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 2024  aprile 14 Domenica calendario

Intervista a Moira Mazzantini

Quante telefonate al giorno?
Tante, tantissime.
Messaggi.
Un continuo.
Si “perde” mai?
Qualche volta.
Sceneggiature lette.
Circa dieci a settimana.
Su 39 anni di professione siamo oltre le ventimila…
Lo so, il numero è alto.
Quanto ci mette a decidere se è interessante?
Un attimo. Perché se il soggetto è interessante viene fuori immediatamente; con una piccola variabile.
Quale?
Se il soggetto arriva da un autore importante, e non ne capisco subito il peso, approfondisco; (pausa) per mia natura sono tranchant, ma siccome lo so, cerco di applicarmi.
Quanti errori commessi?
Tanti!
Rimpianti?
Qualcuno. Ma non dirò mai quali; tanto evito i nomi.
A prescindere.
Se cito qualcuno, ci può restare male qualcun altro e domandarsi “perché lui sì e io no”. Per me i miei clienti sono come figli.
Quanti sono?
Veramente tanti.
(Moira Mazzantini è la più importante agente del cinema italiano. Il suo parterre di clienti sembra una formazione di calcio costruita alla playstation: solo big. Amata, temuta, rispettata, un suo sguardo, un cenno di assenso, un silenzio integrano significato e significante. Per molti, ma lei nega, la versione italiana della serie tv Call My Agent, in onda su Sky, è in parte ispirata a lei).
Si occupa del privato?
Il rapporto è molto intimo, molto profondo ma molto professionale. Mi concentro sulla sfera lavorativa…
Però.
Sono artisti e la sfera lavorativa è la loro vita: quando tornano a casa il lavoro non resta sull’uscio; (pausa) sono pochi i clienti con cui vado a cena, nel caso c’è sempre un’occasione professionale.
Mai da amici.
Sono più di un amico, perché mi rendo conto di quanto conti la carriera.
È nelle sue mani.
Ed è una grande responsabilità. La sento addosso. Se serve ci sono sempre.
Se ne approfittano?
No, sono attenti, rispettosi, poi non seguo i giovanissimi, e hanno quasi tutti una famiglia: nel weekend cercano la pace.
Giampiero Boniperti, ai tempi della Juventus, preferiva i giocatori sposati.
È meglio.
I suoi clienti sono spesso “borghesi”.
Ma non hanno un’estrazione borghese, vengono quasi tutti dal basso.
Non esistono più i dannati alla Bucci o Fantastichini.
Erano eccezioni anche all’epoca; questo è un mestiere con necessità fondamentali.
La prima?
Una salute eccezionale, soprattutto per il regista; (sorride) spesso si ammalano durante l’ultimo giorno di riprese o dopo l’ultimo ciak.
Calo di tensione.
Magari lavorano in condizioni difficili, in luoghi complicati; non vado mai sul set quando girano di notte: troppa fatica, umido, è complicato.
Da dove arriva?
Dalla campagna, con padre scrittore e madre pittrice; avere genitori artisti mi ha permesso di comprendere meglio le fragilità di chi crea.
Come ha iniziato?
Laureata in Lettere e Filosofia con una tesi sul jazz ed ero senza lavoro; mia sorella Margaret era primattrice al teatro Stabile di Genova. È stata lei a indicarmi la strada: “Per me puoi fare l’agente”.
Come mai l’intuizione?
Secondo lei amavo organizzare ed ero brava; dai diciotto anni in poi ho sempre lavorato per pagarmi gli studi e gli svaghi, a quel tempo non si chiedevano i soldi a casa. Poi cantavo jazz.
Le piaceva esibirsi?
Sì, ma quando ho iniziato con il mestiere dell’agente ho capito che amo più stare dietro le quinte e apprezzo gli attori per il loro coraggio di esporsi nonostante le loro fragilità; ci sono artisti che seguo da tantissimi anni, e sono persone eccezionali; (ci pensa) ho pure qualche cavallo pazzo.
Nome.
(Sorride) Marco Giallini.
Anni fa lo ha definito un tenerone.
Sono vere entrambe le risposte.
Spieghiamo il cavallo pazzo.
Se gli gira non risponde al cellulare, sparisce, poi se lo trovo e m’incavolo lui mi replica semplicemente “non me va”.
Perfetto.
Ha presente Rocco Schiavone? Lui è Rocco Schiavone: qui c’è un’identificazione totale con il personaggio.
E torniamo ai Bucci e ai Fantastichini: non ha risposto sul perché non ci sono più.
Per fortuna.
Insomma…
Era una sofferenza pure per loro; genio e sregolatezza non vanno più di moda.
Vince lo stile americano.
Gli sto molto dietro.
Come?
Ai primi guadagni consiglio loro di comprare una casa. Questo è un lavoro da precari, meglio consolidare.
Non è da precari per tutti.
Artisti come Mastandrea, Accorsi, Favino, Santamaria, Giallini, Smutniak o Puccini servono al cinema; Ozpetek lavorerà sempre, come Sollima o Archibugi.
È una donna di potere?
No.
Un po’.
(Chiude le braccia a riccio, le esce un’espressione strana, non da mandare a quel paese, comunque non soddisfatta) Magari lo pensano gli altri.
Molti altri.
Il potere non lo esercito mai; forse è per il mio carattere, la mia voce, la mia altezza, ma uso tutto per i clienti.
In Call My Agent ha contribuito a scrivere l’episodio in cui Favino non riesce a uscire dal personaggio del Che.
All’inizio pensavamo a Craxi, poi ci era sembrato irrispettoso per Amelio e Craxi stesso (Favino è stato protagonista di Hammametndr); l’idea del Che ha coinvolto tutta la famiglia.
Compresa la moglie, Anna Ferzetti…
È bravissima.
Sottovalutata perché moglie di Favino?
È pieno di attori bravi che non arrivano da nessuna parte: contano pure la fortuna, le occasioni. Ma ha talento, altrimenti non potrei lavorarci.
Subisce sollecitazioni per prendere attori e registi?
Se non sono convinta, rifiuto.
Gli attori spesso vanno dallo psicanalista.
Dei miei pochissimi; (conta con le dita) Zingaro no (Zingaretti), Picchio neanche (Favino), Valerio no (Mastandrea, subito cambia idea) no, Valerio ci è andato. Giallo figurati (Giallini), ha detto: “Che je vado a insegna’ quarcosa!?”. Accorsi, no.
Basta lei a tenerli.
Qualcuno ogni tanto mi rivela: “Vado dal mago”. E m’incazzo.
Non va bene.
Magari dicono: “Mi ha letto le carte e sostiene che…” lì sono secca: “Allora fatte rappresenta’ dal mago”.
È alla Fellini…
La mie opinioni non possono entrare in competizione con l’astrologo.
Secondo molti artisti i momenti di bassa psicologica sono i migliori per stimolare la creatività.
Non credo, anzi sono fasi faticose; sono già fragili nei momenti alti, con un forte logorio interiore, il dubbio sul prossimo futuro.
È un po’ psicologa.
Non lo so.
Interviene psicologicamente.
Sì, certo, sono un agente e l’agente deve sostenere il cliente.
Call My Agent come lo giudica?
È tutto un po’ esagerato, rispecchia più la realtà parigina (l’originale è francese, ndr), però è una fiction e va bene.
Ha aiutato la scrittura pure della puntata con Accorsi, dipinto come stacanovista.
È sempre in treno, viaggia da Nord a Sud e viceversa, non lascia nulla, non si dimentica nulla e ha idee geniali.
Stefania Sandrelli la ringrazia sempre per averla aiutata a sfuggire a Miranda di Brass.
(Stupita) Ero giovane e improvvisavo; in realtà ero onorata di avere davanti una come la Sandrelli che cercava il mio consiglio; allora vidi la Chiave, poi lessi la sceneggiatura di Miranda ed era chiara l’intenzione di girare un soft-porno.
Sempre la Sandrelli ricorda: “Moira lesse la sceneggiatura e mi disse: ‘Ci sono tre pompini, due sodomie…’”
Le consigliai di evitare o almeno di prendere una montagna di soldi.
Chiese 600 milioni.
No, un miliardo; Stefania è una grande donna, è eccezionale per dolcezza e considerazione degli altri; amore per il lavoro. Per Prosciutto prosciutto di Bigas Luna le dissi: “Conoscilo e t’innamorerai di lui e vorrai girare il film”. Dopo mezz’ora non c’era più: era scattato l’idillio; stessa cosa con Muccino e L’ultimo bacio: “Stefania, ti porto un regista anche se, quando parla, non si capisce niente. Però è un genio…”.
Muccino già parlava velocemente?
Peggio di oggi.
Da attore è divertente.
È autoironico.
Ci sono gelosie interne tra attori?
(Sorride) Capita, ma non le alimento.
Come?
Do a ognuno il suo spazio, se sono in difficoltà trovo una scusa, vado sul set, e gli dedico tutta la mia attenzione, senza parlare di nessun altro.
I David quanto contano?
Tutti vogliono andarci.
Gli artisti quanto soffrono?
(Sul viso un concentrato di pensieri) Tanto; dopo le nomination chiamo chi non è entrato nella cinquina. E sono tanti.
Chissà dopo la premiazione.
Eh…
Non si diverte.
Per niente.
Altre chiamate?
La regola è: le buone notizie le può dare chiunque dell’ufficio, quello brutte solo io.
Sabina Impacciatore racconta che è stata lei a dirle di non non aver ottenuto il personaggio d’Italia in Non ti muovere.
Me lo ricordo.
È stata dura.
Piangeva; beh, Penelope (Cruz, ndr) ci ha vinto il David.
Secondo sua sorella Margaret siete talmente tanti in famiglia da risultare una banda.
È vero. Ho un’ammirazione infinita per Margaret, credo sia la scrittrice che mancava all’Italia e ogni volta che leggo un suo romanzo scoppio in lacrime; Sergio (Castellitto, ndr) ha girato capolavori e Pietro (Castellitto) è un genio di una simpatia assoluta: è il distillato del padre e della madre, ha il meglio di loro.
(Entra un collaboratore: “Tommy, vattene! Lui non mi fa niente”. Il “lui” è chi scrive).
Per Francesco Bruni c’è una distanza enorme tra l’immagine patinata dell’attore o regista ai festival e la sua vita reale…
La maggior parte degli attori non sa come sopravvivere; oggi qualcosa sta migliorando grazie alle varie associazioni.
I festival le piacciono?
Tanto, compro pure i pass per tutti dell’ufficio; le feste due o tre, all’inizio, poi non reggo.
Si fa fotografare?
Non me ne frega nulla.
Un autografo?
Ma va, va…
Un selfie.
Io sto sempre dietro.
Lei chi è?
Un agente; (cambia espressione) sono pure la figlia dei miei genitori, la sorella delle mie sorelle, l’agente dei miei clienti. Sono maturata e cresciuta grazie a tutti loro.