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 2024  marzo 16 Sabato calendario

Biografia di Giovanni Trapattoni

Giovanni Trapattoni, nato a Cusano Milanino (Milano) il 17 marzo 1939 (85 anni). Ex calciatore. Ex allenatore (il sesto al mondo per numero di trofei internazionali vinti a livello di club). È uno dei sei tecnici capaci di vincere almeno un campionato in quattro paesi diversi (gli altri sono Tomislav Ivić, Ernst Happel, José Mourinho, Eric Gerets e Carlo Ancelotti). «Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco»
Carriera Da giocatore, mediano, vinse con il Milan due scudetti (1962, 1968), due Coppe dei Campioni (1963, 1969), una Coppa Intercontinentale (1969), una Coppa Italia (1967), una Coppa delle Coppe (1968). In Nazionale 17 presenze e un gol. 8° nella classifica del Pallone d’oro 1963 • «Quando mi sono trovato a esordire in serie A con il Milan in casa della Spal nel ’60, avevo un po’ di febbre, ma l’ho tenuta nascosta, perché non volevo perdere il treno che mi stava aspettando. Non sapevo se sarebbe ripassato» • «Primo esemplare al mondo di mediano telegenico, più spiritato che spiritoso, molto prima di Rino Gattuso» (Giancarlo Dotto) • Da allenatore ha vinto con la Juventus sei scudetti (1977, 1978, 1981, 1982, 1984, 1986), una Coppa dei Campioni (1985), due Coppe Uefa (1977, 1993), una Coppa delle Coppe (1984), una Coppa Intercontinentale (1986), una Supercoppa Europea (1985), due Coppe Italia (1979, 1983); con l’Inter uno scudetto (1989) e una Coppa Uefa (1991); con il Bayern Monaco un campionato tedesco (1997), con il Benfica un campionato portoghese (2005), col Salisburgo un campionato austriaco (2007). Dal 2000 al 2004 allenò la Nazionale italiana: eliminazione agli ottavi dei Mondiali 2002 con un golden gol della Corea del Sud padrona di casa (la direzione dell’arbitro ecuadoregno Byron Moreno fu molto contestata), al primo turno degli Europei 2004 (imbattuto, per differenza reti causa un annunciatissimo 2 a 2 tra Svezia e Danimarca). Dal 2008 al 2013 ct dell’Irlanda.
Vita «Quinto figlio – l’ultimo dopo Antonio, Maria, Elisabetta, Angela – di Francesco, operaio alla Gerli, e Romilde Bassani. Fu chiamato Giovanni Luciano Giuseppe. Giovanni era il nome del nonno paterno. I suoi genitori venivano da Barbata, un villaggio di contadini del Bergamasco, dal bel nome longobardo, e si erano trasferiti a Cusano in cerca di lavoro» (Claudio Gregori) • «La cosa che mi è rimasta più impressa sono i bombardamenti di notte. Mi portavano in un rifugio a trecento metri da casa, a volte piangevo. Il giorno della liberazione, avevo sei anni, papà e mamma mi portarono sulla Milano-Bergamo a veder passare i carri armati americani ed io correvo a raccogliere il cioccolato che i soldati gettavano» • Licenza di terza media e passato da lucidatore di mobili, operaio in una piccola azienda di prese elettriche e operaio in tipografia (d’estate alla chiusura delle scuole riparava anche i ferri da stiro), iniziò a dare i calci a un pallone di budella di maiale imbottito di stoffe. «A me mancava il tiro. Arrivavo là davanti sempre stanco. Avessi avuto il tiro di Bertini, sarei stato un altro giocatore» • La carriera d’allenatore cominciò il 10 aprile 1974: «San Siro, Coppa delle Coppe: tra il Milan e la finale c’era il “tremendo” Borussia Moenchengladbach. Reduce da 5 ko consecutivi in campionato, Cesare Maldini s’era dimesso e la panchina affidata al suo secondo, Giovanni Trapattoni, allievo di Nereo Rocco, famoso perché in Nazionale era il mediano che aveva annullato Pelé (che onestamente quel giorno stava male). Il Milan stracciò i tedeschi (2-0) e si parlò di “mago Trap”. I rossoneri si qualificarono limitando i danni al ritorno (0-1), poi in finale s’inchinarono al Magdeburgo. Trap aveva 35 anni. In panchina per la verità c’era già stato: 90’ da terzo per sostituire il titolare squalificato (Rocco) e il “vice” ammalato (Maldini). Peccato fosse il 20 maggio 1973, la fatal Verona, giorno del sorpasso storico della Juve. “Capii subito che eravamo cotti”, disse. Nessuno gli imputò la disfatta, anche se gli rimproverarono di aver ritardato il cambio Turone-Rosato. Rocco lo difese. Lo stesso Rocco che, anni dopo, appreso del “sì” alla Juve, per un po’ non gli rivolgerà la parola. Offeso. Dimenticata in fretta quella parentesi, l’anno dopo il Milan fu suo per le ultime sei giornate di campionato e, appunto, la Coppa delle Coppe. Così, quattro giorni dopo il Borussia, Trap ripeté il debutto a San Siro, ma in campionato (0-0 con il Napoli). Il presidente Buticchi gli aveva promesso: “Se mi porta la coppa, il prossimo anno la panchina è sua”. Fu di parola: persa la finale, la panchina 1974-1975 fu affidata a Giagnoni e Trapattoni tornò vice, per poi essere promosso titolare nel campionato successivo. Trap non si trovava bene. I conflitti tra Rivera e Rocco lo costringevano a scelte non sempre sue. E lui aveva voglia d’indipendenza. Del suo carattere s’era accorto Giampiero Boniperti. Che fissò con lui un appuntamento in un motel tra Torino e Milano e lo convinse. Arrivato alla Juve nell’estate 1976, si presentò subito con un indimenticabile “sarò breve e circonciso”. Aveva dimenticato di aggiungere “vincente”. Dieci anni di bianconero lo consacrarono allenatore più titolato d’Italia, irraggiungibile dal primo trofeo europeo juventino (la Coppa Uefa) e dallo scudetto dei 51 punti, tutto nella stagione del debutto. Non ci credevano in troppi: Trap in fondo s’era presentato con due acquisti non più giovani (Boninsegna e Benetti) al posto di Anastasi e Capello, rinunciando al regista. Inventò invece una Juve atletica e spettacolare: trasformò Tardelli in centrocampista, regalò all’Italia di Bearzot nove titolari e rispose pazientemente alle telefonate di prima mattina dell’Avvocato che non gli aveva regalato il decimo azzurro (Paolo Rossi) “perché siamo in cassa integrazione”. Agnelli non ordinava ma, se voleva qualcuno in campo, gli chiedeva: “Perché quell’ala sinistra non gioca mai?”. Al primo ciclo seguì il secondo, arricchito con Platini e Boniek e l’Intercontinentale. Con la rabbia per la finale di Coppa dei Campioni persa con l’Amburgo: “Quel giorno ho scoperto la zona: quando ho visto uno dei suoi profeti, Happel, mettere Rolff fisso su Platini”. E con il dolore per l’Heysel. Dopo dieci anni, però, Trap non sopportava più di essere identificato con la Juve. Andò via. Destinazione: l’Inter di Ernesto Pellegrini. Stagione 1986-1987. Firmò per cinque anni, durante i quali soffrì per l’ascesa e i successi – sulla sponda milanista – di Sacchi, simbolo di un calcio opposto al suo. Il Milan vinse la sfida a distanza, ma Trap realizzò un’altra stagione-record (58 punti nell’88-89) e conquistò la Coppa Uefa» (Fabio Licari) • «L’avvocato Gianni Agnelli alla Juve era solito chiamare all’alba: qual è la telefonata, tra tante, che ricorda con più vividezza? “Era il 1993 e in quella telefonata l’Avvocato mi annunciava il suo ritiro e il passaggio del testimone al fratello Umberto. Quel messaggio indicava la fine del ciclo che avevamo costruito insieme ad Agnelli e Boniperti. Era ora di farsi da parte”. La terribile notte dell’Heysel, 29 maggio 1985: potendo tornare indietro, avrebbe fatto qualcosa di diverso? “Credo che ognuno di noi, potendo tornare indietro, avrebbe cercato di impedire la tragedia prima che accadesse. Tuttavia, con il senno del poi non si risolvono queste cose. Si riaprono soltanto le ferite. Ogni commento è superfluo di fronte al dramma”» (a Gaia Piccardi e Daniele Dallera) • «Lei è stato un grande innovatore, i suoi difensori hanno sempre segnato più di tutti, ma qualcuno ancora oggi la giudica un difensivista: perché? “Credo sia una domanda da fare a quei giornalisti che continuano a catalogarmi così. Uno stereotipo trito e ritrito e per di più molto superficiale. Come allenatore ho sempre cercato l’equilibrio con la E maiuscola e il gioco che si adattasse meglio agli uomini che avevo a disposizione. Juve, Inter, Bayern, Salisburgo, sono squadre in cui sono riuscito a concludere il campionato con il miglior attacco e la miglior difesa. Ho prediletto un gioco concreto, orientato al risultato, privo di fronzoli non necessari”» (a Maurizio Crosetti) • Sposato con Paola, conosciuta durante le Olimpiadi di Roma (1960). «Tutto iniziò con un bicchiere di vino nella cantina dei suoi nonni. Fu amore a prima vista, ma eravamo giovani e timidi e ci volle l’aiuto dei miei compagni per farci coraggio. La più grande virtù di Paola? La pazienza di avermi sopportato e supportato in ogni mio spostamento. Senza di lei non avrei raggiunto la maggior parte dei miei successi» (a Gaia Piccardi e Daniele Dallera) • La moglie per anni ha cercato di convincerlo a smetterla con la vita da emigrante («E quando smette, se continua a vincere? E io che vorrei fare il giro del mondo...»). Karl Heinz Rummenigge, presidente del Bayern: «Se deve stare a casa, sta bene con Paola, ma non sta bene con la vita» • Due figli, Alberto e Alessandra.
Critica «La faccia simpatica, la correttezza, non soltanto nei modi ma anche nei fatti, non bastano a spiegare perché sia così amato dalla gente. La sua qualità è la capacità di farsi capire in ogni angolo del mondo, perché, come diceva Arrigo Sacchi, “non ha bisogno del traduttore nemmeno se tiene una conferenza a Tokyo o Pechino”. È un emigrante di lusso, contento di essere italiano, ma senza nostalgia» (Fabio Monti) • «Come Giulio Andreotti, non ama le scelte estreme. È difensivista quando serve, ed è offensivista quando serve. Ma non è mai soltanto, radicalmente, difensivista. E non è mai, radicalmente, offensivista» (Pierluigi Battista) • «Il trapattonese, quella strana lingua fatta di parole che vanno avanti svelte, scomposte, che vincono un rimpallo e alla fine rotolano in rete. Metafore e pugni sul tavolo che lo hanno reso un’icona ultra pop del calcio» (Vittorio Zincone).
Frasi Associa le parole con tale libertà da essere diventato un caso letterario: «C’è maggior carne al fuoco al nostro arco, anche se l’arco lancia le frecce», «Non è più come prima: una volta i giocatori della Lituania giocavano con le renne ai piedi», «I coreani? Corrono come ciclisti cinesi», «La palla non è sempre tonda, a volte c’è dentro il coniglio», «Non possiamo fare i coccodrilli e piangere sul latte versato e sulle uova mangiate», «Se giocando male riesco a portare a casa il risultato, io ringrazio Dio» ecc. Nella storia la sfuriata in un improbabile tedesco ai tempi del Bayern, culminata con uno «Strunz» che per coincidenza era il cognome di un giocatore tedesco ma sembrava avere in quel caso altri significati. Sempre nella stessa conferenza stampa urlò: «Ich habe fertig» (ne ho abbastanza, ma in tedesco non si dice così), detto che in Germania è entrato nello slang di tutti i giorni.
Religione Molto credente. Vicino all’Opus Dei • Una sorella, Romilda, che prese i voti e divenne suora, scomparsa nel 2013, a 83 anni. «Leggenda vuole che fosse lei a fornire al fratello l’acqua santa che lui, puntualmente, spargeva tra panchina e campo prima di ogni partita. Un gesto divenuto iconico, come il fischio con le due dita in bocca. Anche per lei Giovanni andava in chiesa, a recitare una preghiera, ogni domenica» (Andrea Sereni) • Nel 2005, per la giornata della gioventù, ha incontrato papa Benedetto XVI • Il 23 ottobre 2010 è stato scelto dalla Santa Sede per guidare la Selezione di calcio della Città del Vaticano sotto il nome di Clericus Top.
Amori «Una volta ero a bordocampo per una partita della Nazionale, Trapattoni mi si avvicina e mi chiede: ma tu l’hai già provato il Viagra?» (Amedeo Goria).
Curiosità Appassionato di musica classica • Affezionatissimo del suo vecchio peschereccio di legno che usa per gite in mare • È stato votato per l’elezione del Presidente della Repubblica del 2013 • È citato nella canzone della Nazionale di calcio irlandese, che fa così: «Noi abbiamo il nostro Trap, il gatto è nel sacco» e poi «noi siamo una parte dell’esercito del Trap» • Quando l’Irlanda era in difficoltà economiche, decise di tagliarsi lo stipendio assieme a tutto il suo staff (risparmiando 160 mila euro). Sempre da allenatore della Nazionale irlandese, ha fatto un pellegrinaggio sul Croagh Patrick, montagna sacra a San Patrizio, per un voto fatto nel caso si fossero qualificati per Euro 2012 (cosa che è avvenuta): «Mi seguirono in tremila. C’era anche il primo ministro».