani, sostituito proprio da Qaani. Un passaggio di testimone che secondo alcuni ha avuto conseguenze negative anche se, alla luce di quanto avvenuto in questi quattro anni, non si direbbe. La presenza dei militanti è cresciuta ovunque, Teheran gioca le sue carte dal Libano alla Siria e attraverso gli Houthi ha dimostrato di poter mettere in crisi il traffico marittimo in Mar Rosso. Ha perso dirigenti abili, come i tre ufficiali eliminati da Israele a Damasco, però la catena gerarchica ha resistito dimostrando solidità, capacità, volume di fuoco. Nella scacchiera khomeinista è rilevante il ruolo delle intelligence. Al plurale. Mohammad Kazemi, molto influente e vicino a Khamenei, dirige dal 2022 quella dei pasdaran. Non di rado i suoi agenti sono in concorrenza con i «colleghi» del servizio segreto diretto da Esmail Katib, membro del clero sciita. L’insieme degli apparati, però, ha lasciato a volte dei varchi sfruttati dagli israeliani e dagli oppositori. I sabotaggi a siti strategici, la mancata protezione agli scienziati, alcuni errori evidenti hanno rivelato debolezze imputate a diversi fattori. Gravi, se la Repubblica islamica vuole essere protagonista nell’intera regione.