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 2024  febbraio 05 Lunedì calendario

Biografia di Carlo Nordio

Carlo Nordio, nato a Treviso il 6 febbraio 1947 (77 anni). Ex Magistrato. Politico. Già procuratore aggiunto di Venezia, protagonista della stagione di Mani pulite con la celebre inchiesta sulle cooperative rosse. Dal 22 ottobre 2022 ministro della Giustizia nel governo Meloni.
Vita «Laureato in Giurisprudenza a Padova nel 1970 e dal 1977 procuratore a Venezia, la sua vita professionale si è svolta in un triangolo di 80 chilometri quadrati che nel 2022 è diventato il suo collegio elettorale […] Fino a 65 anni è rimasto sostituto procuratore, è diventato aggiunto solo nel 2009 e ha gestito la procura veneziana come facente funzioni nell’anno del pensionamento, nel 2017, prima della nomina del nuovo capo. “Mettermi a dirigere un ufficio sarebbe stato come mettere un pilota da guerra dietro una scrivania. A me piaceva fare i processi”, dice lui. Eppure, una delle malignità di procura è che Nordio non sia mai stato uno stakanovista e che la luce del suo ufficio alle 17 fosse spesso spenta. Voci che Nordio quasi conferma: “Sono del parere che un magistrato non debba mai lavorare troppo. Sa quanti magistrati stanchi ho visto commettere errori tremendi? Meglio prendersi del tempo, piuttosto che fare danni”. Del resto, non ha mai vissuto la magistratura come una missione o un sacerdozio e, al momento della pensione, ha consigliato ai giovani colleghi: “Leggete qualche libro in più e qualche saggio giuridico in meno”» (Giulia Merlo) • «Entra in magistratura nel 1977, anno di violenza politica, specie in Veneto. Si occupa di Brigate rosse. Smantella la colonna veneta: “Giravo scortato e armato, ricevevo lettere con la stella a cinque punte, ma ricordo che erano in gioco lo Stato e la democrazia”. In quanto a difesa della democrazia, partecipa alla stagione di Mani Pulite, segnata in Veneto dalle parabole dei ministri Gianni De Michelis, socialista, e Carlo Bernini, democristiano, con tanto di arresti preventivi e intercettazioni quanto basta. Salvo pentirsi di quasi tutto. Dei colleghi milanesi di Mani Pulite “che indagano con finalità politiche”. Degli arresti preventivi perché contraddicono “una giustizia che garantisca la presunzione di innocenza”. E delle intercettazioni “che sono uno strumento micidiale di delegittimazione personale e spesso politica”. Per non dire della lunghezza delle indagini a strascico. Tutte considerazioni che andavano di pari passo alle sue lunghe inchieste a strascico sulle cooperative rosse – anni 1993-98 – 278 indagati, compresi i due bersagli grossi, Achille Occhetto e Massimo D’Alema, che fecero titolo sui giornali, ma niente arrosto nelle indagini. Fino a quando l’ufficio dell’Udienza preliminare gli chiese di spedire i fascicoli alla competente Procura di Roma. Ordinanza che lesse e dimenticò nei cassetti per andarsene a cena. Cena che in quel caso durò fino al 2004, quando saltò fuori il trascurabile misfatto, i due indagati immediatamente prescritti e poi risarciti con 9 mila euro a testa per “ingiustificato ritardo”, non dal pm Nordio, già diventato il castigamatti dei pm, ma dallo Stato. Nelle vesti di procuratore aggiunto ha coordinato l’inchiesta sulle tangenti al Mose, le barriere architettoniche che fanno argine all’acqua alta di Venezia, 35 arresti preventivi, intercettazioni illimitate, un centinaio di indagati, tra i quali il sindaco Orsoni, pd, il consigliere politico di Giulio Tremonti, Marco Milanese, Forza Italia, e quel capolavoro di Giancarlo Galan, presidente della Regione Veneto, berlusconiano in purezza, ex Publitalia, che obbligato a restituire la villa dove abitava sui Colli Euganei, come acconto per i 15 milioni di maltolto, si portò via i sanitari e i caloriferi, smontati a martellate dai muri. Nordio considera il suo punto di svolta quando nel 2000 convalidò l’arresto di un geometra che aveva appena caricato una prostituta moldava. E che si suicidò per la vergogna, appena scarcerato. “Mi portò a riflettere su quante misure cautelari potevano essere evitate”» (Pino Corrias) • «Nordio non è mai stato un paladino di Mani pulite, anche se nel suo Veneto ha usato la ramazza, non è stato un cultore del giustizialismo, del partito dei manettari e del girotondismo. Per questo l’hanno contrapposto ad Antonio Di Pietro instaurando un paragone rozzo se non altro perché i due parlano lingue diverse: il dipietrese è uno slang sgangherato e inimitabile, l’italiano di Nordio è quello elegante e denso di reminiscenze di chi ha macinato migliaia di pagine di letture classiche e moderne; altri hanno provato a costruire il santino della toga azzurra, sempre in contrasto con il Pool milanese. Questioni di bussola: Mani pulite smantellava il pentapartito e dava l’assalto al berlusconismo, lui in simultanea puntava i riflettori su D’Alema e il Pci-Pds. In realtà, la cifra dell’uomo è assai più complessa e non è etichettabile, non è assimilabile e nemmeno adottabile ammesso che qualcuno ci abbia provato. Certo, l’assalto al vecchio monolite rosso, la sfida alle coop conclusa con il fallimento dell’assedio a Botteghe oscure può aver pesato sull’immagine di Nordio, ma il parallelo con gli illustri colleghi di rito ambrosiano, con i Caselli e tutti gli altri che hanno invaso le prime pagine dei quotidiani, è fuorviante. Perché Nordio non ha mai amato il messianismo di tanti magistrati da copertina, perché lui è sempre stato estraneo ai giochi di corrente della potente Associazione nazionale magistrati» (Stefano Zurlo) • «Noi magistrati tra il 1992 e il 1993 siamo intervenuti in modo molto violento come forse era necessario in quel momento storico. Io stesso ho usato l’arma della custodia cautelare in modo assai severo e credo di essere stato uno dei pochi a fare autocritica. Non sempre ciò che è legittimo – e le nostre armi lo erano tutte – è anche necessario e opportuno. Non credo nella teoria che la magistratura abbia usato due pesi e due misure. Né a Milano, né a Venezia, né altrove. Penso che la difficoltà delle indagini sulle varie forze politiche fosse determinata dal sistema diverso di finanziarsi che queste avevano. C’era chi lo faceva in modo grossolano e chi in modo raffinato» (da un’intervista di Enrico Caiano) • «I giudici fanno troppa politica? “Credo che un magistrato non debba entrare in politica mentre è in carica e nemmeno dopo che è andato in pensione, soprattutto se nella sua carriera si è occupato di indagini che hanno avuto conseguenze politiche. Le pare che dopo aver incarcerato il governatore del Veneto e il sindaco di Venezia, io potrei candidarmi a prendere il loro posto? Sarebbe di pessimo gusto”» (a Pietro Senaldi nel 2016) • Candidato da Giorgia Meloni nelle liste di Fratelli d’Italia alle politiche del 2022, eletto alla Camera. La sua nomina a Guardasigilli è stata al centro di uno scontro tra Meloni e Silvio Berlusconi, che voleva indicare il ministro della Giustizia. «È stato al centro di un braccio di ferro “tra i più tesi di tutta la vigilia del nuovo governo”, è il liberatorio commento che arriva dai suoi, mentre Berlusconi ha perso anche questa partita, e Giorgia Meloni infila ormai l’uscita del Quirinale. Eppure il nome di Carlo Nordio, neodeputato e nuovo ministro della Giustizia, magistrato fino al 2017, “non è mai stato in discussione neanche per un’ora”, da parte della premier. E non è difficile capire perché. Toga simbolo delle battaglie di destra: per la separazione delle carriere e per il ripristino dell’immunità parlamentare; contro “l’abuso” della custodia cautelare e delle intercettazioni nelle indagini, nemico delle correnti, Nordio è forse uno dei pochi pm storicamente “avversario” dei colleghi dell’accusa. Ma, da Venezia, con rigore non discutibile, ha indagato sia sulle coop rosse – negli anni in cui duellava coi colleghi di Mani Pulite – sia sul sistema corruttivo del Mose che più di recente, ha travolto l’ex ministro e governatore di FI del Veneto, Giancarlo Galan. Nordio si è battuto anche per i 5 Sì ai referendum: poi clamorosamente falliti. Forse uno dei pochi versanti, quest’ultimo, che lo ha visto su posizioni distanti da Meloni: FdI era infatti per il No alla demolizione della legge Severino, mentre il neo ministro – sebbene non la consideri una priorità – è convinto che vada pesantemente limitata» (Conchita Sannino) • «Soprattutto in tempi recenti e nei suoi numerosi editoriali sul Messaggero (fino alle elezioni del 2022, ndr), il ministro Nordio ha sostenuto posizioni non molto popolari all’interno di alcune correnti della magistratura: per esempio che le carriere dei pubblici ministeri (cioè i magistrati che indagano: la pubblica accusa) e le carriere dei giudici (cioè i magistrati che esprimono le sentenze) andrebbero separate, o che la carcerazione preventiva andrebbe limitata. Nell’agosto del 2019, quando il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle erano in procinto di allearsi, Nordio scrisse che il prezzo da pagare per quell’alleanza era il “ripudio di quella timida tendenza garantista che in questi ultimi anni il PD era andato assumendo proprio sulla giustizia” […] Si possono fare soltanto ipotesi sulle ragioni di questa scelta da parte di Meloni. Al di là della stima personale che Meloni dice da tempo di avere verso Nordio, una spiegazione è che Fratelli d’Italia e Meloni non volessero lasciare un ministero importante come quello della Giustizia agli altri partiti della coalizione, che avevano candidati altrettanto titolati per svolgere quel ruolo: la Lega proponeva l’avvocata Giulia Bongiorno mentre Forza Italia l’ex presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, anche lei avvocata. L’unica strada per Meloni era proporre un ministro “tecnico” ma riconducibile alla destra e ritenuto autorevole anche dai suoi alleati: Carlo Nordio rispondeva perfettamente a questi requisiti, nonostante le sue idee non fossero del tutto in linea con quelle di Fratelli d’Italia e della Lega» (il Post) • «Per l’età e la sapienza storica si paragona a Churchill. D’aspetto si è gemellato a Giordano Bruno Guerri, quello che vive al Vittoriale con i fantasmi dannunziani. Invece è solo il dottor Carlo Nordio da Treviso, detto l’Intermittente, qualche volta burbero di legge, sempre elegante nei modi, bon vivant per prassi quotidiana e cene veneziane. Ex magistrato di laguna. Neo ministro di lotta e sorprendentemente di governo, visto che per quarant’anni ha ripetuto che un “un magistrato mai e poi mai sarebbe dovuto scendere in politica”. Nemmeno da ex. Tuttavia a 75 anni compiuti, la noiosa pensione gli ha suggerito l’ascensione tra i velluti di Montecitorio con 115 mila voti incassati dai suoi fratelli d’Italia proprio nel collegio dove operò da magistrato, circostanza in verità non del tutto opportuna, ma a lui concessa senza polemiche, vista la fama locale che la bella carriera gli ha concesso. Oltre a un ben temperato salvacondotto che si è guadagnato nel tempo per essere contemporaneamente di destra nella giurisprudenza che punisce e insieme garantista nei convegni di dottrina, dunque prudentemente equidistante tra gli eterni contendenti che in politica si annettono il premio elettorale di una giustizia forte con i deboli, cioè i poveracci, e debolissima con i forti, titolari del quieto vivere e delle carriere. E quindi astro nascente della Nazione securitaria di Giorgia Meloni. Nonché paladino della “difesa sempre legittima” che piace agli spaventati guerrieri di Matteo Salvini» (Pino Corrias) • «Con il suo impegno di governo, le rimarrà poco tempo libero. Che cosa ne fa? “Ritorno nella mia amata Treviso. Leggo e cerco di fare un po’ di sport”. Esiste un personaggio al quale si è ispirato? “Politicamente parlando Churchill, filosoficamente Pascal”. Qual è la più bella parola che le viene in mente? “È una frase di Pascal ‘Tutto rispetto al nulla e nulla rispetto al tutto’”. E la parola più brutta? “Invidia”. La qualità che apprezza di più negli altri? “Il coraggio”. Che cosa disprezza nei comportamenti del prossimo? “La viltà”. Quali compositori troviamo nel suo concerto ideale? “Mozart di pomeriggio, Beethoven la sera e Bach di notte”. Qual è il libro della sua vita? “I Pensieri di Pascal”. C’è un gioco al quale le piace giocare? “Non gioco a nessun gioco” Neanche uno sport? “Nuoto molto. Montavo a cavallo, fino a due anni fa, quando mi è morto con il Covid. Adesso temo di non essere in grado di prenderne un altro per ovvie ragioni. Il cavallo mi manca molto perché andavo con mia moglie Maria Pia in campagna a fare le passeggiate la domenica”. I cinque comandamenti che hanno guidato la sua vita. “Prima di tutto il coraggio: di portare avanti le proprie idee, di sostenerle costi quel che costi. Poi l’indulgenza benevola verso i difetti altrui. La necessità di essere curiosi. La dotta ignoranza: sapere di non sapere. Mai da ultimo la Pietas Cristiana”. La sua scala degli affetti. “Ovviamente la famiglia, mia moglie Maria Pia, l’amore di una vita. Poi, le grandi figure del passato, soprattutto quelle che hanno fatto del bene all’umanità anche se sono morte. Penso nella bontà a Madre Teresa e nella politica a uno come Churchill che ha salvato la libertà occidentale. E poi gli animali: io sono un gattaro”. Nella sua carriera, le è mai accaduto di dover constatare amaramente che la legge non è uguale per tutti? “Sì, molte volte non lo è, perché il patrimonio di sofferenza, parlo della legge penale che subisce l’imputato, non dipende solo dalla legge, ma dipende dalla qualità dell’imputato. Un’informazione di garanzia mandata a un pluripregiudicato non provoca la stessa sofferenza di una mandata a un sindaco o a un giornalista. Quindi la legge, che è uguale per tutti, non ha conseguenze uguali per tutti”» (a Paolo Graldi) • «Il Beccaria della Laguna» (Marco Travaglio) • Tra i libri: In attesa di giustizia. Dialogo sulle riforme possibili (con Giuliano Pisapia, Guerini e Associati, 2010), Operazione Grifone (Mondadori, 2014), Overlord (Mondadori, 2016) e Giustizia. Ultimo atto. Da Tangentopoli al crollo della magistratura (Guerini e Associati, 2022).