Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  marzo 23 Sabato calendario

Biografia di Corrado Formigli

Corrado Formigli, nato a Napoli il 24 marzo 1968 (56 anni). Giornalista. Autore e conduttore televisivo. «Mi considero un conduttore inviato. Non ho mai smesso di considerarmi un inviato» (a Ferdinando Cotugno) • Nato a Napoli, dove il padre aveva trasferito da Firenze la famiglia per ragioni lavorative, si considera però fiorentino. «Firenze è la mia città. Qui ho le mie radici familiari, ad essa appartengo». «Io sono toscano, fiorentino, e mio nonno era macellaio. […] Io vengo da una famiglia di gente semplice, mica da salotti radical chic» (a Stella Pende). «Da bambino ero pazzo. Vivevo sopra gli alberi, ero sempre all’ospedale, mi sono fatto male spessissimo: i miei genitori erano disperati. E poi supplivo con questa follia, con questo coraggio a delle mie carenze: io, per esempio, non sono mai stato né particolarmente atletico né particolarmente sportivo, mi impegnavo moltissimo ma non sono mai stato particolarmente dotato. Quindi c’erano quelli che correvano più veloce di me, al mare quelli che notavano più veloce di me, quelli che erano più muscolosi di me… però, quando si trattava di conquistare una ragazza, sai come facevo io, al mare? Io ero quello che si tuffava sempre dal punto più alto, di testa: per me quel brivido nella schiena, che poi ho inseguito per tutta la vita, da un tuffo dagli scogli a 11, 12, 13 anni fino a oggi, per me era la vita, cioè per me sentire la vita era sentire quella scarica lungo la schiena» (a Nunzia De Girolamo). «Ma Corrado Formigli voleva fare il giornalista anche da piccolo? “Da piccolissimo. È sempre stato il sogno unico della mia vita professionale, da quando avevo 7, 8 anni”. E scrivevi bene? “Sì, mi piaceva tantissimo scrivere. […] A dieci anni ho scritto con la macchina da scrivere un reportage immaginario dal Sudamerica, dove non ero mai stato. Ero fissato con la geografia, quindi sapevo tutte le capitali del mondo. […] Mi piaceva molto Salgari, che è uno scrittore di fantasia, che non era mai stato nei luoghi che raccontava ma li raccontava così bene, e allora io ero intrippato e facevo questi reportage da luoghi dove non ero mai stato, però studiavo sull’atlante, leggevo, insomma ero molto curioso. In realtà il mio sogno era fare l’inviato di esteri. I miei più grandi miti erano Kapuściński ed Ettore Mo”» (Pende). Iniziò la carriera giornalistica scrivendo per «il manifesto» come inviato da Londra, grazie alla sua perseveranza e a un caso fortuito. «Io ero a Londra con la scusa di una borsa di studio dell’Erasmus: volevo fare il giornalista, avevo 22 anni, presi questa borsa di studio e andai a Londra perché avevo studiato i quotidiani che non avevano corrispondenti da lì, e uno era il manifesto. Insomma, io ero di sinistra, ho sempre avuto idee di sinistra, per cui il manifesto mi stava anche simpatico. E quindi partii per Londra e iniziai a bombardare questi del manifesto con le mie proposte di articoli, ma non mi cagavano, non mi si filavano in nessun modo. Un giorno – me lo ricordo come fosse oggi: 5 novembre 1991 – muore Robert Maxwell, il più grande editore inglese, editore del Daily Mirror, e muore cadendo misteriosamente dal suo panfilo al largo delle Canarie. Non si sa se per suicidio, se per un malore, se l’abbia ammazzato qualcuno. Dal manifesto mi chiamano alle sei del pomeriggio – si saranno ricordati di quel ragazzo rompicoglioni che proponeva loro i pezzi –: non avevano nessuno lì, e mi chiedono un pezzo. Io avevo la macchina da scrivere che mi era stata regalata dalla mia famiglia, la prima col display digitale: mi si rompe e io scrivo questo mio primo pezzo a penna e poi lo detto alla dimafonista. Va in prima pagina. Addirittura, se non ricordo male, il manifesto apre su questo fatto: e così comincio la mia collaborazione col manifesto». «In Rai […] era entrato (con Santoro […] nel ’94, l’anno di Tempo reale) da consulente esterno, a un milione e mezzo al mese. […] Formigli lega le immagini, in sala montaggio, con spregiudicatezza e imprevedibilità: “Per un anno, io che, la tv, non l’avevo mai fatta, mi sono messo zitto in un angolo a studiare Santoro, l’unico in Italia che sa montare con il piglio dell’autore”» (Aldo Fontanarosa). «Due anni dopo arriva a Mediaset come inviato di Santoro e Moby Dick. Qui racconta i massacri della guerra civile in Algeria, quelli del Kosovo e l’apartheid del Sudafrica» (Pende). «Partecipai alla diretta sul ponte di Branko, nel 1999, come inviato di Moby Dick di Michele Santoro da Belgrado. La diretta dalla guerra, per la mia cultura televisiva, assume un senso profondo quando fa parte di una campagna e vuole dire qualcosa di specifico e importante. Quella era una diretta schierata contro le bombe Nato su Belgrado: stare su quel ponte significava dire che la città non doveva essere più bombardata. La cosa aveva un valore politico, l’informazione prendeva una posizione» (ad Andrea Parrella). «A Mediaset, ci andò anche lei, quando Silvio Berlusconi c’era. “Ma Forza Italia stava all’opposizione e c’era sul piatto un tema forte come la guerra in Kosovo. Berlusconi era sensibile all’argomento, non è mai stato un guerrafondaio e le ultime sue uscite sul conflitto in Ucraina lo dimostrano. La linea di Michele Santoro, con cui lavoravo, era critica. Diciamo che ci fu una comune sensibilità. Successivamente, quando affrontammo altre vicende e parlammo di Dell’Utri, il rapporto si guastò e ce ne tornammo in Rai”» (Massimo Falcioni). Tornato in Rai, continuò a collaborare con Santoro come inviato di Circus, Il raggio verde e Sciuscià. «Poi ci fu il famoso “editto bulgaro”. “Nel 2002 fui coinvolto nella vicenda, lavoravo con Santoro. Io facevo l’inviato: chiusero Sciuscià e mi ritrovai disoccupato”» (Selvaggia Lucarelli). «Quell’editto cambiò la mia vita. A ripensarci oggi è stato la mia fortuna. […] Avevo 34 anni e la carica di inviato speciale di Rai 1 e Rai 2. Rimasi per un anno chiuso in una stanzetta a non fare niente dalla mattina alla sera. Provai a traslocare al Tg3 ma me lo impedirono. Non riuscivo a muovermi: fu un vero episodio di mobbing. Nel 2003 passai a Sky, poco prima di Ferragosto. In Rai avevo un contratto a tempo indeterminato e mi licenziai per andare a fare il precario sul satellite. Con il programma Controcorrente imparai a condurre e a confrontarmi con un editore. Lì costruii una mia squadra, e ancora oggi alcune di quelle persone continuano a stare con me». «Alla Rai continua a tornare come a una donna a cui non si può resistere. Santoro è la sua vera calamita. Va con lui ad Annozero, scrive per il Fatto e per Gioia» (Pende). Nel 2011, in seguito alla chiusura di Annozero e alla risoluzione consensuale del contratto tra la Rai e Santoro, Formigli decise di emanciparsi da quest’ultimo – non senza polemiche, soprattutto da parte dello storico mentore (a proposito del quale, all’epoca, l’allievo disse: «Michele è il mio maestro, con lui ho lavorato 12 anni, gli devo molto ma gli ho dato anche moltissimo: penso che siamo pari») – e passò a La7, rete sulla quale da allora conduce in prima serata Piazzapulita, senza tuttavia rinunciare del tutto alla sua vocazione di inviato. «È il primo giornalista italiano a entrare a Kobane, in Siria. Racconta il terrore, incontra l’Isis, arriva nella Mosul liberata» (Pende). «“È nettamente il programma di approfondimento di prima serata più longevo”, evidenzia Corrado Formigli: “siamo in onda dal 2011, e le cose che funzionano si ritoccano il meno possibile. Per questo la formula rimarrà quella del talk, sommato alle inchieste, ai reportage e a un grande lavoro sulle immagini”. […] Un rapporto, quello tra Formigli e La7, più saldo che mai. Il contratto del giornalista, che sarebbe scaduto nel settembre 2024, è già stato rinnovato per altri due anni. […] Il nuovo accordo con la rete va di pari passo allo sdoppiamento che avverrà a partire da gennaio [nel frattempo rinviato alla primavera – ndr]. “Sì, stiamo lavorando a Cento minuti, un prodotto nuovo e autonomo che andrà di lunedì, su cui stiamo concentrando tutta la nostra creatività. Lo studio sarà differente, così come la grafica e la scenografia. Sarà assente il talk e saranno, per l’appunto, cento minuti di inchiesta pura. Di fianco a me avrò Alberto Nerazzini e godrò dell’importante contributo di Davide Savelli. […] Cento minuti sarà più documentaristico, con un’impostazione registica diversa. Sarà un’altra cosa, sia per la lunghezza che per la mancanza di interruzioni pubblicitarie, per quanto possibile”» (Falcioni) • «Siete stati i primi a dare voce ad Alessandro Orsini e pure i primi a mollarlo. Come mai? “Rivendico la decisione di averlo portato in studio per primo e difendo il suo diritto di esprimere le sue opinioni a volte sconvenienti. È una persona competente e non banale, ma non mi è piaciuto il fatto che ponesse determinate condizioni”. Di che tipo? “Voleva intervenire da solo, non voleva confrontarsi con certi ospiti e magari ne preferiva altri. Non abbiamo accettato le sue richieste. Piazzapulita è un luogo dove ci deve essere comunque una pluralità e le condizioni poste non sempre sono accettabili”» (Falcioni). «Come per il Covid, il tema guerra ha i suoi personaggi rappresentativi in tv. C’è differenza tra questi ‘bestiari’? “C’è una differenza enorme. Il Covid imponeva di inchinarsi alla competenza, perché, la scienza, noi non la conosciamo. Io non so come sia fatta una proteina spike e non capisco come agisca un vaccino e come interagisca con tutte le funzioni vitali dell’essere umano. Ma il tema della guerra e della pace non è solo per addetti ai lavori: io, questo, lo rifiuto. Un filosofo non può pensare a cosa sia la guerra? Un giornalista che ha seguito conflitti non può parlare di questi temi? Chiaro che ci affidiamo agli esperti per capirne sfumature e risvolti, ma per essere pacifisti o interventisti non c’è bisogno di essere laureati in relazioni internazionali e studi strategici. Mentre, se il vaccino funzioni o meno, è uno scienziato a poterlo dire”» (Parrella). «Enrico Mentana dice che lui, i filo-Putin, non li invita. “Christiane Amanpour ha intervistato Peskov, il portavoce di Putin, e mi pare che Mentana l’abbia mandata in onda. Io in trasmissione inviterei anche Putin”. Come si intervista Putin? “Bisogna fare una mediazione, e non da megafono. Fare tutte le domande. Se avessi potuto, io avrei intervistato anche Bin Laden. E se fossi vissuto nella Seconda guerra mondiale pure Hitler”» (Concetto Vecchio) • «Giorgia Meloni non sopporta le critiche né il dissenso. Ha una concezione autoritaria dell’informazione. […] Sono anni che non solo rifiuta di venire a Piazzapulita, ma lo vieta anche all’ultimo consigliere dell’ultimo comune italiano, come se fossero marionette incapaci di decidere per conto loro» (a Giovanna Vitale). «Ha ancora senso gridare al pericolo fascista o si corre il rischio di alimentare una narrazione ormai superata? “Che ci sia anche un problema legato alla memoria è evidente. Non sopporto chi si infastidisce perché si solleva il problema del fascismo. […] Quando la Meloni si dichiarerà apertamente antifascista, secondo me le polemiche si chiuderanno. Ma a quel punto dovrà cacciare certi elementi dal suo partito”. […] Si appassionò al movimento delle Sardine, ora è il turno degli ambientalisti di Ultima generazione. Dà loro ampio spazio e, di fronte a certe azioni, utilizza un tono che pare assolutorio. “A me un ragazzo che si batte per l’ambiente, seppur con la sua ingenuità e irruenza, sta simpatico e non lo criminalizzo. È sempre meglio che stare a casa a rincoglionirsi su TikTok. […] Queste proteste vanno guardate con attenzione. Mi dà fastidio che vengano ridicolizzate. Ho dei figli e mi preoccupo del loro futuro. Fossi giovane sarei arrabbiato come o più di loro”. Da Piazzapulita è partita l’ascesa mediatica di Stefano Bandecchi. Nutre qualche pentimento in tal senso? “La tv ha ancora un suo potere, poi non so quanto il suo successo sia dipeso dalle partecipazioni a Piazzapulita. Penso abbia vinto a Terni perché c’è voglia dell’uomo forte. Un’idea che ha a che fare con la nostalgia verso un’epoca fortunatamente passata. […] Io non ho preclusioni. Ho avuto in studio esponenti di CasaPound, ho intervistato David Irving, che affermò robe terribili sulle camere a gas. Non ho mai regalato nulla: faccio semplicemente il mio lavoro. […] I talk registrano quello che già c’è: siamo dei sismografi”» (Falcioni) • «È importante chiarire che il talk show è un genere televisivo che si regge su alcune regole fondamentali: può cambiare il mix di elementi, ma un punto invariabile è che si basa su un confronto di idee differenti e sul tentativo di dare al pubblico in maniera fruibile e accattivante gli ingredienti e gli elementi per farsi una propria idea. […] I critici facciano pace con questa cosa: i talk show devono garantire una pluralità e farlo in modo vivace. Il genere, fino a prova contraria, si compone di due parole: talk e show» • Sposato in seconde nozze con la giornalista Stella Prudente, tre figli: Viola (in onore della Fiorentina), Sofia e Giorgio • «Malato di velocità, vado matto per le curve, l’America, il curry e la Fiorentina. Il mio giornalista preferito è Edward R. Murrow, i programmi culto Top Gear e Sixty Minutes, più una passione insana per Masterchef» • Soffre di emicrania (senza aura) sin da quando aveva 12 anni. «“La svolta è stata una nuova terapia a base di anticorpi monoclonali. […] Sono riuscito a entrare nel protocollo di cura grazie alla gravità della malattia. Avevo fino a 10 crisi al mese. Niente faceva effetto. Una sofferenza indicibile”. […] Il ricordo peggiore? “Dicembre 2014: sono il primo cronista italiano a entrare a Kobane, in Siria, passando per la Turchia. Scordo lo zainetto con i farmaci nell’auto di un contrabbandiere. Disperato, devastato, vado in diretta. Il caschetto in testa acuisce il dolore. È stato il servizio più importante della mia professione e il peggiore momento della mia vita”» (Margherita De Bac) • «Io ho una paura terribile delle malattie. […] Io ho paura di ammalarmi, non ho paura di morire. Sono un ipocondriaco» • «Io sono una persona molto fumantina, incazzoso si dice. A volte è successo che poi sia esploso di colpo: esce fuori la natura un po’ toscanaccia, fiorentina» • «Nell’anima e nella vita più inviato che conduttore» (Pende). «Camicia bianca, sguardo dolente, Formigli dà sempre l’impressione di affrontare problemi più complessi delle sue competenze: non è colpa sua, sono le regole del talk» (Aldo Grasso). «Essere bravi non basta a essere buoni maestri: quelli che hanno lavorato con Santoro sono tutti dei disastri. È come se da lui avessero preso solo l’ego e non il talento. Poi l’altra sera [il 31 marzo 2022 – ndr] Santoro va ospite del più belloccio dei suoi ex allievi, Corrado Formigli. È una mezz’ora straziante. […] Perché è evidente che Formigli pensa d’essere Giotto che ospita Cimabue per dimostrargli che ora il genio è lui, che l’ha superato, che conosce le regole del mestiere e gliene farà dono. Solo che quello è Cimabue ma l’altro è un allievo brocco di cui la storia non ci ha consegnato il nome, mica Giotto. È come se Andreotti andasse ospite di Giuseppe Conte. È tutt’un sottotesto di “Io sono ancora grande, sei tu che sei rimasto piccolo”. È l’impietoso confronto tra uno che ha del mestiere e uno che ha degli anelli» (Guia Soncini). «Chi si crede di essere, Vyšinskij? […] Siccome hanno i magistrati dalla loro parte, pensano di poter fare quello che vogliono. Convocano i leader politici e pretendono di far dire loro quello che ritengono giusto. Formigli viene dalla scuola di Santoro ma Santoro è un vero giornalista. Questo è più vicino a Travaglio. Di loro io do un giudizio molto aspro. Travaglio e Formigli sono “guardie”» (Piero Sansonetti) • «Chi sono stati i suoi maestri? “Due nomi: Vittorio Zucconi e Giampaolo Pansa. Per la curiosità che avevano e per la capacità di scrittura”» (Cotugno) • «Un luogo di quelli visitati da inviato che continua a tornarle in mente? “La Siria e il Nord dell’Iraq. Posti terribili in cui ho fatto alcuni degli incontri più straordinari e importanti della mia vita. Famiglie devastate dalla furia del terrorismo, giovani madri che avevano visto uccidere i figli. Ho conosciuto la guerra nella sua più spaventosa brutalità: posti aridi, duri, che non concedono niente all’occhio ma contengono straordinaria umanità”» (Cotugno). «Io non rinuncerò mai a fare l’inviato» • «L’immaginazione conta in questo mestiere? “Sì, perché dobbiamo riempire gli spazi vuoti. Raccontare ciò che vediamo e interpretare ciò che non vediamo, immaginare ciò che non ci viene mostrato. Nella scrittura l’immaginazione è tutto: dobbiamo saper trovare il modo di raccontare suggestioni, emozioni, toccare certe corde. Dico sempre ai miei che il punto non è essere oggettivi, ma raccontare emozioni. Un reportage è un quadro impressionistico di come noi vediamo la realtà. Mettere soggettività in un pezzo non è sbagliato: basta dichiararlo, non far passare come oggettivo qualcosa che è soggettivo”» (Cotugno) • «È ancora una buona idea mettersi in testa di fare il giornalista? “Ho tre figli e mi piacerebbe che uno diventasse giornalista. Vorrei che provassero le stesse passioni. È il mestiere più bello del mondo, perché cambia sempre e mette in gioco i valori profondi in cui crediamo, ha ancora un côté di missione di civile. Come i medici e gli scienziati, anche noi possiamo curare il mondo, renderlo migliore. La scienza ci salverà la vita, ma l’informazione appartiene a tutti, è un bene pubblico, e con la pandemia lo abbiamo capito benissimo. E poi è un lavoro divertente”» (Cotugno) • «La libertà di stampa è fondamentale, certo, ma almeno quanto il divieto di cialtroneria per i giornalisti. Sbagliare qualcosa, non va dimenticato, può rovinare la vita di qualcuno» • «“Se rinascessi altre dieci volte, rifarei sempre il giornalista”. All’undicesima? “Farei il pilota. Mi piace correre in pista: adrenalina e divertimento puro”» (Manuela Croci).