2 marzo 2024
Tags : Lorenzo Musetti
Biografia di Lorenzo Musetti
Lorenzo Musetti, nato a Carrara il 2 marzo 2002 (22 anni). Tennista. In squadra con Jannik Sinner, Matteo Arnaldi e Simone Bolelli ha conquistato la Coppa Davis 2023. Vincitore di un titolo Atp 500, ad Amburgo nel 2022, e di un titolo 250, a Napoli, sempre nel 2022. Miglior risultato in un torneo dello slam: ottavi di finale al Roland Garros (2021 e 2023). «Gioco il rovescio a una mano da quando avevo 9 anni: piaceva a mio padre e mi è venuto spontaneo».
Vita «Sua madre impiegata, suo padre marmista a Carrara: perché il tennis? “Mio padre ha una grande passione, è stato il primo a mettermi una racchetta in mano, nello scantinato di nonna. Ho iniziato palleggiando con lui e contro il muro. Poi sono passato ai corsi e si è capito subito che ero bravino, ogni mese salivo di livello, alla fine mi sono trovato con quelli di 4-5 anni più grandi”. Il primo match visto in tv? “La finale di Montecarlo Federer-Wawrinka. Quando ci ho giocato contro a Roma ripensarci mi ha fatto effetto”» (a Stefano Semeraro) • «Nella nuova generazione del tennis italiano, è il ragazzo a cui gli dei del tennis hanno assegnato più talenti, così tanti che per mettere ordine in quella moltitudine di scintille scoppiettanti è servito tempo, come a un supereroe terrestre che debba imparare a gestire i suoi poteri: “Ho così tante soluzioni nel braccio che spesso vado in confusione e mi confondo... Matteo e Jannik ne hanno tre o quattro che fanno davvero molto male e non sbagliano mai” spiegava al Corriere Lorenzo (“Per gli amici Lore, mai Lollo, guai, è tremendo, nessuno mi chiama così; a volte Muso, più spesso Muse”) all’inizio di questo viaggio meraviglioso che l’ha portato, a 20 anni, dopo aver battuto il temibile Carlos Alcaraz (n.4 del mondo) nella finale di Amburgo, sulla soglia dei top 30 del ranking, terza forza made in Italy di un tennis terremotato dagli italian boys. Figlio di una terra di confine, toscano di Carrara e pregiato come il marmo delle cave dove lavora papà Francesco (“Mio padre me l’ha sempre detto: fare l’operaio non è un mestiere per tutti. Studiavo: mi piaceva, ero bravino. Avrei fatto l’Università però il tennis mi è sempre riuscito facile”), ma ancorato a La Spezia dove ha imparato a giocare con il maestro giusto (“Simone Tartarini: ci siamo capiti da subito, c’è un rapporto stupendo. È stato baby sitter in fase di crescita, educatore, secondo padre... Mi sento in debito con lui”) […] La dedica a nonna Maria, in perfetta tradizione italica. “Nel suo scantinato, a Carrara, è cominciato tutto. C’era uno spazio ampio, dove non correvo il rischio di fare danni con la pallina. Il mio primo maestro è stato il muro di nonna Maria, che di fronte alla dedica si è commossa. Ho perso il conto delle ore che ho passato là sotto con la racchetta e il mio babbo”. Babbo a cui si deve, prima ancora che a Tartarini, l’eccellenza di un rovescio monomane. “Gioco il rovescio a una mano da quando avevo 9 anni: piaceva a mio padre e mi è venuto spontaneo. Simone piuttosto ha cercato di svecchiarmi: quando ci siamo incontrati facevo troppe azioni in back, troppe smorzate. Mi ha incanalato verso un tennis più moderno. Come dice lui: Lore, prima viene la torta, poi la ciliegina!”. La sua geografia degli affetti? “Sono figlio unico. Nel mio cuore ci sono la famiglia, papà Francesco, mamma Sabrina, nonna, Simone e gli amici d’infanzia: siamo sei, tutti carrarini, ci siamo soprannominati “l’allegra combriccola”. Loro studiano, vanno all’Università, uno sta per partire per gli Usa. È il gruppo storico: sono i miei primi tifosi”. Se invece dovesse raccontarsi per oggetti? “Avevo 16 anni, in casa di nonna ho trovato un vecchio anello che apparteneva a mio zio. L’ho provato, mi è piaciuto. L’ho fatto pulire e stringere: da quel momento non l’ho più tolto. La storia della catenina che ho al collo è simile: come pendenti ha un crocefisso e un peperoncino, i miei portafortuna. Regalo di nonna”. C’è anche un nonno-chiave. Renzo. “Per anni, in pensione, mi ha fatto da tassista tra Carrara e La Spezia. Secondo lui non giocavo mai bene abbastanza. Mi arrabbiavo ma ora mi rendo conto che mi ha dato una motivazione in più per migliorarmi. È morto mentre ero a un torneo under 12 in Francia: sulla tomba ha voluto un sigaro toscano, la sua passione”. Non le è mai stato dato un ultimatum dai suoi genitori: entri nei top players entro i vent’anni oppure ti rimetti a studiare? “Mai. Il tennis è diventato una priorità molto presto ma i miei sono sempre rimasti tranquilli. Forse avevano la certezza che sarei riuscito a combinare qualcosa di buono. Da questo punto di vista sono fortunato: ho visto tanti genitori rovinare il divertimento del tennis ai figli, rendendolo un obbligo anziché un piacere. I miei, anzi, mi hanno sempre spinto a investire nei miei sogni. Mamma Sabrina l’ho ricompensata con la maturità da privatista, ci tenevo tanto anch’io”. È vero che, per scaramanzia, mamma, papà e nonna vedono le sue partite ognuno per conto suo? “Solo le finali, sì. Avevano cominciato così e hanno coltivato l’abitudine. Babbo era al mare, non ha voluto vedere nemmeno un punto però aveva degli amici che lo tenevano informato. E alla fine l’hanno buttato in acqua!”. Se dovesse dire qual è stato il passaggio di crescita che le ha permesso il salto di qualità per vincere ad Amburgo, Lorenzo? “Nella vita ognuno ha il suo percorso, anche imparare dagli errori e dalle cose negative è importante. In fondo, in campo io porto sempre me stesso: la persona, prima del tennista. Quello che ti forgia fuori, ti accompagna dappertutto. L’anno scorso mi ha cambiato molto […] L’esperienza in Davis, d’altronde, è fondamentale: i momenti di gruppo sono quelli che aiutano a crescere, la condivisione con Matteo e Jannik per me è importante”. È mai stato invidioso dei loro successi? “Mai. Sono stato contento, anzi. Mi hanno spinto a fare di più e meglio, a darmi un traguardo, a non accontentarmi. Li devo ringraziare di essere arrivati prima, di avermi mantenuto in un cono d’ombra permettendomi di lavorare tranquillo e di avermi coinvolto emotivamente nelle loro vittorie. E credo che il nostro esempio stia facendo bene a tutto il movimento: Zeppieri e Agamenone in semifinale a Umago, Cobolli, Passaro e il giovane Nardi, che sta arrivando”. Il cappellino con la visiera all’indietro è una citazione? “Una necessità: nasce con i capelli lunghi, alla Borg, è una questione di vita o di morte. Ho provato anche bandana e coda, ma non funzionano altrettanto bene”. Lo Slam dei sogni? “Wimbledon ha un fascino ineguagliabile, ma dovessi vincere il prossimo, l’Open degli Stati Uniti, andrebbe bene lo stesso!”» (Gaia Piccardi) • «Jannik Sinner è un amico. Non c’è dualismo tra noi, anche se è stato creato. Siamo due ragazzi che hanno fatto cose straordinarie: Jannik ora è più avanti, ma lavoro per raggiungerlo» (Marco Lombardo) • «C’è il suo gioco, i suoi gesti tecnici così diversi dal resto del mondo. “Mi dicono che io sia all’antica, con il mio rovescio a una mano, le smorzate. Ma a me piace, è il mio modo di giocare e non lo cambierei mai, anche se poi l’estro a volte mi sfugge e faccio confusione”. Ma adesso aiutano gli esercizi respiratori. “Soffrivo la pressione, quasi mi si bloccava il diaframma e in campo non riuscivo ad esprimermi: non ero abituato a stress e aspettative. Poi mi hanno fatto conoscere Fabio Brucini, che ha lavorato anche con Umberto Pelizzari, e mi ha dato delle lezioni”. Sott’acqua? In apnea? “Ma no, no: nessuna lezione in acqua, tutto a secco con tanti consigli ed esercizi da fare: si è aperto un mondo, e così sono riuscito a meccanizzare in partita il tipo di respiro”. Una volta c’era anche un’ideuzza sul cinema, magari la chiama Paolo Sorrentino per una ‘Grande Bellezza del tennis’. “Ahahah. No, al cinema pensavo quand’ero più piccolo, con i film di Lino Banfi. Ero un fifone che evitava gli horror, ma ora l’ispirazione è finita. Però oggi sarei più tipo da Fast and Furious”» (a Paolo Rossi) • Dopo gli ottavi di finale conquistati al Roland Garros nel 2021, e persi contro Novak Djokovic: «Come ha smaltito la sbornia di Parigi? “Mia mamma ha rotto talmente per la maturità, che mi ha riportato subito con i piedi per terra! Mi sono tolto un bel peso, adesso mi prendo un anno per dedicarmi solo al tennis, poi penserò a un’eventuale università”. Su cosa ha discusso l’elaborato? “Maturità linguistica da privatista, in inglese ho portato Thomas Hardy, in francese De Lamartine: in entrambi i casi due poesie che rispecchiavano il nodo concettuale della natura matrigna. Volevo fare bella figura, avevo studiato parecchio. Alla fine sono andato via liscio, il voto lo saprò in questi giorni”» (al CdS) • «Nell’inaudita abbondanza di prospetti vincenti nell’Italtennis maschile, Musetti è il bello del gruppo. Non ha il servizio e il dritto deflagranti di Berrettini. E non ha neanche la “freddezza” (a giorni alterni) di Sinner. Musetti è il tennista che provenne dal passato, splendidamente anacronistico e dotato di movimenti stilisticamente perfetti: il suo rovescio a una mano andrebbe esposto come minimo al Louvre. Lorenzo vincerà probabilmente meno di Sinner, ma riempirà sempre gli occhi più di Sinner (e di quasi tutti i top 100 attuali) […] Dovrà migliorare su questi aspetti comportamentali (ogni tanto perde la brocca da buon toscanaccio), come pure dovrà diventare meno rossocentrico (al momento è fortissimo “solo” sulla terra battuta)» (Andrea Scanzi) • Allenato da Simone Tartarini e Corrado Barazzutti • Ha la residenza fiscale a Montecarlo.
Amori «Credo nel colpo di fulmine: non ho una donna ideale, mi piace la classica bellezza mediterranea ma mi deve colpire fin da subito. Sono più un tipo da intuizioni, che da ragionamenti» (a Gaia Piccardi)
Calcio «Sono moderatamente juventino» (alla Stampa).
Curiosità Superstizioso. «Agli Internazionali aspettavo che si liberasse sempre la stessa doccia, i capelli li ho tagliati solo dopo il primo titolo, il challenger di Forlì a fine settembre. Ma adesso li faccio ricrescere: mi piacciono lunghi, alla Borg, magari con il codino» • «Passioni fuori dal tennis? “La musica. Mio padre mi ha sempre fatto ascoltare il rock Anni 80 e 90: Led Zeppelin, ACDC, Guns ’n Roses”» (a Stefano Semeraro).