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 2024  febbraio 19 Lunedì calendario

Biografia di Johnny Dorelli (Giorgio Guidi)

Johnny Dorelli (Giorgio Guidi), nato a Milano il 20 febbraio 1937 (87 anni). Cantante. Con Domenico Modugno vinse i Festival di Sanremo del 1958 e 1959 con Nel blu dipinto di blu e Piove. Attore. Conduttore tv.
Titoli di testa «Quando uno come Zucchero ammette che il mio La bomba gli ha ispirato Il grande Baboomba, beh, sono soddisfazioni».
Vita Nato a Mila, sfollato a Meda, «a nove anni si era trasferito a New York per raggiungere il padre Aurelio che si esibiva come cantante con il nome d’arte di Nino D’Orelli • «Fu un lungo viaggio su una nave di cui ancora ricordo il nome, la Sobietski. Eravamo in cabina con la mamma e il tempo non passava mai. Finché arrivammo al porto di New York e io la vidi, l’America. Sulla banchina c’era mio padre, con i suoi capelli di brillantina e il suo sorriso rassicurante. Lì iniziò una nuova vita» [Walter Veltroni, Cds] • «Così il cognome mi rimase appiccicato, anche perché divenni una star dei concorsi canori tv: vinsi per otto puntate di fila nella trasmissione condotta da Robert Alda, l’attore che interpretava George Gershwin nel film Rapsodia in blu. Cominciavo così: “Oj Marì, oj Marì...”. Prima in napoletano, poi a swing. Accadde tutto per caso. Un giorno arrivò a New York un amico di papà invitato in una trasmissione. “Nino, fammi accompagnare da tuo figlio”. Dietro al palco c’era uno Steinway a coda. Io studiavo il contrabbasso alla High School of Music and Art e prendevo lezioni di pianoforte. Nell’intervallo cominciai ad accarezzare i tasti di quella magnifica preda. Due note e mi venne un colpo: dietro di me c’era Percy Faith, il compositore della colonna sonora di Scandalo al sole. “Perdoni...”. “No, vai avanti: te la senti di partecipare a una trasmissione?”» [Pieluigi Vercesi, Cds] • «Io e mamma giravamo con il naso in su mangiando spesso per strada. I musicisti vivevano nel loro mondo. Presto, però, ne conoscemmo un altro. Morì l’impresario di papà e il suo contratto passò al proprietario del ristorante Zi’ Teresa. Gente simpatica, italiani, gentilissimi. Poi capimmo che non erano proprio dei bonaccioni. Degli ingaggi si occupava don Paolino Palmieri e ogni tanto apparivano altri “don”: Joe Barbara, Vito Genovese... Non bastasse, allo scadere dei cinque anni in America ci obbligarono a uscire dal Paese per non darci la residenza. Tornammo in Italia lo stretto necessario e mamma rivide una vecchia amica, Igea, conosciuta quando studiava ballo alla Scala. “Venite a cena da noi, così vi presento mio marito”. Ci mandarono a prendere con un macchinone, salutammo Igea e, poco dopo, arrivò il marito. “Mama, mi ch’el lì ‘l cunusi”, lo conosco. “Tas”, disse mamma. Mamma diceva sempre “tas”, taci. “Mama, l’è minga el Luchi Luciano?”. “Sì l’è lü, ma tas”. Lucky Luciano parlava di persone che avevamo conosciuto in America e di boxe. Io raccontai di quando Jack La Motta mi mise ko. Di ritorno dal Madison Square Garden mi portò un paio di guantoni. Li indossai e lo sfidai. Gli bastò sfiorarmi per stendermi come una pelle di fico. Mamma prese il mattarello e glielo picchiò in testa» [Vercesi, cit.] • Nel 1955 il ritorno in Italia. Il debutto cinematografico l’anno successivo nel film Cantando sotto le stelle di Marino Girolami con Luciano Tajoli e Nilla Pizzi. E poi il teatro (spronato dal Maestro Danzi) con il debutto in La Venere coi baffi con i fratelli Maggio. Sono le prime pagine di una storia lunga e formidabile» (Franco Tettamanti) • «Cantante confidenziale come andava di moda negli anni Cinquanta poi attore in più di quaranta film, molta televisione nei doppi panni di interprete e di conduttore infine tanto teatro dove cantare recitare e, se serve, fare qualche passo di ballo» (Simonetta Robiony) • Ha, tra l’altro, portato in Italia Promesse promesse di Simon e Bacharach, con la Spaak • Feci la gavetta nell’avanspettacolo e cantando per la casa editrice musicale napoletana Bideri. Guadagnavo 7 mila lire al giorno: 4 a casa, 3 per vivere. Finalmente venni scritturato dalla Rai per Il Musichiere, ma feci solo tre puntate perché Ladislao Sugar mi spedì a Sanremo in coppia con Domenico Modugno. Avevo 20 anni, cantammo Nel blu dipinto di blu e arrivammo primi» • Franco Migliacci: «Il destino sembrava segnato. Per quanto folle, la canzone piacque all’editore, e anche ai selezionatori del festival, però, nessuno voleva cantarla, noi la presentammo come autori. I cantanti di allora dicevano che non stava né in cielo né in terra. Noi dicevamo: per forza, si chiama Volare. Fu Cajafa, il direttore artistico del festival a dire, il provino è bello, perché non la canta Modugno? Per trovare un partner dovemmo cercare un debuttante, uno che non avesse niente da perdere, e infatti accettò: era Johnny Dorelli. Ma gli altri cantanti la presero malissimo. Alle prove ero in platea e siccome nessuno mi conosceva, parlavano liberamente di Mimmo, dicendo cose tremende. Non voglio fare nomi, ma una cantante disse: “Ma ti rendi conto questo zingar!”. Un’altra disse che gli puzzavano alito e ascelle, che almeno si lavasse. Il fatto è che si sentivano minacciati. Era un vero cambio della guardia. Ricordo che dovettero consolare Nilla Pizzi che aveva cantato Edera ed era sicura di vincere. Gli altri erano composti, confezionati, Mimmo era sciolto, naturale, cantava con voce non impostata. Lo disse anche Massimo Mila: da Mimmo usciva l’uomo non il cantante» [Castaldo, Rep] • «C’era un clima diverso, tra colleghi ci si voleva bene, mi proteggevano tutti. Un collega venne da me a dirmi: se mi dai Volare io ti do due delle mie. Io stavo per cedere ma prima andai dal vecchio Ladislao Sugar e gli chiesi consiglio. Lui mi disse: che cos’hai scelto? Io risposi Volare ma potevo anche cederla. Lui disse: ti sembra una mossa giusta? No, dissi io. Bene neanche a me, non cederla» [Vercesi, cit.] • E cominciò a “volare”. «Non proprio. A Meda mi accolsero in piazza 5 mila persone, le stesse che una settimana dopo parteciparono ai funerali di papà. Si sentì male in piazzale Cadorna, a Milano, dove aspettava il treno per Meda. Lo ricoverarono all’ospedale di Seregno, dove arrivò subito mio cugino Ventura, medico. Scosse la testa: “L’è mei ch’el vaga”, non c’era più niente da fare. È morto sull’ambulanza mentre lo portavamo a casa. Rimasi solo con tre donne: nonna, mamma e Ivana, mia sorella di 6 anni. Lo zio mi prestò i soldi per il funerale. L’anno successivo vinsi ancora il Festival con Modugno cantando Piove. Ma il terzo anno rifiutai l’accoppiata: dovevo capire cosa potevo fare da solo. Arrivai decimo. Modugno secondo. Venne nel camerino e mi mollò un ceffone: “Così impari!”» [Vercesi, cit.] • Nel frattempo erano cominciati i problemi di salute: ho avuto più noie fisiche che successo. Mi ero già infilato la punta di un pugnale delle SS in un occhio nel ’45. Dopo la morte di papà, per lo stress, persi la voce. Dovetti subire un intervento alle corde vocali senza anestesia. Dopo un mese di silenzio dissi: “Mamma”, e mi uscì una voce che neanche un evirato cantore... Per fortuna recuperai. Ma non era finita lì: a Londra, dove recitavo in Aggiungi un posto a tavola, uscii dal Savoy per andare a teatro dimenticando che le auto circolano al contrario. Un taxi mi spiaccicò contro a un palo e andai in coma. Però è vero, cominciai a girare i primi film e ad avere successo. La grande notorietà la devo all’Italia dei buoni sentimenti: la canzone Carissimo Pinocchio e lo sceneggiato Cuore» [Vercesi, cit.] • Ha attraversato decine di anni nel rutilante mondo dello spettacolo senza perdere la sua caratteristica principale: la gentilezza.
Audrey Hepburn, che se ne intendeva, diceva: «Per avere labbra attraenti pronuncia parole gentili» [Veltroni, cit.] • Dorellik, versione comica di Diabolik, con Margaret Lee nei panni di Eva Kant, il personaggio interpretato da Johnny divenne in poco tempo un successo nazionale. «Fu anche un film con la regia di Steno. Il personaggio lo inventarono Castellano e Pipolo, allora ogni parodia funzionava. Dorellik era geniale, sfortunato e vanesio» [Veltroni, cit.] • Chiedo a Johnny come nacque la celeberrima risata, un ghigno che nelle scuole di allora era il suono più frequente. «Ero al Grand Hotel e la notte provavo il personaggio. Avrò fatto cento varianti di quella risata satanica. Ricordo che una volta mi telefonò il portiere di notte perché i miei vicini di stanza protestavano...» [Veltroni] • «Ricordo con affetto Laura Antonelli, persona semplice e attrice di vaglia. Un’estate venne in vacanza in Sardegna con Jean Paul Belmondo. Noi lavoravamo e lui andava pesca con la barca mia... È stato tutto molto bello. Anche la radio. “Gran varietà” fu un successo incredibile, la radio era divertente» [Veltroni, cit.] • Grandi amici? «Giuseppe Di Stefano. Mi portava ovunque, alla Scala, al Metropolitan. A New York passava l’ultimo dell’anno da noi ma alle dieci spariva. Raggiungeva una villa sul fiume, dove abitava Arturo Toscanini. Si sedevano uno di fronte all’altro e a mezzanotte brindavano. Il suocero di Di Stefano lavorava nel teatro dove provava Toscanini. Mi faceva entrare di nascosto e accucciare per terra nella terza fila: “Non fiatare”. Ascoltavo le prove, condite di feroci incazzature, del maestro. L’unico che si poteva prendere delle libertà era Di Stefano. Pippo strascicava le vocali (“...questa o quellaaa per me pari sono...”) e durante le prove lo faceva ancora di più per provocare lo sguardo iniettato d’odio di Toscanini. Una volta tirò la corda più del dovuto: disse al maestro di andare più veloce perché non ce la faceva con la voce. Toscanini cedette, accelerò, poi lanciò la bacchetta e se ne andò imprecando. Allora Di Stefano fece rifare il pezzo più lento del dovuto e con la voce ce la fece benissimo. Poi alzò il braccio destro e, nel gesto dell’ombrello, si diede una pacca sull’avambraccio con la mano sinistra: “tiè!”» [Vercesi, cit.] • «Galbani vuol dire fiducia», per sei anni Johnny Dorelli è entrato nelle case degli italiani pronunciando, immancabilmente, la stessa frase. Per la mia generazione, quella che andava a letto dopo Carosello, la pubblicità di quel programma non erano «consigli per gli acquisti»; erano puro, esaltante, spettacolo. Ogni prodotto, ogni marchio era identificato con personaggi e storie che venivano interpretate dagli attori più famosi del momento. «Il logorio della vita moderna» che sarebbe stato risolto da un liquore al carciofo – ah saperlo! – e un dentifricio che, sui denti della splendida Virna Lisi, faceva sì che lei, e noi, potessimo «con quella bocca» dire quello che volevamo [Veltroni, cit.] • Un rapporto complicato? «Con Monica Vitti in Amori miei. Un caratterino... L’ho fatta piangere. In una scena ero di spalle e inquadravano lei mentre parlava, poi toccava a me. Mentre io recitavo lei ruotava la spalla e toglieva l’attenzione dalle mie parole. Anche il regista glielo fece notare. Per tutta risposta scoppiò a piangere, mi mandò a quel paese e scappò via. Allora presi la bicicletta, la rincorsi, la caricai sulla canna e la riportai indietro. Ma niente da fare, litigi tutto il giorno». • Lavorò in Rai fino a quando arrivò la sirena Berlusconi. Non deve essere stato facile? «Con il mio carattere in Rai non c’erano problemi. Lasciavo fare, come quando Modugno mi diede lo schiaffone. Poi un giorno mi chiamò Mike Bongiorno. In America mi metteva la sedia sotto per farmi arrivare al microfono e nascondeva la Gazzetta dello Sport per non farsela rubare da papà. “Ti chiamerà Silvio, non puoi dire di no”. Quando lo incontrai, si mise al pianoforte e cantò qualcosa in francese, poi toccò a me. Dopo i primi anni, però, cominciò a chiedermi di fare le trasmissioni della mattina, come Corrado. Non era per me» [Vercesi, cit.] • 3 marzo 1990, Striscia la notizia svela in anticipo i nomi dei vincitori del festival di Sanremo: 1° i Pooh, 2° Toto Cutugno, 3° Minghi e Mietta. Per queste rivelazioni il conduttore Johnny Dorelli querelerà (senza successo) Antonio Ricci [Maimone, Panorama] • Lo spettacolo Bobby sa tutto (1996), con Loretta Goggi e Johnny Dorelli, ha fatto il record d’incassi nella scorsa stagione con 5 miliardi e mezzo. Al secondo posto E pensare che c’era il pensiero, con Giorgio Gaber, 3 miliardi. Al terzo Gigi, con Ernesto Calindri (due miliardi e mezzo) [Carrano, Sette] • Perché Pupi Avati ha scelto per Ma quando arrivano le ragazze anche Johnny Dorelli: «L’ho scelto perché a quasi 70 anni aveva la faccia giusta per il ruolo fondamentale del padre che non ho avuto. Il mio è morto quando avevo 12 anni. Con lui poi avevo un debito di riconoscenza. In un momento difficile della mia carriera, oltre 20 anni fa, mi impose come regista per una serie di spot, rovesciando le sorti delle mie finanze» [Gandus, Panorama] • Dopo quarant’anni, nel 2007 di nuovo in gara a Sanremo (per l’ottava volta) con Meglio così. Giuseppe Videtti: «Standing ovation alla carriera». Nello stesso anno ha partecipato anche al gran galà celebrativo delle 50 edizioni dello Zecchino D’Oro con Lettera a Pinocchio • «Ho fatto film con Risi, Comencini, Magni, Steno, Salce ma più di tutti mi ha colpito Zampa per la sua onestà: era un uomo pulito» • «È uno dei pochi attori italiani che trovano congeniale il particolare umorismo asciutto del wisecrack, la battuta veloce sarcastica spesso di autodeplorazione con cui chi parla commenta quello che gli sta succedendo» (Masolino D’Amico) • Ha gli occhi di un colore diverso • La sua ultima apparizione televisiva credo sia stata nel programma di Fabio Fazio, era il 2018. Fu un’intervista molto dolce, piena di immagini del tempo in cui Johnny viveva «all’incrocio dei venti», travolto da un successo senza confini: musica, televisione, radio, teatro. E poi un bel libro, Che fantastica vita, scritto con Pier Lugi Vercesi [Veltroni, CdS] • «Mai stato schierato politicamente. Ma in questi anni ho assistito a un gran vuoto legislativo su problemi terribilmente irrisolti: come quelli del lavoro. Le canzoni non possono risolverli. Ma arrivano diritte all’anima delle persone, quando arrivano. E aiutano a pensare» [Cds] • Chiedo a Johnny se ha una speranza per il futuro. «Che finisca la guerra in Ucraina. Mi dà un grande dolore. Non capisco Putin. Non voglio capirlo. Distruggere una diga. Ma come si fa?». Gli chiedo con chi, delle persone che ha conosciuto, vorrebbe passare delle ore a parlare. La risposta mi sorprende e mi intenerisce: «Fausto Cigliano, era un mio grande amico. Una volta la polizia ci fermò in macchina e lui reagì male. Ci misi otto ore a tirarlo fuori da quel guaio. Ora non so che faccia...». Cigliano, chitarrista e cantante di vaglia, interpretò «E se domani» nel 1964 a Sanremo. Ho il dovere di dirgli – la sua era una domanda, non un’affermazione – che Cigliano se ne è andato l’anno scorso... «Mi dispiace tanto. Ci stavo bene insieme» [Veltroni, cit.] • Gli ho chiesto se sa quanto gli italiani gli vogliano bene. Una domanda inutile, una non domanda. Era solo un modo per dirglielo, per ricordarlo a questa persona di ottantasei anni che da molto tempo si è ritirato, con discrezione, e condivide con la sua meravigliosa moglie, Gloria Guida, e con i figli che ama questo tempo di riposo e di riflessione. «Anche io voglio bene agli italiani, mi hanno dato molto, mi hanno colorato la vita» [Veltroni, cit.]
Amori Sui palcoscenici sono sbocciati i suoi grandi amori, tutte donne bellissime: come accadde con la prima, Laura Masiero? «Aveva dieci anni più di me. Eravamo sul set di Tipi da spiaggia. Dormivamo all’Hotel San Domenico Palace di Taormina e avevamo i balconi comunicanti. Una sera scavalcai l’inferriata ed entrai nella sua camera. Due parole e la baciai. Ero così impacciato che le strappai la camicia da notte. Dalla vergogna, fuggii. L’indomani, domenica, tutti i negozi erano chiusi. Tornato in albergo, bussai alla sua porta: “Che c’è?”. “Non ho trovato una camicia da notte da comprarti”. Lei scoppiò a ridere e, dopo un po’, nacque nostro figlio Gianluca» [Vercesi, cit.] • «Con mio padre non mi parlo da tre anni. Non condivido il suo modo di essere ed evito di aggiungere altro» (il figlio Gianluca a Oggi) • «Conobbi la mamma di Gabriele, Catherine Spaak, mentre interpretavamo La Vedova allegra. Donna difficile e bellissima. Per due mesi quasi non mi salutò poi, due giorni prima della fine, prese l’iniziativa. Mi invitò nella sua camera proprio il giorno che stavo malissimo per colpa degli stivali realizzati dal costumista per alzarmi un po’. Mi si gonfiarono i piedi e avevo dei mancamenti. Le risposi: “Ti spiace se facciamo domani?”» [Vercesi, cit.] • Poi tutto finì in Gloria. «Gloria Guida, ovviamente il primo passo l’ha fatto lei. Recitavamo nella commedia musicale Accendiamo la lampada e fingevamo di darci un bacio. Il pubblico non vedeva e non era necessario appoggiare le labbra. Una sera, però, mi mollò un bacione vero e io cominciai a frequentare il suo camerino. Con una certa eleganza. Ma se ne accorsero tutti. Trentanove anni: abbiamo litigato tanto facendo sempre pace. Il segreto? Rigare dritto. L’ho sposata due volte, prima civilmente, poi in chiesa, ed è nata Guendalina». Una fama di sciupafemmine usurpata! «Sciupafemmine? Sono l’uomo più timido che conosca, talmente imbranato che nelle donne scatta il meccanismo di protezione. Quando girai Il Cappotto di Astrakan dovevo infilarmi a letto, entrambi nudi, con Carole Bouquet. Ce l’ha presente? Poi mutava la scena e dovevamo aspettare che cambiassero le luci. Ero così contratto che mi addormentai. Mi svegliò un elettricista: “A’ froscio, svéjate!”».
Titoli di coda «Non posso davvero lamentarmi della vita che ho vissuto. Se me l’avessero detto, mentre arrivavo con i calzoni corti e il cuore stretto al porto di New York...».