Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  febbraio 23 Venerdì calendario

Biografia di Alessandro Gassmann (nato Alessandro Gassman)

Alessandro Gassmann (nato Alessandro Gassman), nato a Roma il 24 febbraio 1965 (59 anni). Attore. Regista. Vincitore, tra l’altro, di un David di Donatello al miglior attore non protagonista (2008, Caos calmo di Antonello Grimaldi) e di tre Nastri d’argento, uno al miglior attore non protagonista (2008, Caos calmo), uno al miglior attore protagonista (2015, I nostri ragazzi di Ivano De Matteo e Il nome del figlio di Francesca Archibugi) e uno al miglior regista esordiente (2013, Razzabastarda). «L’ombra paterna, molto ingombrante, non mi ha mai oscurato. Io penso che mi abbia, anzi, tenuto fresco quando c’era troppo sole» (a Silvia Nucini) • Terzo dei quattro figli di Vittorio Gassman (1922-2000) – dopo Paola e Vittoria e prima di Jacopo –, e l’unico nato dalla relazione con l’attrice francese Juliette Mayniel (1936-2023). «Ho ripristinato il vecchio cognome di famiglia. Mi sono aggiunto una “enne” alla fine: ora sul passaporto sono Alessandro Gassmann. Non per recidere il legame con mio padre, che è sempre stato fortissimo. Ma per recuperare la storia familiare. Noi siamo ebrei. Io a metà, mio padre per intero. Nel ’34 la nonna, che era rimasta vedova con due figli e intuiva la bufera che incombeva, tolse la “enne” al cognome dei figli e cambiò il suo da Ambron ad Ambrosi» (ad Aldo Cazzullo). Secondo la sorellastra Paola, però, «Alessandro fa un po’ di confusione: il nostro cognome è mutato quando papà Vittorio andò a lavorare in America. Trascrissero male il suo passaporto, facendo cadere una “n”. Ma Gassman è quasi un nome d’arte. Io ci sono affezionata. Il nostro cognome in realtà non è ebreo, ma tedesco. Nonno Enrico [Heinrich Gassmann – ndr], il papà di mio padre Vittorio, infatti, era cattolico. Sua moglie, Luisa Ambron, invece era per metà ebrea». «Mio nonno tedesco, ingegnere antisismico, e un suo amico decisero di venire in Italia a cercare moglie. Attraversarono le Alpi a piedi e finirono a Genova, dove incontrarono per caso mio nonno in un bar. Lui era medico: li invitò nello studio per curare i loro piedi piagati dal viaggio, poi a cena. I due ne hanno sposato le due figlie. Dall’amore tra mio nonno e mia nonna sono nati papà e mia zia» (ad Arianna Finos). Infanzia trascorsa nella dimora paterna sull’Aventino, «“un palazzetto di quattro piani. Papà ci aveva fatto costruire dentro un piccolo teatro, disegnato dallo scenografo Pier Luigi Pizzi. E tra le rovine romane trovate nei sotterranei aveva messo un bar. Ho vissuto lì per anni”. Quattro piani. Uno per ogni moglie di suo padre? “Delle mogli c’era solo mia madre, Juliette Mayniel [in realtà i due non si sposarono mai – ndr], che a un certo punto se ne andò. Dopo un po’ papà si mise con Diletta D’Andrea, che prima stava con Luciano Salce. Lei per me è una seconda madre”» (Vittorio Zincone). «Nell’infanzia quella famiglia mi sembrava la normalità: un padre, due madri, una che vedevo raramente e una d’elezione che mi metteva le maglie di lana, tre fratelli di madri diverse, un fratello acquisito, Emanuele Salce [nato nel 1966 da Luciano Salce e Diletta D’Andrea – ndr], con cui ho condiviso per anni un lettone» (a Stefania Rossini). Del padre ritiene di «essere stato il figlio privilegiato: mi ha avuto all’età giusta. […] Avevo un rapporto fisico con mio padre, facevamo la lotta, le gare di nuoto, giocavamo a tennis» (a Valerio Cappelli). «“Capra”. Ride, scandendo bene la parola. “Papà mi chiamava così molto prima che Vittorio Sgarbi urlasse ‘capra capra capra’ per insultare qualcuno. Era sempre avanti”. […] “A scuola, come diceva papà, ero una capra”» (Silvia Fumarola). «“Sono stato bocciato due volte. Poi ho recuperato. A 14 anni ero un po’ pariolino, giravo in vespetta. Poi mi sono trasferito al Dante Alighieri: un anno da vero compagno. Gridavo: ‘È ora di cambiare/il Pci deve governare’. […] Alla fine mi diplomai al Saint George’s, una scuola inglese sulla Cassia. Stazionavo al baretto di La Storta. In quel periodo sono diventato campione di Space Invaders”. Il vecchio gioco elettronico? “Esatto. Avevo D, il minimo, in quasi tutte le materie, ma andavo fortissimo nel dettato in italiano. Pensavo a divertirmi”. Un vero figlio degli anni Ottanta. “Le lampade solari, le discoteche, la spensieratezza”» (Zincone). «Picchiavo, ero violento, mi ficcavo in tutte le risse. A 16 anni per menar le mani facevo il buttafuori al Piper. Quando mio padre lo venne a sapere, al grido di “fascista, fascista” mi levò il motorino e mi mandò a fare pugilato. Ho preso molti cazzotti e mi sono definitivamente calmato. Vuole sapere che futuro prevedeva per me all’epoca? O pappone o attore. Ho sfiorato anche l’altro mestiere. A 17 anni in Grecia con un gruppo di coetanei, tutti in sacco a pelo, mi feci mantenere per una settimana da una trentenne che alloggiava all’Excelsior. Di notte buttavo il cibo dalla finestra ai miei amici. Quando mio padre lo seppe, si fece un sacco di risate». «“Mio padre […] era un grandissimo lettore, aveva una cultura smisurata ed era un padre esigente. Da ragazzo avevo l’obbligo di lettura di un libro a settimana, con il riassunto. […] A 16-18 anni ho smesso di studiare, come può succedere a chi ha un un’indole refrattaria a sopportare le imposizioni. I miei impegni primari erano la Roma, la curva e i fumogeni”. E lui? “Mio padre mi prese per un orecchio: mi fece fare il servizio militare, poi mi portò in tournée, unendo la mia passione calcistica all’arte. Da una botola, come attrezzista, ho visto almeno 250 repliche del suo meraviglioso Macbeth: ero l’addetto ai fumi”» (Elena Masuelli). «“Dopo il liceo mi ero iscritto a un corso di fumetti. Mia madre mi aveva trasmesso la passione per il disegno. Per guadagnare due lire stavo per cominciare a fare il modello. A quel punto, però, mio padre mi disse: ‘Perché non vai a Firenze alla mia scuola?’. Ci andai”. Raccomandato. “Feci un buon provino con Alvaro Piccardi. Non ero male. Con Giulio Base, mio coinquilino di quegli anni, al primo anno facemmo un esercizio di improvvisazione corporea ispirandoci ai nostri film preferiti dell’epoca: quelli con Bud Spencer e Terence Hill”» (Zincone). Debutto cinematografico in Di padre in figlio, documentario familiare diretto dal padre e presentato alla Mostra di Venezia nel 1982. «Io feci il film controvoglia, alla fine papà dovette anche accelerare le riprese facendomi truccare da venticinquenne. Poi ci fu un episodio particolarmente spiacevole: papà volle ricostruire quella volta che, quando avevo undici o dodici anni, durante una lezione di inglese mi dette il primo e unico ceffone della sua vita. Ebbene, sul set me lo diede di nuovo, con la stessa forza, tanto che io piansi allo stesso modo. Ma in quel caso era come se stesse adottando una terapia d’urto, mi stava dicendo a modo suo: “Benvenuto nel mondo del cinema”. Quando papà seppe delle mie intenzioni di iscrivermi all’università [alla facoltà di Agraria – ndr], mi volle subito con sé a teatro. Aveva paura che non concludessi nulla. Qualche settimana dopo debuttammo a Pistoia con Affabulazione da Pasolini: io dovevo recitare nudo e con i capelli tinti di biondo, sembravo un incrocio tra il ballerino Truciolo e David Bowie! Per fortuna, al secondo atto, al centro della scena c’era lui, e il pubblico nemmeno si accorgeva più della mia presenza sul palco. Ci ho messo del tempo, tuttavia, prima di capire che mi piaceva fare l’attore. Accadde quando Pino Quartullo mise in scena prima a teatro e poi al cinema la commedia Quando eravamo repressi. Lì mi resi conto che riuscivo a far ridere, sdrammatizzando così la mia fisicità. Sapere di far ridere mi ha fatto venire la voglia di migliorare come attore drammatico» (a Enrico Magrelli). «Alterna l’attività teatrale alla partecipazione a produzioni televisive (La famiglia Ricordi, 1987; Sansone e Dalila, 1996; Piccolo mondo antico e Crociati, 2001); al cinema lega il suo nome con commedie becere e inconsistenti (Quando eravamo repressi, 1992; Uomini senza donne, 1996; Teste di cocco, 2000). Ottiene risultati migliori con Bigas Luna in Uova d’oro (1993) e con F. Özpetek, che gli affida il ruolo del protagonista nel riuscito Il bagno turco – Hamam (1997)» (Gianni Canova). «Un film che nessuno voleva fare. Il regista era sconosciuto, Marco Risi che lo produceva dovette impegnarsi casa sua, gli attori rifiutavano uno dopo l’altro di interpretare un omosessuale. Lo feci io e fu un grande successo, che mi portò anche diversi premi». «Nel 2001 interpreta il faccendiere Pazienza in I banchieri di Dio di G. Ferrara. Nel 2005 viene scritturato per l’action-movie Transporter: Extreme di L. Leterrier, in cui impersona l’atletico capo di una banda di criminali, per poi ritornare al cinema italiano con Non prendere impegni stasera (2006) di G.M. Tavarelli, Caos calmo (2008) di Antonello Grimaldi, dove è il “lampadato” fratello del protagonista, e Il seme della discordia (2008) di P. Corsicato» (Canova). Particolarmente importante per la sua carriera fu Caos calmo, «tratto dal libro di Sandro Veronesi. Non si aspettava molto, se non l’opportunità di lavorare con Nanni Moretti. Il ruolo era quello scomodo di non protagonista, del secondo dietro al gigante. E invece gli è cambiata la vita. Il grande pubblico […] si è innamorato di lui. Gli ha riconosciuto il talento e, soprattutto, l’umanità. Con novanta minuti di proiezione ha cancellato l’immagine del figlio d’arte privilegiato e inevitabilmente antipatico» (Irene Maria Scalise). Successivamente ha preso parte a commedie di vario livello (Ex, Natale a Beverly Hills, Basilicata coast to coast, Tutta colpa di Freud, Il nome del figlio, Beata ignoranza, Una storia senza nome, Non ci resta che il crimine, Non odiare, L’ordine del tempo) e a serie televisive (Pinocchio, Una grande famiglia, I bastardi di Pizzofalcone, Un professore), cimentandosi anche come regista (Razzabastarda, Strappati, Il premio, Il silenzio grande). Rilevante anche il suo impegno teatrale, come attore, regista e direttore (dello Stabile d’Abruzzo dal 2009 al 2011, dello Stabile del Veneto dal 2010 al 2014). Attualmente «firma regia e scene di Racconti disumani, tratto dai racconti di Franz Kafka Una relazione accademica e La tana, spettacolo dello Stabile d’Abruzzo e di Stefano Francioni con protagonista unico Giorgio Pasotti. […] “Dopo il mio Riccardo III, dove per 200 repliche in tre stagioni avevo faticato immensamente, ho interrotto le recite, e non sono risalito subito a cavallo. Ora però sento la mancanza del palcoscenico. Ho intenzione di tornarci, con un testo scritto da me, che mi rappresenti, fatto con miei racconti e aneddoti da mettere insieme. Ho già dei materiali, e, dopo aver finito di dedicarmi a due miei film che hanno un’origine teatrale, vorrei che il prossimo progetto scenico mi coinvolgesse drammaturgicamente, registicamente e come interprete”. […] Gli altri suoi impegni? “C’è in scrittura la terza stagione di Un professore, che m’ha stupito per la sua trasversalità, con basi filosofiche. Ho finito di prender parte a Mani nude di Mauro Mancini, dove faccio l’addestratore del ventenne Francesco Gheghi, tra lotte clandestine inquietanti. Come accennato, firmerò due film dal teatro. E sostengo in giro il mio libro Io e i #GreenHeroes, con diritti devoluti ad attività ecologiche e antiviolenza”» (Rodolfo Di Giammarco) • Gli «eroi verdi» al centro del libro in questione (Piemme, 2022) sono «gente che contro tutto e tutti porta avanti imprese ecologiche, riduce il disastro ambientale e ci guadagna: ci fa i sòrdi, come si dice a Roma. Non racconto storie radical chic, ma persone concrete e di successo. Solo loro potranno salvarci» (ad Andrea Scarpa). «L’ansia per clima è un sentimento che provo in ogni momento, è il primo dei miei pensieri la mattina”» (a Elisabetta Ambrosi). «Il mio amore per la vita agreste viene da mia madre, ed è nato in Toscana, dove ho casa e dove mia madre ha vissuto a lungo. È una terra che amo moltissimo» (a Elisabetta Berti) • Nel 1998 il matrimonio con l’attrice Sabrina Knaflitz e la nascita del loro figlio Leo, cantante e ora anche attore (protagonista della recente produzione televisiva Califano, su Rai 1). «È vero che con Sabrina si sposò in un agriturismo? “Vero. C’era un quartetto d’archi. In totale eravamo in diciotto”» (Cappelli) • Antica e profonda l’amicizia con Gianmarco Tognazzi («come un fratello»), con cui ha spesso recitato • «Sulla bellezza, non ho mai avuto problemi. Mio padre era magnifico, ma ho scoperto a 14 anni di cavarmela benino anch’io. Me lo fece capire una donna spaziale: Raquel Welch, l’immagine femminile più eccitante che io abbia mai incontrato. Avevo accompagnato mio padre a Lecce per un premio. Lei mi apparve improvvisamente in un ascensore. Mi mancava il fiato, ma, dopo avermi guardato bene, mi sussurrò: “Sei ancora più bello di tuo padre”. E se ne uscì svanendo per sempre nel corridoio». «Quanto guadagnò per il calendario nudo che fece per Max nel 2001? “Tantissimo. Mi comprai un pezzo di casa. Vorrei rifarne un altro con le stesse pose e negli stessi posti. Potrei chiamarlo Avanzi…”. Gli avanzi hanno bisogno di un aiutino? “No, ho paura. Finché mia moglie non mi dice ‘Bello mio, fa’ qualcosa’, vado avanti così”» (Scarpa). «Che rapporto ha con gli anni che passano? “Mi chiedono gli autografi per le mamme e le zie. Ho detto tutto”» (Fumarola) • «Il mio riferimento di sinistra da molti anni è il Papa» (nel 2022) • Iperattivo su Twitter, polemizza spesso con politici d’ogni schieramento. Ambasciatore dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr), si batte tra l’altro in favore dello ius soli. «Uso Twitter per promuovere il mio lavoro o per sensibilizzare su tematiche che ritengo fondamentali, mai per il privato» (a Maria Laura Giovagnini) • «Gassmann spazzino, Gassmann censore degli assembramenti, Gassmann pro vax, Gassmann contro i sindaci bacchettoni, Gassmann rigido educatore, Gassmann… […] Le battaglie pubbliche di Gassmann hanno riguardato, negli anni, gli argomenti più vari, comportando giudizi di ogni tipo, sollevando polemiche a destra e a manca. […] Dopo questi numerosi interventi sulla vita di società, dopo l’impegno civico profuso quasi ogni giorno sui social, in molti si sono chiesti: ma perché non entra in politica? […] Ministero del cazziatone: e se il politico fosse meglio dell’artista?» (Aldo Grasso) • «Una volta di se stesso lei ha detto: “Non sono talentuoso”. “È vero. Ho un talento medio”. Ha anche detto: “Qualunque cosa io faccia, mio padre l’avrebbe fatta meglio”. È passato il complesso? “Sì. Credo che come regista teatrale io sia più dotato di mio padre. […] Ma da attore rimane un po’ quella sensazione che papà ha fatto cose talmente grandi…”» • «Mi sento attore di commedia, ma quella che piace a me, quella che ti tira fuori il sorriso nel momento drammatico e la vena malinconica in quello allegro. È la cifra che sento più mia e anche più vicina alla vita reale» (a Renato Franco) • «Se potesse rivivere un momento della sua vita, quale sarebbe? “Un bellissimo viaggio fatto a 12 anni con mio padre negli Stati Uniti, la prima volta che andai a Disneyland. Non mi sono mai divertito così tanto in vita mia”. Non me lo immagino, suo padre Vittorio a Disneyland… “Lei scherza! Papà era un maniaco appassionato di montagne russe, su cui mi trascinava sempre. Nella mia infanzia ho vissuto molte esperienze di puro terrore (ride, ndr)”» (Marco Consoli) • «L’errore della vita? “Non avere imparato a suonare uno strumento musicale”» (Zincone) • «È arrivato a quarant’anni di carriera. […] A cosa è più affezionato del suo lavoro? “Amo moltissimo la serie Il professore perché credo che la scuola dovrebbe essere così. […] Certo, il teatro è il luogo dove sono nato, l’inizio di tutto, dove ho avuto la fortuna di imparare il mestiere di attore da mio padre, solo guardandolo. Ma la grande scoperta è stata la regia: ormai ne ho curate molte, e forse è la cosa che faccio meglio. Poi ci sono alcuni film di cui sono molto fiero. Uno è Non odiare, che parla di ascolto, la cosa che manca di più alle persone oggi”» (Berti) • «Io mi sono fatto le ossa a teatro, dove ho fatto diverse regie di spettacoli di cui ero anche interprete: quelle esperienze mi sono servite molto, sono state un’ottima palestra. Sul set mi succede questo: quando sono al monitor e imposto la scena, sono completamente un regista e non attore; quando viene dato il ciak, divento completamente un attore» (a Valentina Torlaschi) • «“Voglio fare solo regie: se ne avrò la forza mi piacerebbe girare documentari e occuparmi di natura». «“Poi è chiaro che, se servirà per una parte un signore con la lordosi molto alto, non mi tirerò indietro, ma dovrà essere qualcosa in cui davvero credo. Ho fatto di tutto nella mia vita, anche cose di cui mi vergogno un po’”. Tipo? “Una miniserie su Biancaneve dove facevo il principe azzurro, in calzamaglia. Una cosa terrificante”» (Simona Sparaco) • «Oggi faccio scelte professionali seguendo esclusivamente i miei gusti di spettatore. E come persona cerco di utilizzare la mia popolarità per cause che considero importanti: impegno in favore dei rifugiati con l’Unhcr e lotta ai cambiamenti climatici» • «Il pregiudizio ha grandi e piccole facce. Lei ne è mai stato oggetto? “Spesso sono colpito da pregiudizi positivi. Questo Paese mi irrita perché mi rendo conto che da personaggio pubblico e riconoscibile, negli ultimi anni utilizzabile soprattutto per i selfie, traggo vantaggi. È un Paese in cui la sudditanza al potere e alla notorietà è più evidente, da sempre, che in altri Paesi. Mi è capitato di fare un’infrazione con l’auto: il vigile arriva, mi riconosce, sorride: ‘Gassmann, stavolta passa’”. Mai pensato di dire “Voglio pagare la multa”? “Mai detto, in effetti”» (Finos) • «Se devo guardare indietro, posso dire che finora è stata una corsa bellissima, con porte in faccia, successi, cose buone, mediocri e pessime. Potevo andare molto meglio, ma anche molto peggio».