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 2024  marzo 22 Venerdì calendario

Biografia di Geolier (Emanuele Palumbo)

Geolier (Emanuele Palumbo), nato a Napoli il 23 marzo 2000 (24 anni). Rapper. Oltre un miliardo di streaming tra audio e video. 23 dischi d’oro. 53 di platino. «Amo il suo modo di scrivere. È bravissimo e velocissimo» (Anna Tatangelo). «In questo momento è lui il re. Sarebbe bello lavorare con lui» (Bob Sinclair) • Messosi in luce nelle gare di freestyle, fino a diventare punto di riferimento dell’urban pop in Italia. «Ha raggiunto la notorietà già con il primo singolo del 2018, P Secondigliano, confermata dall’album d’esordio Emanuele dell’anno successivo, certificato disco di platino. Il suo secondo album Il coraggio dei bambini del 2023 ha raggiunto la prima posizione della classifica degli album più ascoltati dell’anno in Italia e ha ottenuto quarantasei dischi di platino» (Treccani). Nel 2024 si è presentato a Sanremo con il brano I p’me, tu p’te, storia di una coppia che pur amandosi capisce che è arrivato il momento di dirsi addio. «Sconosciuto al popolo della televisione e dei giornali, è una star che ha conquistato visualizzazioni e like sul web, una specie di televoto gratuito e dato senza alcuna richiesta. Il mezzo mediatico, in questo caso, ha fatto la differenza. Chi non ascolta musica online ha fatto fatica a capire da dove sia potuto sbucare quel ragazzo» (Maria Elefante, Famiglia Cristiana 12/3/2024) • «Geolier è (quasi) il nuovo Maradona, a Napoli il suo secondo posto al Festival è stato vissuto comunque come una vittoria» (Renato Franco, CdS 16/2/2024) • «Geolier è la versione aggiornata dell’antico primato artistico di Napoli. Peccato che non sempre i napoletani ne siano consapevoli, altrimenti non si rifugerebbero in tanti nel consolatorio mito neoborbonico, per cui i mali del Sud sono colpa del Nord, e si stava tanto bene al tempo di festa farina e forca prima che arrivasse Garibaldi» (Aldo Cazzullo, CdS 10/2/2024) • «Grandi firme del giornalismo contemporaneo spiegano che se non conosciamo Geolier non conosciamo il mondo, e io provo a immaginare i nostri genitori alla nostra età: si ponevano il problema di non conoscere e apprezzare Sandy Marton, o facevano vite da adulti?» (Guia Soncini, Linkiesta 12/2/2024) • Tornato da Sanremo, il popolo lo acclamò, il sindaco gli consegnò una medaglia, la Federico II lo invitò in aula a parlare agli studenti • I ragazzini napoletani, come già accadduto con il caschetto di Nino D’Angelo, presero a imitare il suo baffetto • A giugno si esibirà per tre giorni di fila al Diego Armando Maradona, sono stati venduti 150 mila biglietti • Quando lo paragonano al Pibe de Oro, lui si schermisce: «Il murale che mi raffigura accanto a Maradona mi spaventa. Diego per me è Dio, provo imbarazzo a essere paragonato a lui».
Titoli di testa «La canzone e il teatro sono da sempre le maggiori e le migliori espressioni di una città che, nata analfabeta, ha trovato nell’oralità le forme più immediate per costruire la sua cultura: […] Ieri come oggi: ai tempi del varietà, per sbarcare il lunario, i genitori lanciavano le figlie come canzonettiste, e ai giorni nostri tutti cercano uno spazio e un ruolo in questo universo oramai mediatico e tiktoker» (Stefano De Matteis, Domenicale 18/2/2024).
Vita Nato e cresciuto al rione Gescal di Secondigliano, dove c’è il carcere più grande della Campania. «Crescere a Secondigliano ti dà una marcia in più. La mia è stata un’infanzia da grande. Ho fatto le mezze giornate a lavoro quando ancora andavo a scuola. Non ho mai chiesto soldi a mia mamma. Me li metteva lei sul comodino» • Ultimo di cinque fratelli maschi (gli altri: Ciro, Salvatore, Antonio e Gaetano) • Ricorda Padre Carlo De Angelis, parroco del rione: «Conosco la sua famiglia da tempo, conoscevo anche i suoi nonni, ho battezzato Emanuele e l’ho visto crescere qui intorno quando, un po’ per i compiti, un po’ per la piscina, frequentava il nostro oratorio». Oggi di lui dice: «Emanuele è un ragazzo come tanti, aveva bisogno di spazio ed è riuscito a farsi largo con le sue canzoni perché è riuscito a raccontare il suo vissuto» • A cinque anni si innamora dell’album Get Rich or Die Tryin’ di 50 Cent. A dodici, la sua prima canzone. Un talento naturale, emerso senza passare per accademie e reality show. «Emanuele – che, come ricordano gli abitanti del suo quartiere, veniva “trascinato” ogni mattina a scuola dalla mamma che lo teneva per mano – e la sua musica sono cresciuti insieme. “Io lo dovevo cacciare da qua dentro perché quando stava lui qua non si capiva più niente, tutti attorno a lui che rappava”. Pasquale è lo storico gestore del circolo del Napoli di Miano. Ricorda Emanuele, Manu, da piccolino, quando a 12 anni con gli amici andava a giocare a biliardino in quel ritrovo a pochi metri da casa. “Entrava per giocare con gli amici, ma poi vedeva qualcosa di particolare e si sentiva ispirato” racconta Pasquale mentre prepara il caffè “bastava che uno entrasse con un cappello un po’ diverso e lui si inventava le rime e cantava. Improvvisava spettacoli, tutta l’attenzione era per lui e qua dentro non si capiva più niente. Ero costretto a cacciarlo!”» (Elefante). «Nella sua cameretta [..], Geolier, che allora si chiamava Manu, a 13 anni rappava già con disinvoltura imitando le pose dei rapper famosi. Un freestyle senza fiato per quasi due minuti testimonia il talento dell’enfant prodige del rap […], che sforna versi per quasi due minuti. “Comm meteorit”, lo canta lui stesso “come meteorite, ti stermino”. Il sottofondo è “Into o’ rion” dei Co’Sang, celebre pezzo dell’universo rap partenopeo, cornice del mondo urban, sullo sfondo di Gomorra. “Chest’è Manu beat. So nat con Tupac, lor’ ch’Pokemon e je ncopp ‘o transalp”. Oppure “Spacc’e vetri comm’ a Clementino”. Si sentiva già grande» (Ilaria Urbani) • Ho letto che ha lavorato in fabbrica con suo fratello: le piaceva quella vita? «Lavorare in fabbrica non è semplice. Gli orari e i turni di lavoro sono stancanti. Ma il lavoro è sacro e questo è un altro insegnamento dei miei genitori, che, quando la mia vita è cambiata, non hanno capito subito cosa stessi facendo. Papà lo ha capito solo quando è venuto a uno dei miei primi live. È venuto in incognito, con la complicità di Christian, il mio personal manager e ha capito cos’è il mio mondo». Ha detto che, almeno all’inizio, aveva vergogna a pubblicare suoi pezzi: da dove derivava questa paura? «Scrivere è donare una parte di sé, e rivelare la parte più intima di sé non è mai un passo facile. Temevo il giudizio degli altri. Poi le rime mi riuscivano facile e ho voluto provarci. Il resto della storia è noto a tutti. Per me, i ragazzi e le ragazze che mi ascoltano non sono fan, ma famiglia e energia» (Mario Manca, Vanity Fair 12/5/2022) • Emanuele comincia a farsi conoscere. Imita lo stile dell’hip pop americano. Tatuaggi su braccia e gambe. Pantaloni tuta e pantaloni cargo. Giubbe modello college. Shirt manica lunga e corta. Polo. Felpe con e senza cappuccio, con scritte e disegni • Le sue canzoni raccontano un personaggio spavaldo e sfrontato. Vedansi, per esempio, Money, Ricchezza e Narcos. «Se nel videoclip della prima si vede un gruppo di mani mimare il gesto della pistola, in Narcos le immagini sono inequivocabili: valigie di soldi provento della droga, spacciatori che sparano con dei fucili a pompa, e il cantante in piedi nel cassone di un pick up che imbraccia un fucile mitragliatore Ak47 Kalashnikov, con accanto, appoggiato alla carrozzeria del fuoristrada, un lanciagranate Rpg. Nelle scene del video le armi non mancano, oltre a quelle citate si vedono anche delle pistole Glock, e perfino una mitragliatrice Gatling. In uno spezzone si vedono il rapper e le comparse svuotare, armi in pugno, una gigantesca cassaforte piena di contanti e gioielli preziosi. Nel testo, una frase che […] potrebbe essere autobiografica in relazione alle sue amicizie: “Tengo ‘nu frat criminale, ‘natu figlio ‘e ‘nu boss... io so intoccabile a Secondigliano...”» (François de Tonquédec, La Verità 18/2/2024). «Un personaggio di assoluta curiosità, contradittorio, colorito, buffo, a cominciare da quel nome d’arte in apparenza minaccioso, perché geolier in francese sta per secondino, carceriere, deriva da geôle che, in una lingua un po’ antiquata e letteraria, vale cella, prigione. Dunque, malavita? Probabilmente no, o fino a un certo punto. Mi ha spiegato un amico esperto che secondino sarebbe in realtà l’appellativo con il quale si definiscono e si chiamano i giovani di Secondigliano (troncato in Secondi’) abitanti di una delle realtà un po’ difficili intorno a Napoli dove il nostro fortunato rapper è nato e ha avuto l’idea di portare in francese l’appellativo secondi’» (Corrado Augias, Rep 13/2/2024). «Geolier è un filosofo di strada quanto lo fu Eminem ai tempi degli esordi […], e il suo verseggiare concretizza un frenetico ragionare, l’affastellarsi di pensieri, paure, desideri, affetti che s’affollano nella sua testa e sanno trovare – in modo istintivo, viscerale, naturale, come racconta lui stesso – la dimensione di liriche rap. Il risultato è sbalorditivo, per la chiarezza – a dispetto della lingua, a prima vista esoterica –, per il potere descrittivo, per la rappresentazione di uno stato d’animo che diventa plurale, collettivo, condiviso, […]. Quello di Geolier non è il mondo dei soldi, del lusso e delle griffe, ma quello del rione da cui non si può e non si vuole scappare, perché l’identità viene prima di tutto, assoggettata solamente all’attaccamento alla famiglia, che a sua volta è identità, e alla consapevolezza del valore di una crescita assieme a coetanei, amici, fratelli che vivono gli stessi sentimenti e cercano qualcuno che li sappia esprimere» (Stefano Pistolini, Foglio 14/1/2023). «Geolier non parla di rubare, uccidere, sparare. A Secondigliano sono argomenti che affiorano spesso nelle cronache, eppure il nostro in una delle sue “rappate” scrive: “Nu guaglione me facette spará. Jette â casa, c’’o dicette a papà. Isso ricette: Nn’ce vonno ‘e palle a ffá ‘e reate. Ce vonno ‘e palle a faticá ...”. In italiano corrente sarebbe: un ragazzo mi ha fatto sparare, tornato a casa l’ho detto a papà che mi ha risposto: non ci vuole molto coraggio a fare reati, il coraggio vero è quello di lavorare. Diciamo che siamo più o meno nell’atmosfera evocata dal “muratorino” nel libro Cuore di De Amicis. Non conosco molto altro di questo autore che ho qualche difficoltà a definire cantante perché i rapper sono sicuramente narratori o menestrelli, però a loro modo, hanno poco a che vedere con la musica – nel senso di emissione sonora intonata secondo regole certe. Del resto, c’è un popolo giovanile che segue con passione il rap ovunque nel mondo occidentale, essendo futile polemizzare con la contemporaneità, chi non fa parte di quel “popolo”, come il sottoscritto, si deve limitare a constatarne l’esistenza, sussurrando al più, senza pretesa d’ascolto, che non è facile chiamare musica una “musica” senza musica» (Corrado Augias) • «La realtà è che Geolier, per una fetta tutt’altro che irrilevante del Paese […] è una star assoluta. E da star si comporta: è arrivato a Sanremo con un jet privato, ha sfilato sul green carpet con una tuta del SSC Napoli […] e per la serata cover ha sfoderato un trio d’assi, da Guè a Luchè (rapper fondamentali nella sua formazione) fino al “king” Gigi D’Alessio. Il suo successo, aveva detto, è “per Napoli, per i ragazzi, per la mia famiglia”. Ed è proprio l’identificazione con i ragazzi, l’essere uno di loro e il parlare come loro, la chiave per comprenderlo. “Io arrivo da Secondigliano, a 7-8 anni lavoravo a casa a montare viti e bulloni. Agg’ faticato veramente”» (Barbara Visentin, CdS 12/2/2024) • Subito partono le polemiche • Primo filone: Geolier non canta veramente in napoletano ma in «napolese», «quella neo lingua un po’ napoletano, un po’ italiano, un po’ prestiti attinti in giro per le serie tv» (Francesco Prisco, Sole 31/1/2024) • Secondo filone: Geolier è troppo terrone, ha portato al festival della canzone italiana con una canzone in dialetto, ha messo sui social un tutorial in cui spiegava ai napoletani come taroccare il televoto. «Il lamento sudista è speculare al mugugno nordista: molti padani credono che sarebbero ricchi e felici come gli svizzeri e i bavaresi se non ci fosse il Sud, e forse anche con questo retropensiero fischiano Geolier. Sono quelli che a Napoli non vanno, o se ci vanno sperano di essere riconfermati nel proprio pregiudizio, di trovarla sporca e piagnona, per poter dire: bella, ma non ci vivrei» (Cazzullo) • «La prima sorpresa deflagrò […] quando fu pubblicato il testo del suo brano […] per lo scempio ortografico dell’idioma napoletano. La seconda sorpresa è stata l’inversione repentina di rotta degli stessi concittadini che lo avevano criticato dopo averne scoperto l’esistenza. Il contrordine è scattato in quella che passerà alla storia festivaliera come “la serata dei fischi”, quando la platea dell’Ariston ha contestato la vittoria del rapper sull’onda del televoto nel venerdì delle cover. Un’improvvisa oscillazione del pendolo, una veemente reazione identitaria che ha compattato per la prima volta dalla Repubblica del 1799 – fatti salvi i tre scudetti […] – i borghesi e la “plebe”, o per dirla alla napoletana chiattilli e tamarri […] La “voce della cultura”, che dalla polifonia del passato s’è condensata nell’ultimo decennio nella monodia giallista di Maurizio De Giovanni […], aveva così stroncato il testo di Geolier il 1° febbraio scorso: “Il napoletano non merita questo strazio”. Il 12 però, con la vittoria sanremese della lucana Angelina Mango grazie al voto “tecnico”, la “voce della cultura” ha strigliato i giornalisti della sala stampa: “Sicuri di saper fare il vostro mestiere, sì?”, precisando di avere “sempre tifato” per Geolier e di avere solamente espresso qualche riserva lieve sulla trascrizione del brano» (Francesco Palmieri, Foglio 19/2/2024) • Emanuele lì per lì non raccoglie le provocazioni. «A fiamme e scintille, ha preferito contrapporre educazione e pacatezza: “Nun fa nient’” se ci sono stati i “buu”, se alcuni spettatori dell’Ariston […] se ne sono andati. Geolier disinnesca le polemiche, sia sulla sua vittoria nel venerdì dei duetti sia sul mancato trionfo finale, nonostante una percentuale record del televoto, il 60%, fosse compatta su di lui. A protestare, tanto, ci pensa il suo esercito di fan, una vera e propria armata che lo sostiene a gran voce sui social e lo aspetta live negli stadi. Il rapper napoletano, […] ospite a Domenica In, ha preferito parlare di “momenti che aiutano a crescere” e di ‘una bella esperienza che porterò a Napoli”, dove è tornato in serata. In conferenza stampa, ha ricacciato anche le ombre di antimeridionalismo nei suoi confronti: “Forse negli anni 50, ma io sono nato nel Duemila”. Il suo secondo posto con I p’ me, tu p’ te conta come una vittoria: “Ho portato il napoletano e quindi ho realizzato i miei obiettivi. Sul palco ero con Angelina Mango, una ragazza di 20 anni come me, ed è bellissimo vedere due giovani sul podio”. Nell’abbraccio con la vincitrice, dà un’ulteriore lezione di stile […]» (Visentin) • «Mi accingevo a scrivere un elogio sperticato di Geolier, capace di restare calmo davanti alla platea che lo aveva fischiato e alla sala-stampa che gli aveva fatto perdere il Festival. Che lezione di maturità, a soli vent’anni. Avrebbe potuto incendiare gli animi, atteggiandosi a vittima di un complotto. Invece ha ridimensionato persino i sospetti di razzismo, riconoscendo che quei fischi e quei voti non intendevano esprimere disprezzo nei suoi confronti, in quanto portatore di una certa idea di napoletanità, ma stima affettuosa per Angelina Mango, in quanto portatrice di una voce e di un cognome irresistibili. Ecco, mi accingevo a scrivere tutte queste belle cose, quando Geolier è tornato a casa sua e, purtroppo, si è affacciato al balcone. Se talvolta il ritorno dell’eroe può essere irto di pericoli, l’affaccio al balcone risulta sempre esiziale. Il rapper ha guardato di sotto, dove c’era una folla che lo osannava e sparava fuochi d’artificio in suo nome, e non si è tenuto più: “Visto che loro hanno fischiato noi, fischiamo noi loro!” li ha aizzati in napoletano. Da pompiere a incendiario nel volgere di poche ore. Quale dei due sarà il vero Geolier? Forse entrambi. Anche lui, come tutti, contiene moltitudini. Proprio per questo mi permetto di dargli una dritta: si tenga lontano dai balconi. Senza scomodare precedenti eccessivi, per informazioni può chiedere al suo concittadino Di Maio, che su un balcone abolì addirittura la povertà» (Massimo Gramellini, CdS 13/2/2024).
Amori Fidanzato con una Valeria D’Agostino, influencer tatuata, oltre 300 mila follower su Instagram. Quando sono lontani lui porta con sé il suo profumo, l’Oud Santal di Royal Crown, per sentirla più vicina.
Politica «I ragazzi non credono più nella politica, nelle religioni, credono negli atleti, nei cantanti. La politica è lontana, non somiglia a noi ragazzi» (a Vanity Fair, 18/1/2024).
Curiosità Usa poco i social («Preferisco la vita reale») • «Perché non mi compro una Ferrari? Perché non sono così, sono sempre uno del rione. Voglio che i ragazzi mi vedano come un esempio» • Molto amico del portiere del Psg Gigio Donnarumma, nativo di Castellammare di Stabia • Quelli di Radio Deejay gli hanno fatto cantare una versione di I p’me, tu p’ te in dialetto veneto. «Ni altri temo do stee che e xe drio cascar/ Ti te vesti savendo che po’ el ga da spojarte/ Anca el mal ne fa star ben insieme mi e ti/ Che gavemo spera’ de star insieme par sempre mi e ti» • Si è spesso definito «un giornalista della musica». «Perché prendo tutto dalla strada, tutto da Napoli, tutto da tutto. Quando racconto qualcosa che vivo sulla mia pelle, o di più personale, mi viene meno “poetico”, invece quello che mi ispira da “giornalista” mi risulta più facile raccontarlo in modo poetico. In prima persona si vive la rabbia e la felicità e si perde forse in obiettività, se invece mi lascio ispirare dalle cose che mi stanno intorno ho un’immediatezza e una poetica diversa. Napoli per me è ispirazione continua: un bambino che gioca, una vecchietta seduta fuori, qualsiasi squarcio. E racconto quello che vedo in maniera realistica, senza filtri» • «Non mi stancherò mai di chi mi chiede una foto per strada, un selfie, di chi mi riconosce. È tutto bellissimo. Si stanca chi fa il muratore, non chi deve fare le interviste. Il mio è un onore. E non potrei mai andarmene via da Napoli, io sono Napoli» • Il macellaio del rione, Marco, ha deciso di dedicargli un panino con i suoi gusti: hamburger di scottona, cheddar, bacon, insalata croccante e una crema azzurra come il suo Napoli • Padre Carlo, il parroco che lo ha battezzato, dice: «Mi ha promesso che appena torna dall’America viene qui e sta un po’ con i ragazzini».
Titoli di coda «Non va bene che De André cantasse anche in genovese, battiato in siciliano, i Tazenda in sardo, Davide Van De sfroos nel laghée che si parla a Como? Oppure non va bene proprio il napoletano? In questo caso sarebbe antipatico e a Napoli avrebbero ragione di scocciarsi. Ma il napoletano va benissimo. E vanno bene anche queste discussioni infantili. Costringono la nazione a sentire sé stessa. Sono il nostro corso di aggiornamento. Italiani si diventa, anche così» (Beppe Severgnini).