Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  febbraio 17 Sabato calendario

Biografia di Giacomo Raspadori

Giacomo Raspadori, nato a Bentivoglio (Bologna) il 18 febbraio 2000 (24 anni). Calciatore, di ruolo attaccante. Giocatore del Napoli (dal 2002; già del Sassuolo) e della Nazionale italiana (dal 2021). Vincitore, col Napoli, dello scudetto 2022/2023, e, con la Nazionale italiana, del Campionato europeo 2020. «La mia forza è stata quella di crederci sempre, di crederci veramente, fino in fondo. Non c’è mai stato un giorno in cui abbia pensato di non potercela fare» (a Emanuele Gamba) • Secondo figlio di un operaio e di un’impiegata. «Giacomo Raspadori è nato a Bentivoglio, dove c’è l’ospedale, ed è cresciuto con la sua famiglia a Castel Maggiore, alle porte di Bologna. La sua casa è a un chilometro dal campo del Progresso, il suo club di formazione. […] “Io ho imparato […] al mio paese, Castel Maggiore, con mio papà Michele e mio fratello Enrico, giocando a pallone in strada e poi all’oratorio”» (Enrico Currò e Matteo Pinci). «Quando ero piccolo, se mi chiedevano cosa volevo fare da grande ho sempre risposto il calciatore». «Chi lo conosce parla di “colpo di fulmine” o “freccia di Cupido”. Giacomo si innamorò del calcio una notte d’estate all’improvviso, dribblando sassi e amici all’oratorio di Castel Maggiore, dietro la chiesa di Bondanello. Mattina a scuola, pomeriggio ad allenarsi, la sera al campetto. Zainetti per fare i pali, e poi via a giocare fino a tardi. Papà Michele e mamma Roberta conservano ancora gelosamente i video delle sue prime partite. In uno di essi si capisce perfettamente quello che sarebbe stato il suo futuro. Giacomino – non più di 7-8 anni – indossa una maglia rossa e blu che gli sta enorme perché evidentemente gioca con ragazzini più grandi di lui, prende palla, salta netti 5 avversari e con la naturalezza del veterano la infila in rete. Calcio e bici le sue grandi passioni, perché quando non era a rincorrere il pallone era in sella a pedalare con gli amichetti» (Bruno Majorano). «Nei Pulcini del Progresso il suo primo allenatore fu Aldo Tolomelli: […] “Giacomo è sempre stato un esempio per i compagni, in campo come nella vita: il primo ad arrivare ad allenamento e l’ultimo ad andarsene, spesso lo vedevo al campetto dietro la vecchia chiesa di Bondanello ad allenarsi in lunghe partitelle con gli amici e i rispettivi padri. Ma non era uno di quei ragazzi che pensano solo al pallone: anche a scuola si è sempre impegnato al massimo”. […] Riavvolgiamo il nastro a quel Torneo Tassi del 2009 che ha cambiato i destini della famiglia Raspadori, quando da Enrico l’occhio neroverde finì anche su Giacomo. “Era la finale dei Pulcini contro l’Imolese”, racconta Tolomelli, “si giocava a cinque sotto una grand’acqua e la partita non era sempre bloccata. Corner per noi, Giacomo va sulla palla per battere e mi guarda. Mi fa un cenno. Posso? Prova, vai. E dalla bandierina l’ha girata direttamente sul secondo palo all’incrocio: trofeo vinto. Lì ho capito tante cose: l’aveva pensata e realizzata come voleva”. Talento puro, come quella volta in cui il Progresso doveva segnare 9 gol per passare un turno. “Giacomo, non fare tutto tu, però”. “Ci penso io, mister”. Dodici gol, sei suoi e sei assist ai compagni. Uomo-squadra, fin da bambino. “A quell’età si cambiano tanti ruoli: lui a volte si metteva dietro, poi andava avanti a segnare per sbloccarla e si rimetteva in difesa. Tranne il portiere, ha fatto tutto”» (Alessandro Mossini). «Durante il torneo giovanile Tassi, il Sassuolo venne a vedere Enrico Raspadori, fratello maggiore (di tre anni) di Giacomo, attaccante pure lui. […] Il primo provino, glielo fecero fare con tutti gli allenatori presenti, com’è tradizione nel club neroverde, a San Michele dei Mucchietti, una frazioncina di Sassuolo. La famiglia s’era portata dietro anche Giacomo, che aveva 10 anni. Enrico giocava e Giacomo, appartato in un angolo, per mettersi in mostra, o forse solo per muoversi, iniziò ad arrischiare acrobatiche rovesciate. Lo notò Paolo Mandelli, ex attaccante cresciuto alla scuola di Zeman. Iniziarono a osservarlo e a tenerlo d’occhio. Presero subito Enrico e qualche mese dopo anche il fratellino» (Simone Monari). «A undici anni, con una telefonata ai miei, fui trasferito al Sassuolo, dove mi sono trovato benissimo. Ricordo il primo giorno. L’allenatore, Papalato, non conosceva nessuno: mise quelli che vengono chiamati “i cinesini”, cioè dei coni di plastica, per indicare i ruoli previsti e ci disse di scegliere il nostro. Io avevo sempre giocato a centrocampo e presi quello. Lui mi guardò giocare e poi mi disse che il mio posto era quello di centravanti» (a Walter Veltroni). «“Aveva doti innate”, dice Papalato. […] “Sapeva girarsi molto velocemente nello spazio stretto, aveva una gran sterzata, ed era sempre orientato verso la porta. A 11-12 anni son doti che hanno pochi, così lo provai là davanti”. Poi, altra rarità, calciava bene con entrambi i piedi. […] Per due fratelli di Castel Maggiore, Sassuolo non è dietro l’angolo: 68 chilometri, certifica Google Maps. In ogni crescita di futuri calciatori, il capitolo trasporti è una questione chiave. Il Sassuolo mise in regola con un contratto d’assunzione il nonno di Enrico e Giacomo. “Era il nostro autista di pullman”, rivendicano orgogliosi ancor oggi i dirigenti del club. Tutti i giorni il nonno portava a Sassuolo i nipoti e altri 6-7 ragazzini del bolognese» (Monari). In maglia neroverde «vince un campionato Berretti e diventa protagonista della salvezza (con 15 reti in 26 gare) con la Primavera» (Andrea Melli). Il 26 maggio 2019 il debutto in Serie A, per volere di Roberto De Zerbi, allenatore del Sassuolo dal 2018 al 2021. «Dalle chiamate in prima squadra quando era ancora diciannovenne al debutto e alla prima rete in A […] con la Lazio (dopo che il Var gli aveva annullato un’altra marcatura), […] in Raspadori […] aveva creduto ciecamente. La firma nella sfida con la Juventus, il gol del 2-2 con la Roma con addirittura la fascia da capitano al braccio, la doppietta magica a San Siro contro il Milan le tappe di un avvicinamento fulmineo di “Raspa” all’azzurro» (Melli). Nel giugno 2021, infatti, l’allora commissario tecnico della Nazionale Roberto Mancini lo convocò inaspettatamente per Euro 2020 (disputato con un anno di ritardo a causa della pandemia da Covid-19). «“Raspadori può essere il nostro Paolo Rossi”: così lo aveva presentato il Mancio, uno che, di attaccanti, indubbiamente se ne intende. Alla faccia di chi storceva il naso davanti alla convocazione a sorpresa di un ragazzo nato nel 2000 e con appena una manciata di presenze in Serie A» (Majorano). Nel torneo esordì il 20 giugno 2021, nella sfida della fase a gironi Italia-Galles (1-0). «Il ct lo ha inserito alla mezz’ora della ripresa, al posto di Bernardeschi. In alto a sinistra. […] Un tiro respinto, un cross, tre passaggi andati a buon fine, nove palloni giocati e due persi. I quindici minuti di gloria di Giacomo […] sono racchiusi qui dentro, ma […] è stato un quarto d’ora intenso, quello di Giacomo. […] L’esordio all’Europeo a 21 anni, appena due settimane dopo il debutto assoluto in azzurro, dodici minuti nell’amichevole contro la Repubblica Ceca. Tutto molto bello e tutto anche abbastanza in fretta, a partire dall’inserimento del suo nome nella lista dei magnifici 26. Giacomo è stato la grande sorpresa delle convocazioni di Mancini e potrà raccontare di aver giocato due Europei nella stessa estate: a un certo punto il colore della sua maglia da azzurro è diventato azzurrino, chiamato da Nicolato per i quarti di finale contro il Portogallo. Poi il ritorno a Coverciano» (Marco Pasotto). «Di quella Nazionale vincente è stato la mascotte: una sorta di stage in vista del futuro» (Majorano). Concluso gloriosamente il Campionato europeo, l’8 settembre successivo, al suo esordio da titolare, segnò la sua prima rete in azzurro nella partita Italia-Lituania (5-0), nell’ambito delle qualificazioni al Campionato mondiale 2022, in cui tuttavia la Nazionale finì poi per soccombere. «Giacomo all’Europeo ha collezionato una sola presenza con il Galles, non è stato il salvatore della patria, perché tutto ha funzionato a meraviglia, così come non lo è stato a Palermo nella notte da incubo con la Macedonia, dopo essere entrato a mezz’ora dalla fine al posto di Insigne» (Paolo Tomaselli). Il contributo di Raspadori fu invece fondamentale nel settembre 2022 per consentire agli Azzurri di qualificarsi alla fase finale della Nations League (poi conclusa al terzo posto), grazie a due sue reti, segnate, a distanza di tre giorni l’una dall’altra, nelle partite Italia-Inghilterra (1-0) e Ungheria-Italia (0-2). «Raspadori ha ridato il sorriso a Mancini, segnando nel giorno in cui Paolo Rossi avrebbe compiuto 66 anni [il 23 settembre 2022, giorno di Italia-Inghilterra – ndr]: proprio quel Pablito a cui era stato accostato […] con la convocazione dell’ultimo minuto al posto del coetaneo Kean» (Tomaselli). Nel frattempo Raspadori era da poco passato al Napoli, «arrivo […] fortemente voluto da Spalletti per la cifra record potenziale di 40 milioni bonus compresi e un contratto di cinque anni da 2,5 netti a stagione» (Tomaselli). E il 14 settembre 2022 era già riuscito a esordire con un gol in Champions League (Rangers-Napoli 0-3), competizione in cui il 4 ottobre successivo segnò addirittura la sua prima doppietta (Ajax-Napoli 1-6). A coronamento di una stagione memorabile, il 4 maggio 2023 conquistò con la maglia del Napoli il suo primo scudetto. «“Io sono ambizioso e sapevo che questo era il luogo giusto: dopo il magnifico tempo trascorso al Sassuolo, avevo bisogno di uscire dalla mia comfort zone, di lottare per uno scudetto e nelle coppe internazionali. All’inizio è stato strano, ma qui c’è energia, si vive la gioia di vivere e si percepisce una passione per il calcio che è febbre e amore vero, collettivo, quotidiano. Sono felice, qui”. Lo scudetto? “Lo scudetto era nell’aria, quell’energia ci sospingeva. La città fibrillava, e noi con lei. È stata una vittoria della squadra, dell’allenatore, della società. Ma anche di tutta la città: si percepiva un desiderio comune, un’attesa vissuta in ogni casa che poi è diventata gioia collettiva”. Quest’anno invece cosa c’è che non va? “Non credo ci sia qualcosa di particolare. Penso sia fisiologico, dopo la vittoria dello scudetto. Non è un alibi, ma l’anno scorso è stato emotivamente dispendioso: non siamo abituati a vincere, non abbiamo sempre la cattiveria che discende da quella convinzione. Dobbiamo ritrovarla, ci stiamo lavorando. Siamo una grande squadra. Non possiamo e non dobbiamo dimenticarlo mai”» (Veltroni). «Il progetto era già chiaro […] quando il Napoli decise di spendere oltre 30 milioni per prendere dal Sassuolo Giacomo Raspadori, l’acquisto più costoso di un italiano per il presidente Aurelio De Laurentiis. Il progetto era quello di creare un reparto che avesse Victor Osimhen come attaccante principale, ma anche alternative complementari e dalle diverse caratteristiche, come per l’appunto il bolognese e anche l’argentino Giovanni Simeone. E nell’autunno dell’anno scorso [2022 – ndr] i due si dimostrarono efficaci quando si fece male il nigeriano e lo sostituirono brillantemente. Così come in questa fase è soprattutto Raspadori che sta dando il meglio. […] Se l’infortunio muscolare subìto in nazionale da Osimhen aveva messo un po’ in apprensione l’ambiente napoletano, l’esplosione di Raspadori dà anche certezze in prospettiva, visto che parliamo di un classe 2000. […] Logico che non potrà avere mai la fisicità di Osimhen, ma la sua intelligenza nei movimenti, il suo essere sempre al centro del gioco, dialogando con i compagni, ne fa un valore aggiunto per il Napoli» (Maurizio Nicita) • Diplomato al liceo scientifico, è attualmente iscritto alla facoltà di Scienze motorie dell’Università telematica San Raffaele Roma. «Alleno il fisico ma anche la mente. Lo studio e lo sport possono andare di pari passo. Un valore aggiunto l’uno per l’altro. […] La vita del calciatore non è lunghissima, dopo bisogna pur saper fare altro. Ed essere preparati» (a Monica Scozzafava) • Detto «Jack» • Fidanzato dal 2018 con Elisa Graziani (classe 2002), attualmente incinta del suo primogenito (atteso per maggio). «Questo è il passo più importante della vita della mia fidanzata e mia. Spero di essere all’altezza e di poter dare sempre un buon esempio alla creatura che verrà» • In ambito alimentare «cerco di non sgarrare mai, ma a volte cedo alle tentazioni di nonna Ilva, grande cuoca. I suoi tortellini, i classici bolognesi, sono irresistibili. Non me ne vogliano la mamma e la mia fidanzata, ma la nonna è una cuoca speciale» • «Ha i capelli corti, tagliati dal barbiere tutte le settimane e pettinati senza gel. Ha il viso lentigginoso e gli occhi grandi. Una fidanzata molto graziosa di nome Elisa, acqua e sapone così come è lui. Esile, all’apparenza. Determinato nell’approccio. Incisivo in campo. Il segreto di mister 35 milioni (tanti il Napoli ne ha dati al Sassuolo per acquistarlo) è l’equilibrio, fisico e mentale, con cui resta in asse nella vita privata e in quella professionale. […] Fa effetto la sua normalità, che lui ha anche piacere a spiegare (“È un modo di essere, che non c’entra nulla con l’esteriorità o l’estetica”). Va detto che, tatuaggi e orecchini, non ne ha (“semplicemente perché non mi piacciono”). Senza filtri: “Che male c’è a dire che simpatizzavo per l’Inter?”. Non ce n’è, effettivamente. Questa naturalezza è il valore aggiunto» (Scozzafava). «Un ragazzo d’oro, insomma. In campo e fuori: il bomber della porta accanto» (Tomaselli) • «Le pesa, in questo calcio fisico, essere così minuto? “Sinceramente no: mi ha spinto sempre a cercare di evolvere. Se non avevo la struttura fisica degli altri, allora dovevo essere sempre più bravo, sia sul piano tattico che tecnico. Averlo capito presto mi ha portato a lavorarci subito”» (Veltroni). «È vero che lei è perfettamente ambidestro? “È vero. Sono nato mancino, ma non sopportavo che mio fratello facesse tutto di destro e io no, perciò per imitarlo mi sono messo sia a scrivere sia a calciare con l’altra mano e l’altro piede”» (Gamba) • «Chi come Luciano Spalletti conosce Raspadori ti dice che è l’interprete di un calcio che non esiste più: “È un cerbiatto uscito da un campo di quadrifogli”. E quando fa gol gioisce in maniera istintiva, […] senza balletti o mosse studiate. Non pretende un ruolo specifico: sa giocare in tutte le posizioni dell’attacco, rifinitura inclusa, anche se è da seconda o prima punta di un tandem che rende meglio. È un brevilineo di 172 centimetri, statura che nel calcio, sport ancora fisicamente democratico, non preclude il successo. Anche perché Jack, a differenza degli attaccanti tradizionali, ha una dote: corre. […] Senza perdere la qualità con cui già a 8 anni segnava direttamente da calcio d’angolo» (Currò e Pinci). «Uno che quando entra cambia le partite. […] Mezzala di visione, piccolo centravanti di rapina, ala da inserimento, trequartista col senso del gol: Giacomo Raspadori è l’uomo che l’Italia stava cercando» (Enrico Veronese) • «Da piccolo chi le piaceva? “Fino ai 13-14 anni ero molto tifoso dell’Inter ed Eto’o è stato il giocatore a cui mi ispiravo. Poi crescendo mi sono concentrato, anche per la somiglianza con lui, su Agüero, che è diventato il mio punto di riferimento» (Gamba) • «Quale è stato l’allenatore più importante della sua vita? “Sono stato fortunatissimo, ho trovato sempre allenatori di alto livello, anche dal punto di vista umano. Se devo dirne uno, non posso che ricordare Roberto De Zerbi. Lui mi ha fatto esordire in A e mi ha sempre dimostrato una fiducia incondizionata. A un certo punto si pensava fosse giusto che andassi in prestito in Serie B. Lui si oppose, mi ha sempre voluto al centro dei suoi progetti. Con De Zerbi mi sono reso conto delle mie possibilità. Se non avessi incontrato uno come lui, il mio destino forse sarebbe stato differente”» (Veltroni). «De Zerbi dice che lei dovrebbe imparare a rubare qualche portafogli: che significa? “Che in area serve anche malizia e io non ne ho, ma grazie alla continuità con cui gioco la sto imparando”» (Gamba) • «Cosa è per lei la Nazionale? “Solo a parlarne ti emozioni. Poterne far parte ti trasferisce un’energia pazzesca. Sai che stai rappresentando il tuo Paese, migliaia di bambini che avevano o hanno il tuo stesso sogno e che non riusciranno a realizzarlo. Tu sei con l’azzurro addosso anche per loro. Il mio primo ricordo di quella maglia sono i Mondiali del 2006. Avevo sei anni e credo sia, in assoluto e in generale, il primo momento della mia memoria”. Gli Europei cosa sono stati per lei? Aveva vent’ anni o poco più. “La presa di coscienza di dove ero arrivato, con tanta fatica e tanta passione. Alla prima convocazione, sono entrato in punta di piedi in un gruppo fantastico e abbiamo vinto. E poi, stando lì, ho capito che nulla è impossibile, ho capito che il lavoro, le giornate sotto la pioggia o il vento ad allenarsi sono serviti a raggiungere una vetta così alta. È stata un’emozione che vorrei rivivere presto”» (Veltroni) • «C’è un giorno della sua carriera che vorrebbe rivivere e uno che, se potesse, cancellerebbe? “Sì. E sono lo stesso giorno. Quello della mancata qualificazione della Nazionale ai Mondiali. Vorrei non tornasse per non rivivere quel dolore. E, al tempo stesso, vorrei che tornasse per poterlo cambiare”. […] Qual è il suo gol che ricorda con più piacere? “Non ho dubbi: quello a San Siro con la Nazionale nella partita di Nations League contro l’Inghilterra. Anche perché allo stadio c’erano i miei genitori”. […] “A loro debbo molto. Mi hanno sempre detto che la loro felicità era legata alla mia. Non al mio successo: alla mia felicità. Hanno sempre lasciato me e mio fratello liberi di scegliere quello che desideravamo. Sapevano che l’avremmo fatto sulla base di princìpi etici. Questo non costringerci a nulla, ovviamente, ci ha molto responsabilizzati. Loro sono stati la mia, la nostra fortuna”» (Veltroni).