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 2024  marzo 13 Mercoledì calendario

Biografia di Giorgio Forattini

Giorgio Forattini, nato a Roma il 14 marzo 1931 (93 anni). Vignettista. Sessanta libri pubblicati, oltre tre milioni di copie vendute • «Suo padre Mario, di Guastalla, lavorava nel petrolio. Ex direttore dell’Agip, nel 1953 si mise in proprio creando una florida azienda con sede a Napoli in via Mergellina. […] Mario e sua moglie, Matilde Merlino, piemontese di origina istriana (suo padre Federico fu prima ministro delle Finanze e in seguito presidente della Corte dei conti) e di madre austriaca (Maritza), avevano messo al mondo due figli maschi: Lucio e, un anno e mezzo dopo, Giorgio. Lucio aveva ostentatamente scansato la ditta paterna imboccando una più nobile carriera diplomatica (sarà prima console in Australia e poi ambasciatore in Kuwait e in Svezia), mentre suo fratello minore, Giorgio, aveva sospeso gli studi di architettura attratto dal profumo della benzina. Quando ancora suo padre lavorava per l’Agip, nel 1949, il diciottenne Giorgio faceva il rappresentante per la stessa azienda petrolifera con base a Roma. […] Giorgio entrò nell’azienda di famiglia, dove rimase per sette anni, girando il Sud a bordo di una Fiat 500 prima e poi di una 600. Pagato a percentuale sulle vendite. Nel frattempo coltivava una sua giovane passione: il teatro. Si iscrisse all’accademia di recitazione Sharoff, a Trastevere, dove seguiva i corsi assieme a future celebrità come Sophia Loren (si chiamava ancora Sofia Scicolone), Ettore Manni, […] Lina Wertmüller. Fra le allieve c’era anche tale Licia Casassa, cui il destino non avrebbe riservato riflettori né red carpet, bensì un amore improvviso e travolgente con il bel Forattini. Lui 22 anni, lei 28, si sposarono. […] Due figli, Paola nel 1955 e Fabio nel 1959. Dopo sette anni, la crisi. Si separarono. Giorgio riuscì a tenere con sé i figli, ma nel 1968 Licia glieli portò via vincendo un’aspra battaglia legale. Lungo tutti questi anni, Forattini dovette arrangiarsi con mestieri diversi da quello di venditore di prodotti petroliferi, cessato nel 1956 quando l’azienda di famiglia cominciò a perdere i pezzi per via della crisi di Suez. […] Comincia a disegnare, sì, ma più che altro per hobby, etichette per i dischi della Bluebell Records prima e della Ricordi poi, per le quali case musicali ricoprì via via i ruoli di venditore, consulente, direttore commerciale. Dopo il mondo della musica, eccolo atterrare su quello degli elettrodomestici (venditore per la Triplex) e poi della pubblicità presso lo studio in Trastevere di Guido Vanzotti: collaborava a storyboard e campagne, ma veniva impiegato anche come copywriter e illustratore. Nel disegno se la cavava molto bene, si divertiva a fare ritratti e caricature dei compagni di lavoro. Uno di questi, un giorno, gli segnalò un concorso per strisce satiriche promosso da Paese Sera. Era il 1971, Giorgio Forattini aveva 40 anni. […] Partecipò alla gara con una strip che aveva per protagonista un buffo personaggio vagamente autobiografico: si chiamava Stradivarius, faceva il rappresentante di commercio, vendeva di tutto, la sera tornava a casa, si metteva una parrucca in testa e suonava il violino. Vinse. […] Come premio venne assunto con le mansioni di disegnatore e grafico. Più grafico che disegnatore. Riusciva a piazzare di tanto in tanto le sue strisce in una pagina interna del giornale, senza troppo risalto. A spalancargli le porte della celebrità fu – inconsapevolmente – una delle sue numerose “fidanzate”, una danese: […] Lene De Fine Licht, […] amica della moglie danese di Luigi Melega, uno dei giornalisti di punta di Panorama. Le due coppie presero a frequentarsi assiduamente, finché Melega, ammirato dal tratto di Forattini, gli propose una collaborazione con Panorama. “Vuoi una strip?”, chiede Giorgio. “No, prova a fare delle vignette. Vignette politiche”. “Ma io non ne ho mai fatte”. E lui: “Leggi i giornali francesi”. L’avventura tardiva ma gloriosa del vignettista principe ebbe inizio così, con Melega che dice “prova, secondo me sei tagliato per farle” e Forattini che ogni notte, per tante notti, andava nelle edicole di via Veneto a comprare Le Monde, Le Figaro, Le Canard enchaîné. Si informava, provava, metabolizzava. Debuttò su Panorama raffigurando Craxi di spalle che appende un pesce d’aprile sulla gobba di Andreotti. Dopo un anno Giorgio Cingoli, direttore di Paese Sera, un po’ sbuffando, gli chiese di farle anche per il suo giornale, quelle vignette così graffianti e divertenti, che colpiscono nel segno senza che i suoi personaggi pronuncino parola. E fu sulla prima pagina del quotidiano romano del pomeriggio che comparve, nel maggio del 1974, a commento dell’esito del referendum abrogativo sul divorzio, una delle vignette che hanno fatto la storia della satira politica italiana: il sughero con la faccia di Fanfani che schizza via da una bottiglia di champagne con l’etichetta “No”, sotto il titolo “Il tappo è saltato”. […] La strada è dunque tracciata. E diventa un’autostrada quando Melega si iscrive alla ciurma di Scalfari che sta varando quella specie di giornale-pirata chiamato “la Repubblica”. Invitato dal suo pigmalione a farne parte, l’ex venditore porta a porta non ci pensa due volte» (Franco Recanatesi). Iniziò così, da cofondatore, la sua lunga collaborazione con la Repubblica (che lo vide anche, nel 1978, fondatore di Satyricon, «un supplemento che ha convogliato i più grandi talenti della satira politica italiana: Bucchi e Vauro, Vincino e Staino, Altan e Giuliano, Ellekappa e Giannelli», e poi direttore del Male), interrotta una prima volta nel 1982, quando andò alla Stampa (dove le sue vignette passarono in prima pagina), quindi ripresa nel 1984 e definitivamente chiusa dal vignettista nel 2000. Il motivo dell’abbandono fu la mancata solidarietà del giornale romano (a cominciare dal direttore Ezio Mauro, e «con l’eccezione di due telefonate: da Barbara Palombelli e Antonio Polito») in seguito all’attacco di D’Alema, che qualche mese prima, da presidente del Consiglio, l’aveva querelato, chiedendogli un risarcimento da 3 miliardi di lire, per la vignetta in cui Forattini l’aveva raffigurato intento a cancellare col bianchetto alcuni nomi dalla lista Mitrokhin (D’Alema ritirò poi la querela «solo dopo che me ne ero andato da Repubblica: ormai aveva raggiunto il suo obiettivo»). Fu quindi prontamente riaccolto alla Stampa (con «un contratto per cinque anni a un miliardo di lire l’anno per una vignetta al giorno, naturalmente in prima pagina: accettai subito»), per passare poi nel 2006 al Giornale, e da lì, nel 2008, al Quotidiano Nazionale. Cessata anche la collaborazione con Panorama, da alcuni anni non ha più contratti con giornali o riviste («Sono un precario»), ma continua a pubblicare le sue vignette sul suo sito internet (Forattini.it) e sui suoi libri: dopo una lunga serie di titoli stampati da Mondadori, da Quattro anni di storia italiana del 1977 ad Arièccoci del 2016 (il primo in assoluto fu però Referendum reverendum, edito da Feltrinelli nel 1974), nel 2017 è stata la casa editrice fiorentina Clichy a pubblicare il suo ultimo volume, l’Abbecedario della politica, sorta di visita guidata nell’officina creativa di Forattini • Grande passione per la pittura («Giotto su tutti») e per la musica classica, in particolare per il violino («Ho avuto anche uno Stradivari. Costava l’ira di Dio!») • «Sono ateo. Ma ho grande rispetto per chi ha fede in un Essere supremo. Mentre non ne ho affatto per chi crede agli uomini politici» • Nel 1997, a Parigi, ha sposato in seconde nozze la nobildonna fiorentina Ilaria Cerrina Feroni. Abitano a Milano, in una casa di ringhiera tra corso Buneos Aires e via Spallanzani. Poiché si conobbero a Venezia, durante la presentazione di un libro di lui, una volta all’anno tornano in laguna per rifidanzarsi • Ilaria, che avventura è dividersi con Giorgio? «Entusiasmante. Ieri come oggi. Nei tempi del super impegno professionale, lo chiamavo Isterix per come era sempre agitato, irascibile, pur rimanendo sempre dolce» (Nino Materi) • Nel 2011 il trauma della morte improvvisa, a soli 52 anni, del figlio Fabio (nato dal primo matrimonio): da allora «non mi sono più tirato su: riesco a fare le vignette, faccio qualche battuta, ma mi ha cambiato la vita» • Considera suoi maestri «Guareschi per il suo coraggio, Jacovitti per il segno». Storica la vignetta, apparsa su Repubblica il 4 dicembre 1977 dopo un grande corteo dei metalmeccanici, raffigurante Berlinguer che, seduto nel salotto di casa al riparo dal frastuono, legge l’Unità in vestaglia sorseggiando del tè, con tanto di mignolo alzato. «Il bruco Veltroni verde-giallo. Il gerarca D’Alema in divisa verde e stivali neri. Mickey Mouse-Amato con scarpe gialle e braghe rosse. Una pudibonda Emma Bonino nuda, dal roseo incarnato. Le “toghe rosse” (ovviamente) dipinte di rosso. […] Fazioso? È un’accusa ricorrente, da parte della sinistra impietosamente presa di mira» (Maurizio Assalto). «Mi hanno querelato in tanti. […] Ma sai chi è l’unico che è riuscito a farmi condannare? […] È il giudice Caselli. Ah, la magistratura italiana!» (ad Andrea Di Consoli). Da Andreotti, mai una querela, anzi. Il Divo Giulio arrivò a dire: «È stato Forattini a inventarmi!» • Dichiaratamente anticomunista, in politica si è definito spesso liberale. In un’intervista ha detto: Se avessi la forza di andare al seggio, voterei per Berlusconi. Ha cambiato l’Italia e ho di lui un ricordo simpatico. È sincero o si tratta di una sottile presa per i fondelli? «Credo sia sincero, anche se poi la collaborazione col Giornale non finì nel migliore dei modi» (la moglie, a Nino Materi) • «Ho un solo rimorso, con il povero Raul Gardini: quando morì disegnai una nave che affondava e il suo teschio sulla spiaggia con in bocca un garofano. Ecco, a lui dovrei delle scuse» • «I peggiori nemici della satira sono i comunisti e gli islamici. Sono uguali: non tollerano chi la pensa diversamente, se non sei dalla loro parte sei un nemico da perseguitare. […] L’unico limite che deve avere la satira è il codice penale» (a Paolo Bracalini).