20 febbraio 2024
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Biografia di Roberto Faenza
Roberto Faenza, nato a Torino il 21 febbraio 1943 (81 anni). Cineasta. Sceneggiatore. «Tipo fisico smilzo» (La Stampa 21/3/1968). «Un bravo regista, molto intellò» (Maurizio Crippa, Foglio 19/10/2017). «Non racconta mai una storia, se in essa non intravede qualche tipo di messaggio sociale e morale» (Carlo D’Acquisto, Cinecittà News 21/2/2023) • Esordì venticinquenne con Escalation (1968), atto d’accusa contro il capitalismo, e H₂S (1968), favola anti-scientifica contro il potere della tecnologia. Divenne famoso con Forza Italia! (1977), Si salvi chi vuole (1980) e Copkiller – L’assassino dei poliziotti (1983). «Nella sua attività si possono individuare due fasi: la prima fortemente caratterizzata da intenti politico-satirici, sulla scia della vena polemica, anticonformista e impegnata del cinema italiano degli anni Sessanta e Settanta; la seconda da una ispirazione letteraria, di accurata confezione formale, spesso di ricostruzione storica e in costume, per lo più magniloquente e calligrafica» (Federica De Paolis, Enciclopedia del Cinema, Treccani, 2003). «Una particolare accuratezza nelle ricostruzioni d’epoca e un’impronta fortemente letteraria sono gli elementi centrali di Mio caro dottor Gräsler (1990), Jona che visse nella balena (1993), Sostiene Pereira (1995), Marianna Ucrìa (1997) e L’amante perduto (1999), tratti rispettivamente dai romanzi di A. Schnitzler, J. Oberskij, A. Tabucchi, D. Maraini e A. B. Yehoshua» (Treccani). Tra i suoi lavori successivi: Prendimi l’anima (2003), in cui racconta la relazione tra Sabina Špil’rejn e lo psichiatra Carl Gustav Jung; Alla luce del sole (2005), su don Giuseppe Puglisi, il prete ucciso dalla mafia; I giorni dell’abbandono (2005), tratto dal romanzo di Elena Ferrante; I Viceré (2007), dal romanzo di Federico De Roberto. E poi: Silvio Forever (2001), documentario sull’ascesa di Berlusconi costruito con spezzoni di filmati d’epoca (voce di Neri Marcoré e sceneggiatura di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella); Il delitto di via Poma (2011), sull’omicidio di Simonetta Cesaroni; Un giorno questo dolore ti sarà utile (2011), dal romanzo di Peter Cameron; Anita B. (2014), ispirato al romanzo autobiografico Quanta stella c’è nel cielo di Edith Bruck, co-sceneggiatrice della pellicola; La verità sta in cielo (2016), sul mistero di Emanuela Orlandi. Da ultimo: Folle d’amore (2023), sulla vita della poetessa Alda Merini • Ribelle, spiazzante, anticonformista • I suoi sono i temi tipici dell’intellettuale di sinistra: le ingiustizie più gravi che si possano immaginare, i personaggi vittime di una società crudele ma mai domi, le contraddizioni storiche del nostro Paese, etc. • Per anni ha insegnato Teorie e tecniche del linguaggio cinematografico all’Università La Sapienza • Ha vinto due David di Donatello, quattro Globi d’oro e, nel 2017, il Nastro d’argento alla carriera • Dice: «Gli americani usano i film per fare i soldi e noi usiamo i soldi per fare i film» • E quando, nel 2023, quelli di Piemonte Movie organizzarono una conferenza per festeggiare i suoi ottant’anni, lui si divertì, scherzosamente, a rompere le uova nel paniere: «Non mi considero nato nel 1943, ma nel 1968. Di quei primi venticinque anni non ricordo nulla. Anzi, giа che sono a Torino, vado all’anagrafe e mi faccio cambiare il certificato di nascita».
Titoli di testa «Come disse un grande poeta rumeno, Nichita Stănescu, “Siamo quello che ci ricordiamo di essere”».
Vita Nato in una cantina di Pino Torinese, poco fuori dalla città. Una sorella più grande, di nome Gigliola. Il padre, Giulio, titolare di una piccola azienda chimica. La madre, Luciana, casalinga • «Ho appreso di essere ebreo soltanto verso i sedici anni. I miei genitori non me lo avevano mai detto. Primo Levi era un cugino di secondo grado di mia madre. C’era la guerra, mi hanno battezzato per proteggermi». «Purtroppo le minoranze sono sempre viste con sospetto, come un qualcosa di diverso. Non riesco ad accettare i cristiani che non si sentono anche ebrei. Gesù non avrebbe mai concepito che i suoi seguaci potessero non essere ebrei. Quando a scuola dicevo che il Cristo era ebreo, c’era un mio insegnante, un frate, che diceva: “Faenza, vada fuori di qua” e mi mandava in corridoio. Era il 1953, allora i ragazzi non sapevano niente» • Già studente all’Istituto Sociale, diretta dai padri Gesuiti, cacciato con ignominia a metà di un anno scolastico. «Avevano trovato un giornalino porno sul mio banco. Io non ne sapevo nulla, ma hanno dato la colpa a me e mi hanno espulso. Così ho cambiato istituto e sono andato al San Giuseppe. Ecco, questo del giornalino, è il mio primo caso di repressione politica. Ne seguiranno molti altri» • Al San Giuseppe il giovane Faenza riesce a prendere il diploma senza farsi cacciare. «Ricordo un insegnante molto bravo, fratel Enrico, mentre il preside era sempre arrabbiato, un uomo davvero repressivo. Avevo un solo amico, Gustavo Zagrebelsky che ancora sento e vedo ogni tanto. Sono tornato in questi giorni al San Giuseppe per girare alcune scene [...]. È stato emozionante rivedere alcuni luoghi della mia scuola dopo così tanto tempo. C’è quello scalone, all’ingresso… Sì, è stato strano, bello, i ricordi si avvicendavano mentre ero lì che lavoravo». Ma aveva un solo amico? «Sì, ero un ragazzo ribelle. L’unico al San Giuseppe a essere esonerato dall’ora di religione. Nella mia vita c’era solo lo sci. Ero uno sciatore vero. Sono stato anche campione italiano juniores. Ho continuato fino ai diciotto anni, poi mi sono rotto una gamba e ho smesso». E dove andava a sciare? «A Sestriere. Amo la montagna, è meravigliosa e sciare è stupendo. Ricordo che in primavera si andava fuori pista e la neve era un po’ ghiacciata. Io volevo fare lo sciatore, quello era il mio obiettivo. Ma dopo l’incidente, ho dovuto lasciare tutto» (Francesca Bolino, Stampa 20/11/2022) • A diciotto anni, tramontato il sogno dello sci, Roberto decide che non ci sono ragioni per continuare a vivere a Torino. «L’ho sempre odiata, questa città. Allora era fredda, cupa, repressiva. La mattina, quando uscivo da via Amendola per andare al San Giuseppe, soffrivo per il freddo cane. Me lo ricordo bene, lo sento ancora» (Bolino). «La odiavo. Era una cittа orrenda, Fiat-centrica, con un clima gelido. La gente non usciva mai. Non c’erano locali né discoteche: non c’era niente, solo lavoro» (Fabrizio Accatino, Sta 15/2/2023) • «Ho detto a mia madre che volevo andare a Roma perché come città era più calda. Giuro, il motivo è solo questo. Guardi come sono vestito oggi: ho i pantaloni da sci, felpa… Eppure non fa freddissimo». (Ride) Ma cosa voleva fare a Roma? «Non ne avevo idea. Ho mandato in giro una quarantina di domande, tra cui una per fare il cuoco, non avendo peraltro nessuna vocazione; un’altra in un istituto tecnico e poi al Centro Sperimentale di Cinematografia, che non sapevo nemmeno cosa fosse. Quest’ultimo tentativo è andato in porto e sono partito». Quindi la sua carriera nel mondo del cinema è iniziata per caso? «Esatto. Se mi avessero preso a fare il cuoco, avrei cominciato lì e oggi sarei uno chef. Mio nonno materno aveva un albergo a Finale Ligure e mi diceva che avrei dovuto fare il cuoco». E che mondo ha trovato al Centro Sperimentale? «Allora era una scuola allo sbando, come tutte le scuole gestite dalla Dc. Gli insegnanti erano tutti precari e spesso non c’erano lezioni, così ci portavano a vedere film. E ne ho visti tanti. Ero un grande appassionato di Jean Vigo, un anarchico francese. Infatti oggi, la mia società è intitolata a lui. Il suo Zero in condotta è un capolavoro». Perché Vigo è un mito? «Perché sono un anarchico anch’io, e i suoi film sono contro il potere. “Le leggi che governano il cinema sono leggi di mercanti da fiera” diceva. Ed è così» (Bolino). «Dopo essersi diplomato al Centro sperimentale di cinematografia [...], F. esordì come documentarista, quindi girò il suo primo lungometraggio a soggetto, Escalation (1968), film segnato da un corrosivo anarchismo, analogo a quello di I pugni in tasca (1965) di Marco Bellocchio, e profondamente percorso dal clima della contestazione del Sessantotto, con un registro grottesco che articola un’aperta critica alla società capitalista. H₂S (1969) è invece uno stravagante apologo fantascientifico carico di utopismo antitecnologico: il film, sequestrato e coinvolto in vicende giudiziarie, poté essere distribuito soltanto nel 1971» (De Paolis). «Ho avuto un sacco di problemi, molte censure. Quando non si è nei ranghi, poi te la fanno pagare. Ho avuto una vita difficile, ho sempre lottato contro. Ma è anche grazie a questo modo di vedere e riconoscere le cose, di leggere la realtà in modo diverso, che ho formato il mio carattere. E comunque, dopo l’uscita di quel film, me ne sono andato negli Stati Uniti. È lì che ho imparato il mestiere». «Sì, l’America è stata la mia vera palestra, la mia scuola. È un paese che nell’alto e nel basso è al vertice di tutto. Vivevo a Washington perché avevo vinto una borsa di studio». «Gli americani fanno un cinema conformista, al limite della reazione. Ma da loro ho imparato a lavorare. Chiunque, in America, se ha qualcosa da dire, lo può fare. In Italia, se non si ha una rete di protezione è impossibile. Le racconto però questo aneddoto. Nel ’68 ho fatto una manifestazione a New York contro Nixon e sono finito in prigione. Per fortuna avevo un amico avvocato, famoso, un tale Scwarzmann che ha fatto causa al governo americano. Mi hanno dato venti mila dollari di risarcimento con cui ho poi comprato casa a Roma. Da allora ogni volta che vado in America spero di essere arrestato» (Bolino) • «Faenza ha un posto importante nella storia del cinema politico per avere diretto l’unico documentario satirico sulla Prima Repubblica, un film diventato oggetto di culto: Forza Italia! Scritto nel 1977 con Antonio Padellaro e Carlo Rossella, allora giovani cronisti, montato e assemblato da Silvano Agosti e dall’aiuto regista Marco Tullio Giordana, Forza Italia! è un impietoso Blob sulla Democrazia cristiana. Filmati, interviste e frammenti “fuori onda”, alcuni doppiati, la maggior parte originali, dalle elezioni del 1948 al congresso del 1976, quello della rivolta dei giovani della sinistra contro i padri fondatori» (Barbara Palombelli) • Faenza, ma come riuscì a coinvolgere Aldo Moro? «Partecipò grazie a un inganno. Gli dicemmo che volevamo celebrare il trentennale del primo congresso della DC, mentre il nostro intento era l’esatto opposto: un atto d’accusa verso un’intera classe politica» • «È un film potentissimo e ancora oggi mi chiedo come abbiamo fatto a farlo. Ricordo che organizzammo una proiezione per i notabili democristiani. In sala c’era anche Andreotti: alla fine del film, era sceso un gelo terribile, un silenzio… Poi Andreotti è venuto verso di me e mi ha chiesto come lo avevamo finanziato. Gli ho risposto che a pagarlo erano stati loro con i soldi del ministero». «Quando la Dc vide il film protestò, chiese le nostre scuse e il sequestro delle copie. Poi però venne rinvenuto il memoriale di Moro, nel covo di via Montenevoso. Nelle ultime righe c’era scritto che per capire la spregiudicatezza dei dirigenti del suo partito bisognava guardare Forza Italia!».
Amori È stato sposato due volte. Prima moglie: Benedetta Barzini, modella e attrice. Figlia di Luigi Barzini jr. e di Giannalisa Gianziana Feltrinelli (e quindi, sorellastra di Giangiacomo Feltrinelli) • Racconta lei: «Lo conobbi che era un giovane regista. Voleva farmi fare un film stranissimo, ne parlammo e, morale della favola, ci innamorammo. Lui vinse una borsa di studio per gli Stati Uniti, lo seguii e partorii due gemelli». Sono Giacomo e Caterina Faenza, oggi cinquantenni. Racconta di nuovo lei: «Un matrimonio durato pochissimo, lui non voleva i bambini. Poi però mi ha perseguitato 13 anni in tribunale per riprenderseli: per lui ero inadatta a fare la madre».
Amori/2 «Diversi anni dopo, a Bologna, ho incontrato Elda Ferri e ci siamo innamorati. È la mia produttrice e lo è anche di Benigni. Ha vinto con Gianluca Braschi il David nel ’98 per La vita è bella».
Polemica Nel 2007 I Viceré fu accompagnato da polemiche ancora prima dell’uscita sugli schermi per la presunta vena anticlericale, ed escluso poi dalla Festa del Cinema di Roma. Alla prima mondiale al Parlamento europeo, ci sono 400 deputati provenienti da Paesi di tutto il mondo e solo tre italiani. Aldo Grasso lo stroncò senza pietà: «A ben pensarci aveva ragione Benedetto Croce quando scrisse che i I Vicerè, il romanzo di Federico De Roberto pubblicato nel 1894, era di “un’opera pesante che non illumina l’intelletto e non fa mai battere il cuore”. È il giudizio più appropriato che si possa dare anche alla versione di Roberto Faenza, colto da improvvisa e pretenziosa sindrome viscontiana (voleva dimostrare non solo che Il Gattopardo deve molto ai Vicerè ma che si può anche fare meglio di Luchino Visconti)» (CdS 25/11/2008).
Religione Ateo. «Mi scusi ma è offensiva la parola “ateo”, cosa significa? “senza Dio”? Bisogna dunque ammettere che Dio esiste?» (Sorride).
Curiosità Ha pubblicato moltissimi saggi. Tra questi, una sorta di manuale di autoproduzione per cineasti alternativi, Senza chiedere il permesso (1972) • Sua sorrella Gigliola ha sposato il figlio di Anna Magnani • Rimpiange «la legge dc che obbligava il cinema americano a versare nelle casse italiane una quota dei suoi proventi. Ora sono state tolte queste tassazioni perché “i politici di centro-sinistra, per un malinteso ossequio o forse per sensi di colpa, hanno ceduto all’impero culturale su tutti i fronti”» (Paolo Conti) • «Un giorno, sul set, non riesco a fermare un attore alle prese con un tapis roulant impazzito. Lo vedo stravolto e mi preoccupo. Urlo all’attrezzista: “Decelera per carità, decelera” e non succede nulla. Gli vado vicino e agitato gli dico: “Fermalo per Dio, presto”. E quello, serafico: “A dotto’ e se sapevo che voleva di’ decelera e che stavo qui a lavora’ per lei?”» (Malcom Pagani, L’Esp 18/3/2011) • Cosa pensa del fatto che ci sono ancora negazionisti dell’Olocausto? «Penso che non ci credano fino in fondo e che sia pura propaganda per farsi notare e avere qualche articolo di giornale. Nessuna persona che non sia completamente folle puт negare questa realtа». Secondo lei la letteratura, il cinema, l’arte servono per non far dimenticare? «Walt Disney ha dato la risposta più bella. A un giornalista che gli chiedeva, durante la seconda guerra mondiale, come mai facesse dei documentari contro i nazisti lui ha risposto: “Si crede che il cinema sia soltanto evasione, invece è anche qualcosa d’altro”» (Alain Elkann, Stampa 29/12/2013) • Per girare il film su Alda Merini è stato a Torino. Riconosce che la città oggi è cambiata moltissimo rispetto agli anni della sua giovinezza. «È tutto l’opposto di quella in cui sono cresciuto, non riesco a capacitarmi che sia lo stesso posto. Non ho mai visto tanti ragazzi, molti di piщ che a Roma, che negli anni è invecchiata molto. Torino è una cittа in mano ai giovani, questo è bellissimo». Si è lambiccato a lungo il cervello per capire cosa abbia fatto cambiare così la città: attribuisce il tutto alla fine della Fiat. «Con il declino della grande azienda, gli abitanti si sono risvegliati da un brutto sogno come la Bella Addormentata».
Titoli di coda Solo tempo dopo gli incresciosi fatti, all’Istituto sociale di Torino, si scoprì che era stato un compagno dispettoso a mettergli il giornaletto porno sul banco. «Ho chiesto alla scuola il riaccreditamento con scuse ma non me l’hanno mai concesso. Adesso che vengo su passo e ci riprovo, a costo di presentarmi con un avvocato» (Fabrizio Accatino).