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 2024  marzo 12 Martedì calendario

Biografia di Giovanni Malagò

Giovanni Malagò, nato a Roma il 13 marzo 1959 (65 anni). Imprenditore. Dirigente sportivo. Presidente del Coni (dal 19 febbraio 2013, è al terzo mandato). Membro del Comitato Olimpico Internazionale (dal 1º gennaio 2019).
Vita «Sono nato alla Collina Fleming, ai Parioli ci abito e basta. Mi considero per metà cubano e per metà romano». Cubana è la madre, Livia Campilli, nipote sia di Domenico Menichella, governatore della Banca d’Italia dal 1948 al 1960, sia di Pietro Campilli, politico democristiano più volte ministro della Repubblica tra il 1946 e il 1958; romano invece il padre, Vincenzo, fondatore della Samocar, concessionaria di automobili di lusso (Bmw, Ferrari, Maserati), e dirigente della Roma. I due si sposarono all’Avana, ma dovettero poi abbandonare l’isola a causa dei moti rivoluzionari: vi sono tornati, con tutta la famiglia, solo nel 2007, per festeggiare le nozze d’oro. «La casa dei nonni all’Avana ora è una scuola per i figli dei dirigenti russi. Siamo rimasti fuori dai cancelli. Le mie figlie, Ludovica e Vittoria, volevano scavalcare per cercare un tesoretto che mia nonna pare abbia seppellito da qualche parte» (a Vittorio Zincone) • «Che educazione ha avuto? “Molto tradizionale, classica, per certi versi borghese”. Libri sotto le ascelle? “Mia madre mi rimproverava perché non ero composto a tavola. Una cosa che mi è rimasta è finire quel che c’è nel piatto: quando avanza un panino lo porto a casa”» (a Michela Proietti) • Grande passione per lo sport sin da bambino. «“Già allora non concepivo un giorno senza lo sport. Tornato da scuola, scappavo subito dopo mangiato. Dove c’era un pallone, c’ero io”. Poi ci sono state tutte le scuole, fino allo scientifico, al Collegio San Giuseppe – Istituto De Merode, “da non confondere col Villa Flaminia, che era sempre dei Padri Lasalliani, ma era una scuola mista, mentre la nostra era solo maschile”. […] “Io stavo bene al De Merode, che aveva la scuola di basket per eccellenza, la mitica Stella Azzurra. La mia gioia era l’ora di ginnastica, coi ragazzi della pallacanestro”. Quindi, lo sci, con le settimane bianche a Cortina, in una camera in affitto sul corso, in quattro o cinque amici. […] A livello agonistico o amatoriale, si è appassionato a tutto, dal tennis alla pesca con la canna, ma il calcetto è stato la costante. Ha vinto tre campionati italiani e, con la Nazionale, ha giocato ai Mondiali di Brasile 1986. Il sogno del calcio vero, della Serie A, c’era. “Quando cominciai l’università, ero combattuto, ma il calcio a cinque mi consentì di continuare a studiare” [si laureò poi effettivamente in Economia e commercio – ndr]. “Ho studiato, ma per quasi dieci anni ho trascorso sabati e domeniche giocando. Ho avuto soddisfazioni che mi hanno marchiato la vita. Giocavamo sulla terra rossa con le Superga, ho disputato finali davanti a 12 mila tifosi”. […] Ha capito che la sua fortuna stava nella carriera da dirigente sportivo un giorno del 1996. “Mi chiama Luca di Montezemolo. Me l’ero ritrovato presidente della Ferrari, una botta di fortuna, dato che la mia famiglia rappresentava la Ferrari con la concessionaria Samocar. Mi chiama e mi dice: ‘Ti vorrei presidente del comitato organizzatore dei 50 anni del marchio’. In un anno, misi su un evento enorme. A Roma arrivarono mille Ferrari. Le portammo in corteo, con 500 mila persone assiepate lungo il vecchio circuito di Caracalla. Facemmo correre Schumacher al Circo Massimo. La mia carriera da dirigente sportivo nasce lì”» (Candida Morvillo) • «Suo padre Vincenzo. “Ricordo quando siamo andati a comperare il primo motorino, un Moto Morini Corsarino ZZ. Lo pagò 125 mila lire e disse: ‘Non voglio venire a sapere che a scuola vai male’. Il sottotitolo era: ‘Non tradire la mia fiducia’” Lo ha deluso? “Non credo, anzi. Sono rimasto dalla prima elementare alla maturità al San Giuseppe De Merode. Non mi sono mai alzato da letto dopo di lui”. Lavoravate insieme. “Mi diceva: ‘Usa la tua intelligenza insieme alla mia esperienza’”. Un suo consiglio. “Non rinviare mai. La sera vedeva la lista di chi mi aveva cercato e mi ripeteva: ‘Richiamali, possono essere rompicoglioni ma anche clienti...’”. La Samocar vendeva così tante auto che la casa madre ha rilevato un ramo... “Il primo anno abbiamo venduto 17 Bmw, prima di essere rilevati più di 8 mila. Più di Tokyo e New York”. Work hard, play hard: lavoro e tanto divertimento. “Non lo rinnego. Ma ad un certo punto il senso di responsabilità è diventato inconciliabile con un certo tipo di vita. Una volta ero fisso al ristorante, oggi sto a casa, con i cani, un buon vino italiano e il mio sigaro. Chi è sempre in giro per lavoro il jolly lo spara diversamente...”» (a Michela Proietti) • Tappa fondamentale fu, nel 1997, la sua nomina a presidente dell’esclusivo Circolo canottieri Aniene, di cui nel corso degli anni Malagò ha fatto «la più formidabile concentrazione di upper class della capitale. Una sorta di stanza di compensazione dei poteri borghesi dei ruoli e della ricchezza, il melting-pot perfetto di commercianti e professionisti, costruttori e alti burocrati, personaggi dello sport, dello spettacolo e imprenditori» (Alberto Statera). Proprio questa posizione, nella quale è stato sempre confermato fino al 2017 (quando ha chiesto di non essere rieletto, divenendo così presidente onorario), ha costituito il trampolino perfetto per il grande salto: l’elezione a presidente del Coni, nel 2013, avvenuta a sorpresa per 40 voti a 35 (con un astenuto), a scapito del favorito Raffaele Pagnozzi, segretario generale dell’ente dal 1993 e sostenuto dal presidente uscente Gianni Petrucci (gran patrono di Malagò era invece Gianni Letta) • «Ho costruito consenso, confrontandomi, incontrando vari elettori. In sette mesi, ho fatto l’Italia 150 volte su e giù. Tra gli elettori ci sono i rappresentanti di comitati regionali, provinciali, degli enti di promozione. Quando mi sono candidato, nessuno sapeva chi fossero: se avessi aspettato i nomi, ero fregato. Per cui, ho costruito le loro candidature per farli eleggere. In qualche caso, mi è andata bene» • Grande delusione, nell’ottobre 2016, per la decisione del neosindaco di Roma, Virginia Raggi, di non sostenere la candidatura di Roma come sede dei Giochi olimpici del 2024, per la quale Malagò stava lavorando da anni, fortemente supportato dal governo Renzi. «È una decisione che il nostro mondo non potrà mai accettare, una scelta scellerata che ha tolto fondi e posti di lavoro. C’era un dossier pronto, poteva essere modificato, invece non ci è mai stato detto nulla» (a Giulia Zonca) • Confermato alla presidenza del Coni l’11 maggio 2017, in seguito alla mancata qualificazione dell’Italia per i Campionati mondiali del 2018 dichiarò che, «siccome la Lega viene da un lungo periodo di caos, la cosa più giusta sarebbe commissariare tutto e creare i presupposti di una nuova programmazione vincente». Il suo auspicio si realizzò dopo il fallimento dell’elezione del presidente della Figc (29 gennaio 2018): a diventare commissario straordinario della Lega Serie A fu lo stesso Malagò • La conferma per il terzo mandato alla presidenza del Coni il 13 maggio 2021 • Polemiche per i ritardi nell’organizzazione delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026 • «Veniamo ammessi nell’ufficio dell’uomo che tiene in mano i destini dello sport italiano. Ufficio vastissimo, con grande vetrata sul Lungotevere, accanto allo stadio Olimpico, in questo storico “palazzo H” progettato da Enrico Del Debbio nel ‘27, rosso pompeiano, tra le statue candide mussoliniane e l’obelisco Dux. Un popolo d’atleti. Tre fotografie alla parete: Mattarella, Totti e il promontorio del Circeo. Quasi un manifesto. È anche la stanza dei giochi di un bambino molto cresciuto: quadri, foto con Agnelli e Montezemolo e Federica Pellegrini, e poi bandiere italiane e dell’Unione europea, il diploma nuovo di zecca di Cavaliere di Gran Croce della Repubblica. Ma tutto come immerso in un clima festoso e colorato. Istituzionale, ma allegro. Più l’ufficio di un self made man che di un presidente del Coni. La sede di una startup della Silicon Valley catapultata nella cornice un po’ monumental-sinistra del complesso del Foro Italico. Giovanni Malagò, ciuffo grigio e camicia a righe con iniziali, cammina seguito da uno stuolo di assistenti che faticano a stargli dietro. Uno prende nota seduto traballante su una palla Technogym. Malagò risponde a telefonate, controlla le notizie, con un occhio guarda uno schermo televisivo e con l’altro la distesa di fascicoli disposti sull’enorme scrivania, dove, in cartelline identiche, ci sono i fascicoli più disparati, molti evidenziatori messi in fila come soldatini, una foto delle figlie avute con Lucrezia Lante della Rovere. Dicono che risponda sempre in giornata a tutti. “Certo”, scatta lui, militare, “e per tre motivi. Primo, che se non lo fai poi il lavoro si accumula, secondo, per educazione, terzo, per i clienti, un insegnamento di mio padre. Ogni telefonata può essere un cliente e se non gli rispondi può cambiare idea”. C’è tutto Malagò in questa triade, il giannilettismo del potere romano soft di fascia alta, l’educazione di un certo mondo e anche una certa imprenditorialità berlusconiana col gusto dell’enumerazione, perché questo sessantaduenne che gestisce i destini dello sport italiano ha un dna imprenditorial-automobilistico» (Michele Masneri e Andrea Minuz) • «Nella sua vita Malagò ha avuto soprattutto tre pigmalioni, tre grandi maestri. Il primo è Gianni Agnelli, dal quale, negli anni giovanili, ha voluto mutuare soprattutto l’aspetto glamour: l’amore per il lusso e le belle donne, dalle quali è sempre circondato. L’Avvocato lo aveva preso in simpatia, lo onorava con le sue telefonate mattiniere, gli chiedeva informazioni sul gossip romano sapendo che “Giovannino” non si perdeva una serata. L’altro faro è, ancora oggi, Luca di Montezemolo, da cui ha imparato che non esistono destra, sinistra o centro, esiste invece una lobby trasversale in cui i rapporti diventano subito amicizia, legame profondo. L’ultimo maestro è Gianni Letta, che gli ha insegnato come ci si muove e come si gestisce il potere, un’arte che l’ex sottosegretario conosce come nessun altro» (Goffredo De Marchis) • «La differenza tra me e il mio amico Luca di Montezemolo è che io lavoro» (a Salvatore Merlo) • «Negli anni ha occupato poltrone in società molto eterogenee. È stato amministratore di Air One dell’anienista Carlo Toto, di Unicredit, a lungo azionista di riferimento dell’amata As Roma. Ha amministrato la fanzine snob giallorossa "Il Romanista" e la Virtus Roma Basket, di proprietà dei fratelli Toti, anienisti. […] L’attività di famiglia resta concentrata nel gruppo Samofin e nella controllata Samocar, che sfoggia Ferrari e altre auto di lusso dalle vetrine di via Pinciana, davanti a Villa Borghese. […] Oltre a Samocar, Malagò custodisce un portafoglio di partecipazioni molto ricco nella GL Investimenti, fifty fifty con l’amico Lupo Rattazzi. GL ha un patrimonio di circa 50 milioni di euro e utili aggregati nel triennio 2014-2016 per 30 milioni di euro. Infine, Malagò è tra i fondatori dell’associazione Amici del Bambino Gesù» (Gianfrancesco Turano) • «Si narra che fu Agnelli a battezzarlo “il Rubirosa dei Parioli”, in onore del celebre playboy. “Cazzate. Mi ha chiamato sempre ‘piccolo Malagò’. Ogni tanto, ‘piccolo piccolo’”. Si narra che fu Suni Agnelli a battezzarlo “Megalò”, per la megalomania. “Falso”» (Candida Morvillo) • «Quanti numeri ha in agenda? “Non li ho mai contati, sul cellulare saranno un migliaio. Ma la mia segreteria, che è molto ben organizzata, ne ha rubricati decine di migliaia”. Quanto contano le pubbliche relazioni? “Molto, se rivesti un ruolo in cui le relazioni ti aiutano ad esercitarlo al meglio. Alzare il telefono ed evitare tutta una serie di perdite di tempo è un vantaggio”» (a Michela Proietti).
Amori Breve matrimonio (poi annullato dalla Sacra Rota) con Polissena di Bagno, discendente dai Malatesta citati da Dante (il Paolo amante di Francesca era un Malatesta), poi un’importante relazione con Lucrezia Lante della Rovere, da cui sono nate le due gemelle Vittoria e Ludovica (che Malagò allevò come «ragazzo padre» dopo la separazione dalla madre), e una quantità di conquiste elegantemente non confermate dall’interessato (da Monica Bellucci a Carla Bruni, da Valeria Marini a Martina Colombari); da alcuni anni è impegnato con l’imprenditrice Daniela Marzanati. Convive stabilmente, però, solo con i suoi labrador, amatissimi: nel 2015 si è fatto tatuare sull’avambraccio il muso di uno di loro, morto poco prima («Come un figlio. Un dolore che non hai idea») • «Si sente un playboy? “So di non essere credibile, ma è stato tutto amplificato”. La scena di Yuppies in cui un piacione arriva al Jackie ’O, lancia la chiave dell’auto al finto parcheggiatore e quello scappa... era lei? “Innanzitutto era il Number One. E diedi la chiave a un vero parcheggiatore, al quale rubarono la mia auto”. Una follia fatta per amore? “Preparavo la maturità e Polissena, la mia ex moglie, aveva casa all’Argentario. La sera, dopo lo studio, partivo da Roma senza casco con una Honda 125, per stare con lei. La mattina tornavo indietro, sempre senza casco”. Che marito è stato? “Non da encomio”. Che papà? “Il legame con Ludovica e Vittoria è solido: le vedo con i piedi per terra, ottime madri, impegnate nel lavoro, penso di aver trasmesso dei valori”. Lucrezia Lante della Rovere, madre delle sue gemelle. “Una mattina, alla solita chiamata dell’Avvocato all’alba, rispose lei al telefono: ‘Giovanni non ha il coraggio di dirvelo, a quest’ora non dovete chiamare più!’. Glielo riferirono e quando ci vedemmo a cena disse a Lucrezia, con la sua erre: ‘Che caratterino, fumantino!’”. Le chiamate all’alba di Agnelli erano dunque vere? “Certo e siccome ero amico di Spiro, il centralinista romano, gli avevo chiesto di mettermi in fondo alla lista: guadagnavo mezz’ora di sonno”» (a Michela Proietti).