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 2024  febbraio 06 Martedì calendario

Biografia di Vasco Rossi

Vasco Rossi, nato a Zocca (Modena) il 7 febbraio 1952 (72 anni). Cantautore. Oltre 40 milioni di dischi venduti. «Dal vivo sono ancora il numero 1, il numero 2 e il numero 3» • Figlio di una casalinga e di un camionista. «Mi chiamo Vasco come un compagno di prigionia di mio padre. Dopo l’8 settembre i tedeschi lo portarono nel campo vicino a Dortmund, in Germania. Papà, che si chiamava Giovanni Carlo, fu uno dei 600 mila che preferirono restare nei lager piuttosto che combattere al fianco dei nazisti. Il campo fu bombardato: lui cadde nel cratere di una bomba, questo Vasco lo tirò su, gli salvò la vita. Non si rividero più, non so se sia sopravvissuto. Tanti suoi amici morirono di fatica. Papà tornò a casa dopo due anni. Pesava 35 chili. […] Io sono nato sopra l’osteria di mio nonno Breno, con una enne sola, a Zocca, e sono cresciuto nel periodo più felice degli ultimi duemila anni. La guerra era finita, finito il fascismo, finite le esecuzioni di massa dei tedeschi. Gli scampati e i neonati erano vivaci, allegri. […] La domenica si facevano feste dove ti sedevi a tavola a mezzogiorno e ti alzavi all’una di notte. Mia mamma Novella mi portava al bar – in casa non avevamo la tv – a vedere le prime edizioni del Festival di Sanremo, mi faceva imparare le canzoni a memoria, e alle feste salivo sulla sedia a cantarle: “Chi gettò la luna nel rio, chi la gettò…”. Oppure recitavo poesie autobiografiche: “Io sono un bel bambino con gli occhi azzurri color del mare…”. […] Mio nonno materno, Luigi, suonava la chitarra, e tutti ballavano il valzer. […] A Modena è legata la mia prima affermazione musicale: “L’usignolo d’oro”. Ovviamente mi aveva iscritto la mamma. Mi avevano allenato a Vignola con la fisarmonica, avevo preso lezioni di canto dal maestro Bononcini: vocalizzi da 40 minuti. Votavano bambini poco più grandi di noi, con le palette. Presi tutti 10 e vinsi clamorosamente, con la canzone Come nelle fiabe. Ero allibito: non me l’aspettavo. Il primo premio era una bicicletta. Il giornale locale scrisse che aveva vinto un pastorello che portava le pecore al pascolo. […] La magia finì quando tornai a Modena per andare in collegio dai salesiani. Noi montanari eravamo come adesso i migranti. […] In città fui schernito, isolato: ci soffrii molto. Mi bocciarono subito, ma tanto ero un anno avanti» (ad Aldo Cazzullo). «Io in quel periodo mi ero totalmente chiuso, non mi sono fatto neanche un amico nuovo. Per fortuna c’era un ragazzo che conoscevo, anche lui di Zocca, e Sergio Silvestri, con cui suonavo la chitarra. Quella è stata la mia salvezza: ci lasciavano due volte la settimana un paio d’ore per esercitarci, a me e Silvestri» (a Luca Valtorta). «Intorno ai 14 anni aveva fondato la sua prima band, i Little Boys, a 16 aveva cominciato a comporre canzoni, a suo dire tutte orrende. E più o meno alla stessa età suonava la chitarra in un’orchestra di liscio. Nel 1973 aveva organizzato la sua prima messa rock (che sarebbe rimasta l’unica, nonostante il grande successo)» (Enrica Brocardo). Nel frattempo, concluse le scuole medie, «ho fatto ragioneria, una scuola assurda: impari cose per cui basterebbe un corso di tre mesi, ed esci di lì senza sapere che sono vissuti Socrate e Platone». «“A quei tempi facevo parte di un collettivo teatrale, e per me era una cosa molto importante perché leggevo Eugène Ionesco e facevamo teatro sperimentale. Il Dams, che nasceva proprio quell’anno lì, aveva bisogno di un gruppo che aiutasse chi si iscriveva a fare i primi esercizi: quelli di respirazione e così via. Per cui ci avevano messo a disposizione una sala e noi avevamo questo compito qua, tanto che ci hanno fatto addirittura una proposta: vi potete iscrivere direttamente al Dams senza fare la quinta. Arrivo a casa, vado da mio padre, contento come un pazzo, e glielo dico. E lui mi fa: ‘Dams? Che cos’è il Dams? Tu intanto ti prendi il tuo bel diploma da ragioniere e poi ne riparliamo’”. Com’è finita? “Lì non c’è stato verso. Così ho portato a casa il diploma e gli ho detto: ‘Adesso però, il ragioniere, lo fai te: io non ho nessuna intenzione di farlo’. Pensa che mi aveva già trovato un lavoro in una banca vicino a Zocca e io non l’ho accettato; mia zia non ci credeva! Allora gli ho detto: ‘Adesso mi iscrivo al Dams’. Ma niente. Mi fa: ‘Non se ne parla. Se vuoi, fai Economia e commercio’. A quei tempi non c’era molto spazio per la discussione. ‘Se no vai a lavorare’, replicò lui. E io: ‘Vabbè, hai vinto tu, allora faccio Economia e commercio’”. […] “Non me ne fregava niente, di studiare quelle materie, ma dovevo essere in pari con gli esami per prendere il ‘presalario’: ti davano la bellezza di 500 mila lire. Per quella cifra avrei fatto qualsiasi cosa. L’ho preso per due anni: la prima volta che vidi tutti questi pezzi da 50 non ci credevo, ci potevo comprare quattro o cinque chitarre!”. E invece… “Invece comprai una moto: una Honda 750 usata che è stata la mia libertà”. […] “Dopo due anni in cui gli avevo dimostrato che potevo farcela, non sopportavo più di andare avanti, e così una sera sono andato a casa e gli ho detto: ‘Allora, senti, se devo fare la vita che vuoi tu, basta, piuttosto vado a lavorare, perché questa roba qua, a me, non mi interessa, non mi interessa proprio’. Alla fine mi ha lasciato cambiare”. E cosa hai fatto? “Volevo fare lo psicoanalista, anche per capire un po’ che cazzo c’avevo nella testa. Prendevo tutti 30 perché mi piaceva moltissimo, ma nel frattempo è arrivata l’idea di fare una radio libera, e lì ho visto un treno che passava e ho capito che era la mia occasione e che non si sarebbe mai più ripresentata, così l’ho preso”» (Valtorta). Nel 1975 fondò Punto Radio, «con gli amici di Zocca. Io ero pure l’amministratore, ma di conti non capivo nulla. La vendemmo al Pci, pensando che l’avrebbero lasciata a noi: mi misero a fare il muratore, lavorai per sei mesi a 8 mila lire l’ora, per sistemare i locali, piazzare i pannelli». «Forma quindi i Puntautori, poi lavora come dj nel locale Snoopy di Modena. Due amici, Maurizio Solieri (poi suo chitarrista) e Gaetano Curreri (poi leader degli Stadio), lo spingono a incidere le sue canzoni. Nel 1977 pubblica il primo 45 giri, Jenny/Silvia, presentato con un’esibizione live presso l’aula magna dell’istituto scolastico Corni di Modena. Il primo album, Ma cosa vuoi che sia una canzone del 1978, è arrangiato da Curreri. In quello dell’anno dopo, Non siamo mica gli americani!, trova posto Albachiara, che diverrà poi uno dei suoi brani più noti» (Attilio Recupero). «Papà morì a 56 anni. Un ictus, mentre faceva manovra con il camion, tra i silos di Trieste. Sono andato a prenderlo. Fu uno choc terribile. La mia vita cambiò. Cominciai a fare sul serio; fino ad allora avevo scherzato. […] Dopo la morte, mio padre mi è entrato dentro. Mi ha lasciato la sua parte combattente, testarda, che si è unita alle malinconie, alle gioie, alle canzoni che mi arrivano da mia madre. Allora è cominciata la guerra. E da cantautore sono diventato un rocker. […] Avevo già fatto i primi due concerti, organizzati da Bibi Ballandi, in piazza Maggiore a Bologna e nei magazzini della Fiera: non c’era nulla, neanche gli strumenti, dovemmo portarli da casa. La svolta fu il terzo concerto, a Vicenza. La piazza si svuotò subito, e questo l’avevo messo in conto; ma poi un gruppo di ragazzotti al bar cominciò a tirarci le freccette di carta. Mentre tornavo a casa in macchina mi sono detto: io non permetterò mai più a nessuno di trattarmi così; la prossima volta che uno tenta di disturbare un mio concerto, scendo dal palco e lo prendo a pugni». «A Bibi Ballandi si deve il primo passaggio in tv all’Altra domenica di Renzo Arbore con la canzone (Per quello che ho da fare) Faccio il militare. Arbore fu uno dei primi a credere in lui: “Ecco un nuovo Battisti, ma diverso”. A proposito, […] pur di evitare la leva Vasco si autodenunciò come farmaco-dipendente. Amfetamine, nello specifico. Per dirla con parole sue, “piuttosto che buttare via un anno ho preferito sputtanarmi”» (Brocardo). «Esonerato dal servizio militare, Rossi compie il primo tour interregionale tra Emilia, Lombardia e Toscana. Con Colpa d’Alfredo (1980) e il singolo Non l’hai mica capito arrivano i primi riscontri ma anche, in seguito a un’apparizione televisiva, gli attacchi del giornalista Nantas Salvalaggio, che lo addita come esempio diseducativo, regalandogli però una certa popolarità. Il 1981 vede l’uscita di Siamo solo noi, il cui brano omonimo diventa una sorta di inno per i fan, grazie alla capacità di offrire loro un senso di appartenenza. […] Il 1982 è l’anno della prima partecipazione al Festival di Sanremo: Vasco Rossi si classifica ultimo con Vado al massimo, un reggae contenuto nel disco omonimo. […] I concerti iniziano a stare stretti nelle discoteche, ma la consacrazione vera arriva di lì a poco, quando Rossi è di nuovo al Festival (dove tornerà solo nel 2005 come ospite) con Vita spericolata. Al di là del penultimo posto in gara, la canzone, scritta con Tullio Ferro e interpretata in stato di alterazione, dà all’artista un’immensa popolarità, facendolo diventare il più affermato cantante italiano, oggetto di una sorta di mitizzazione. Il brano lancia l’album Bollicine, con il singolo omonimo che vince il Festivalbar, e un tour di grande successo» (Recupero). «Quando viene arrestato per detenzione di cocaina nel 1984, Vasco ha già pubblicato sei album, uno all’anno. Non che non sia famoso. Eppure, in quegli anni, l’idea di poter radunare decine di migliaia di persone ai concerti è inconcepibile per qualunque artista italiano. […] È il suo manager di allora, Enrico Rovelli, nel 1989, a proporgli di tentare, per l’estate successiva, gli stadi: San Siro a Milano e il Flaminio a Roma. […] Quell’anno a Milano arrivano in 70 mila, 45 mila a Roma» (Brocardo). «Tra le non molte canzoni scritte per altri, nel 1997 c’è la stupenda E dimmi che non vuoi morire per Patty Pravo, composta con Curreri e Roberto Ferri. L’anno dopo pubblica Canzoni per me, grazie al quale debutta al Premio Tenco (dove esegue, forse provocatoriamente, una cover di Supermarket di Battisti), che gli assegna la Targa per il miglior disco; vince il Festivalbar con Io no, si esibisce in un celebrato concerto all’autodromo di Imola di fronte a più di 100.000 spettatori e costituisce la scuderia di moto “Vasco Rossi Racing”. […] Nel 2001 è la volta di Stupido hotel; Rossi vince per la terza volta il Festivalbar con Ti prendo e ti porto via. Nel 2003 si svolgono tre serate […] sold out allo stadio Meazza di Milano per 240.000 paganti» (Recupero). Successo ancora più clamoroso, il 1° luglio 2017, per il concerto-evento «Modena Park 2017», allestito al parco Enzo Ferrari di Modena per celebrare i suoi 40 anni di carriera: oltre 220 mila biglietti venduti, primato mondiale di spettatori paganti per un singolo concerto. «Dopo Modena Park avevo pensato di smettere, perché, dopo che hai fatto un concerto così, che cosa puoi fare di più? Tanto vale chiudere lì. Però invece ho deciso di ricominciare come se fossi ritornato all’inizio». Tra le ultime uscite discografiche, l’album in studio Siamo qui (2021), il singolo Gli sbagli che fai e la raccolta Il supervissuto (2023). Nel giugno 2023 ha concluso un nuovo ciclo di concerti negli stadi: undici date per un totale di circa 450 mila spettatori. «Non c’è verso che Vasco si stanchi di queste tournée, che gli danno emozioni che solo uno stadio pieno di gente devota può concedere. […] Qualcuno ha fatto il conto: in vita sua ha fatto 800 concerti mettendo insieme 13 milioni di spettatori. […] Per il 2024 già rivede San Siro: “Dieci concerti a San Siro? Ho intenzione di prenotarlo per un mese. […] Ogni artista ha il pubblico che si merita, però le misure contano”, dove si capisce che scherza, ma fino a un certo punto» (Franco Giubilei) • Il soprannome «Blasco», immortalato nella canzone Blasco Rossi (1987), si deve alla nonna di una sua amica, che una notte, avendo a lungo atteso che la nipote rincasasse, al suo ritorno le gridò: «Per me tu sei stata fuori con la combriccola del Blasco Rossi!». Altro soprannome: Komandante • Nel 2005 lo Iulm di Milano gli conferì una laurea honoris causa in Scienze della comunicazione • Nel settembre 2023 Netflix gli ha dedicato una miniserie documentaria, Il supervissuto. Voglio una vita come la mia • Molte relazioni sentimentali; storica quella con Laura Schmidt, sua compagna dal 1987 e moglie dal 2012. Tre figli maschi: due da altrettante donne e un terzo dalla Schmidt. «Laura, non la tradisco mai. Fedeltà assoluta. Mettere su famiglia e restare un rocker non è stato facile, ma ce l’ho fatta. Ero stanco di vivere in albergo circondato da una corte dei miracoli, volevo un motivo per tornare a casa la sera». «L’ho pure sposata, il 7 luglio 2012, quando sembrava stessi per morire a causa di un batterio killer, e i giornali scrivevano che avevo il cancro. In tal caso non mi sarei curato: sarei partito per i Caraibi, per morire vivo. Invece dopo due anni di antibiotici ne sono uscito» • «Lei ha detto: “Io rispetto la vita finché la vita rispetta me”. “Ci sono momenti in cui la vita umana viene calpestata troppo dalla realtà, dalla malattia. Quando succederà, non la rispetterò più neanch’io. Per me la vita non è un dono, come pensa chi crede in Dio. È un caso. Mi va bene finché va bene”. La sua famiglia era cattolica. Lei quando ha smesso di credere? “In collegio dai salesiani. Avevo 15 anni. I preti dicevano che se avessimo fatto la Comunione senza confessarci ci sarebbero successe cose terribili. Un mio amico mi raccontò che a lui non era accaduto niente. Provai: aprii la bocca, il sacerdote mi diede l’ostia… Niente. Adesso, però, vedo che in giro c’è una nuova religione, quella del corpo. Bisogna essere sani, vivere in eterno. Io, invece, penso che, morire, bisogna morire”» (Brocardo) • «Io sono un provocatore, per mantenere sveglie le coscienze davanti a una narrazione generale molto favoleggiante». «Ero di sinistra, ma non sono mai stato comunista. Semmai, anarchico. Non mi piacevano neppure Lotta continua e Potere operaio: studenti figli di papà, che di giorno giocavano alla rivoluzione e la sera tornavano a casa per cena. Facevo teatro sperimentale, stavo con gli Indiani metropolitani. Più tardi mi sono riconosciuto in Pannella. Ho creduto al sogno degli anni ’70, e quando è arrivata la Milano da bere ho provato fastidio. Per questo mi arrabbio quando mi considerano un simbolo degli anni ’80, dell’individualismo. Vita spericolata nasce dal “vivere pericolosamente” di Nietzsche, mica dai paninari o dai rampanti. Bollicine era una canzone contro la pubblicità, non sulla droga». «Non ho mai inneggiato all’uso di droghe nelle canzoni. Ho raccontato un mondo» • «Ha attraversato la depressione Vasco, “quella continua sensazione di groppo in gola, di sconsolata tristezza. Un velo opaco, grigio, su ogni cosa”» (Renato Franco) • «So che leggi Spinoza. […]. È vero che hai letto tutta Alla ricerca del tempo perduto di Proust? “Sì. Era un periodo in cui sentivo proprio il piacere di leggere. […] Ho cercato di leggere Lacan ma non ci sono riuscito, e allora ho letto Recalcati, che mi ha aiutato a capirci qualcosa. Prima ho letto Jung e Freud”. Sempre per capire te stesso e il mondo. “Mi intrigano le visioni del mondo. Infatti il primo libro di filosofia che ho letto è stato Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer, e sono rimasto incantato”» (Valtorta) • «Vasco Rossi è riuscito a inserirsi in una fessura, che si rivela in realtà una voragine, nella quale si trova un pubblico sterminato e composito che non si riconosce nella musica straniera dai testi incomprensibili, così come nei cantanti pop o nel linguaggio dei cantautori italiani. Un pubblico che vuole musica non particolarmente impegnativa, pur con elementi rock e cantautorali, una solida ritmica e uno o due trascinanti assoli di chitarra, ma anche, come insegna la storia di tutti i rocker, ballate lente, che consentono a Rossi di prodursi nella sua peculiare interpretazione quasi recitata. Un pubblico che trova nei testi – tanto rozzi quanto diretti e a volte decisamente efficaci – corrispondenza tra vita vissuta e cantata, e anche per questo ci si immedesima. […] Nemico del music business, di cui tuttavia rispetta le regole, ha sempre praticato un difficile equilibrismo tra genuinità e commerciabilità delle canzoni. Il pubblico gli ha dato largamente ragione» (Recupero) • «Le canzoni sono state il mio modo di confidare cose che nella vita non avrei detto a nessuno, di calarmi nella tragedia della condizione umana». «Ma davvero le sue canzoni “nascono da sole, vengono fuori già con le parole”? “In un tempo vuoto che riempio fumando sigarette e strimpellando la chitarra. Ma, se la musica non è mia, allora è diverso. A trovare le parole di Vita spericolata, ci ho messo sei mesi (la musica è di Tullio Ferro, ndr). Non mi arrivava mai la frase giusta. Finché, un giorno, dovevamo fare un concerto in Sardegna, ma si era messo a piovere ed eravamo in macchina. Ho messo la cassetta con la musica e mi è venuto ‘Voglio una vita…’. Il resto è stato facile: come minimo spericolata, maleducata… Quando l’ho finita, ho pensato: ho scritto la canzone della mia vita, posso anche morire”» (Brocardo) • «Io ero programmato per morire giovane, come ogni rockstar che si rispetti. Al massimo a 35 anni. Io facevo solo quello: scrivevo canzoni e facevo concerti. Tutto quello che stava intorno non mi interessava. Ed ero pronto a morire sull’altare del rock’n’roll. Poi mi son ritrovato vivo. Ed è stata durissima» (a Massimo Coppola) • «Ligabue? Ma questa rivalità è stata montata ad arte. Ognuno fa la sua gara. E poi al limite io posso essere paragonato agli Stones. Mi chiesero di suonare con loro, per vendere più biglietti: dissi no» • «Io scrivo le canzoni per gioco, faccio i dischi per scherzo, poi salgo sul palco e faccio sul serio». «Il mio sogno è sempre stato morire sul palco».