29 febbraio 2024
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Biografia di Javier Bardem (Javier Ángel Encinas Bardem)
Javier Bardem (Javier Ángel Encinas Bardem), nato a Las Palmas de Gran Canaria (Spagna) il 1º marzo 1969 (55 anni). Attore. Tra i numerosi riconoscimenti ricevuti, un premio Oscar al miglior attore non protagonista (2008, Non è un Paese per vecchi di Joel ed Ethan Coen), due Coppe Volpi per la migliore interpretazione maschile (2000, Prima che sia notte di Julian Schnabel; 2004, Mare dentro di Alejandro Amenábar) e un Premio per la migliore interpretazione maschile al Festival di Cannes (2010, Biutiful di Alejandro González Iñárritu: ex aequo con Elio Germano). «Io non credo in Dio, ma credo in Al Pacino» • Ultimo di tre figli (attori anche il fratello, Carlos Bardem, e la sorella, Mónica Bardem). «Nella mia famiglia i nonni e i bisnonni erano attori, scrittori e sceneggiatori. Hanno vissuto in un periodo in cui il mestiere di attore era una professione comparabile alla prostituzione: eri un disgraziato, senza neanche il diritto di essere sepolto in terra consacrata» (a Roberto Croci). «Suo zio Juan Antonio, regista oppositore di Franco, è stato in carcere. Sua madre Pilar, attrice e attivista, ha attraversato momenti difficili. Quanto questo l’ha formata? “Certe consapevolezze sociali e politiche arrivano presto, quando nasci e cresci in una famiglia in cui alcuni membri sono perseguitati politici perché si sono schierati dalla parte della democrazia, come è successo a mio zio. Da bambino mi sembrava che in casa si parlasse troppo di politica; crescendo ho capito che bisogna prendere posizione. E l’ho fatto guardando a mia madre, un’attrice, divorziata, madre single con tre figli negli anni ’70 in Spagna. Aveva una sorta di marchio del disprezzo, era considerata una prostituta, lo dico con tutto il rispetto per le lavoratrici sessuali. Ho imparato, giorno dopo giorno, dalla sua forza, dignità, costanza”» (Arianna Finos). «I miei genitori si sono separati poco dopo la mia nascita e mio padre non è stato molto presente mentre crescevo. Mia madre era tutto: il papà, la mamma, l’amico. Mio fratello, che aveva sei anni più di me, era la mia figura maschile di riferimento, ma era solo un ragazzo, poverino, ha fatto un sacco di errori: e io altrettanti seguendo lui. Mia madre […] mi ha insegnato fin da piccolo che devi prenderti davvero cura degli altri, essere capace di vederli quanto più puoi, essere aperto verso di loro anziché concentrato solo sui tuoi impegni: sono caratteristiche molto femminili. […] Tutto questo mi è rimasto nella mente e nel cuore. Posso interpretare un macho perché conosco bene la tipologia, sia nella mia cultura sia in altre, ma non lo capisco, e questo credo dipenda dall’educazione ricevuta» (ad Anna Maria Speroni). Fu la madre a iniziarlo alla recitazione, facendolo debuttare a soli cinque anni nella serie televisiva El pícaro di Fernando Fernán Gómez. Anche il padre, però, ebbe un ruolo nella sua vocazione d’attore. «Prima di recitare ho giocato per la Nazionale spagnola di rugby, poi a 12 anni mio padre mi portò a vedere Toro scatenato. Robert De Niro era così bravo che per tutto il film ho pensato che fosse un pugile professionista. Mi sono chiesto quale fosse il suo segreto, e così ho iniziato a studiare lui, Al Pacino, Marlon Brando e Dustin Hoffman». «Il debutto al cinema arriva nel 1990 con Le età di Lulù, pellicola di Bigas Luna. La protagonista è l’italiana Francesca Neri, mentre il 21enne Javier interpreta il violento Jimmy, che permette all’attrice d’assistere e partecipare a un rapporto omosessuale in cambio di denaro. Presto Javier diventa l’attore feticcio del regista spagnolo, con il quale girerà altri 3 film negli anni ’90: Prosciutto prosciutto, Uova d’oro e La teta y la luna» (Francesco Tortora). «Io non avevo nessuna intenzione di diventare attore, ma accompagnai mia sorella a un provino per Le età di Lulù. Un casting director mi disse: “Lo vuoi fare?”. Mi chiesero di togliermi la camicia e mi presero. Ero solo un pezzo di carne: poi, pensandoci e lavorandoci, sono diventato un attore. […] Di Prosciutto prosciutto con Bigas Luna ricordo che eravamo io, Penélope [Cruz – ndr] e Jordi Mollà, giovanissimi in un cast di grandi attori: c’era Stefania Sandrelli, Anna Galiena, Juan Diego, e noi volevamo essere perfetti ai loro occhi. Lì ho conosciuto la grande donna, la grande artista che è diventata mia moglie, e sarò per sempre grato a Bigas Luna per aver fatto Prosciutto prosciutto». «All’inizio della sua carriera, Javier incrocia anche Pedro Almodóvar, destinato a diventare il più grande regista spagnolo. I due girano insieme due film di successo: Tacchi a spillo e Carne trémula» (Tortora). «Il fisico possente e lo sguardo da duro gli aprono le porte del cinema, e i ruoli da macho, che ben gli si addicono, lo portano in breve al successo. Interprete di alcuni film di J.J. Bigas Luna, viene meglio valorizzato da V. Aranda in L’amante bilingue (1993) e da M. Gómez Pereira in Boca a boca (1995), che gli vale il premio Goya come miglior attore. Scelto da P. Almodóvar per interpretare il marito paraplegico tradito da F. Neri in Carne trémula (1997), è nuovamente macho, sesso-dipendente e sospettato di omicidio nel noir corale Tra le gambe (1999) di M. Gómez Pereira. Nel 2000 vince a sorpresa la Coppa Volpi alla Mostra del cinema di Venezia per la sua intensa interpretazione nel giallo Prima che sia notte di J. Schnabel» (Gianni Canova). Conquistò nuovamente la Coppa Volpi nel 2004 per il «ruolo del tetraplegico Ramón Sampedro, protagonista di Mare dentro, pellicola diretta Alejandro Amenábar che ottiene il premio Oscar per il migliore film straniero. […] Nel 2007 Javier Bardem è scelto dai fratelli Coen per interpretare il ruolo Anton Chigurh, il killer psicopatico e senza scrupoli di Non è un Paese per vecchi, […] grazie al quale il 24 febbraio del 2008 si aggiudica il premio Oscar come migliore attore non protagonista. […] Nel 2008 è chiamato da Woody Allen a interpretare il pittore spagnolo Juan Antonio in Vicky Cristina Barcelona. Sul set rincontra Penélope Cruz, conosciuta durante le riprese di Prosciutto, prosciutto e Carne trémula» (Tortora). «Mi chiedevo: “Woody, perché mi hai preso?”. Ho dovuto mettermi a dieta, abbronzarmi… Cosa cavolo ci faccio io con tutte queste donne? Lo chiedevo a Woody Allen, ma lui è così: tu gli fai una domanda e lui se ne va, va a suonare il clarinetto. Tutti i maschi sul set mi davano dello stronzo: ero invidiato da tutti perché dovevo baciare queste belle donne. Finché si trattava di baciare Rebecca Hall e Scarlett Johansson ero rilassato. Poi, quando arrivava il momento di baciare Penélope… Beh, sai come quando in classe c’è la ragazza che ti piace e fai di tutto per non guardarla? L’ultimo giorno di riprese sono andato a salutarla, e… oggi siamo sposati e abbiamo due figli. Ma ricordo una scena in particolare in cui dovevamo baciarci: abbiamo cominciato a girare e quel bacio continuava a durare, durare, durare… a un certo punto ci siamo fermati. Non c’era più nessuno di quelli della troupe: ci avevano lasciato da soli. Woody ci ha mandato quello come regalo di nozze: la sequenza tagliata». Tra la varietà di pellicole cui ha preso parte negli ultimi anni, Biutiful di Alejandro González Iñárritu, To the Wonder di Terrence Malick, Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar di Joachim Rønning ed Espen Sandberg, Escobar – Il fascino del male di Fernando León de Aranoa, Madre! di Darren Aronofsky, Tutti lo sanno di Asghar Farhadi, Dune e Dune – Parte due di Denis Villeneuve. Recentemente ha recitato, e cantato, anche in due film musicali, Il talento di Mr. Crocodile di Will Speck e Josh Gordon e La sirenetta di Rob Marshall, in cui interpreta re Tritone. «“Cantare è un esercizio di muscoli: se ci si allena, prima o poi la voce viene fuori. Con un po’ di impegno, tutti possono imparare. Ne La sirenetta è la prima volta che lo faccio seriamente, senza l’aiuto di nessuno e senza ricorrere a magie cinematografiche”. […] È appassionato del genere? “Sì, ma più che altro volevo lavorare con Rob Marshall: lo ammiro molto, è un regista e un essere umano straordinario. Quando mi ha proposto il film, stavo facendo colazione con mia figlia Luna, che è quasi scoppiata a piangere dall’emozione. È una delle sue storie preferite: è stata lei che mi ha convinto ad accettare”» (Croci) • Padre di Leo (2011) e Luna (2013), avuti da Penélope Cruz, sua moglie dal 2010. «Educo i miei due figli come mia madre ha fatto con me» • «Parla di lavoro con sua moglie? “Sì. Ma i bambini vogliono vedere papà a casa, non Pablo Escobar. Mentre lo stavo interpretando avevo i baffi e i capelli lunghi, e quando tornavo mi guardavano in modo strano. Già è pesante per loro vedere un genitore con una faccia diversa: meglio evitare questioni di lavoro. Ed è fantastico, perché sei obbligato a lasciare il tuo personaggio fuori di casa. Per un attore è salutare. Sei salvo. Respiri, ti rendi conto che niente di quanto succede sul set è davvero importante: l’importante è dentro casa, e quando il giorno dopo ti ributti nella fiction hai recuperato energia, sei affamato, ti immergi anche di più. È stata una gioia lavorare con Penélope in Tutti lo sanno ed Escobar: più semplice perché la famiglia stava insieme; e perché è stata una grande lezione mettere da parte il lavoro ogni sera. Fa bene anche alla creatività, anziché star sempre a ruminare sul ruolo come le mucche”» (Speroni). Talvolta, tuttavia, non tutto va per il meglio. «Quando abbiamo fatto Loving Pablo su Escobar, io ero uno stronzo e lei la vittima. È stata dura: Penélope amava il film e il ruolo, ma siamo andati in posti oscuri con quei personaggi. Ci conosciamo a fondo e non dobbiamo giustificarci, ma fare quel film e poi tornare a casa alla nostra vita non era facile. Un giorno ho dovuto dormire sul divano perché Penélope non sopportava più me e quei miei baffi» • «Lei crede nell’aldilà? “Io penso che quando moriamo non finisca tutto, e che invece cominci un nuovo viaggio. Sa perché lo dico? Quando girai Biutiful incontrai alcuni sensitivi con il dono di mettersi in contatto con i trapassati, e ho visto e… sentito che era vero. Mio padre morì quando aveva 26 anni e mi manca ogni giorno; mi piace credere che è intorno a noi, a me e ai bambini, e ci guarda”» (Alessandra Venezia) • Si è rassegnato a prendere la patente solo dopo essere diventato padre. «Devi farlo se vuoi portare i bimbi a scuola. E allora ti presenti alla scuola guida: “Sono Javier, vorrei guidare”, e tutti ridono perché sei un vecchio e il tuo istruttore giovane ti vuole impressionare e sfreccia a tutta velocità nel traffico…» • «Oltre al tempo per la famiglia e per il lavoro, Javier trova anche quello per dedicarsi all’attivismo ambientale, e in particolare alla salvaguardia dell’ecosistema antartico come ambasciatore di Greenpeace» (Marika Gennari). «Le sta molto a cuore il cambiamento climatico? “Nel 2018 sono andato in Antartide su una nave di Greenpeace e ho seguito da vicino il lavoro di biologi, scienziati e attivisti. È stata un’esperienza che mi ha aperto gli occhi. Sappiamo tutti quello che sta succedendo ma, quando vedi montagne di plastica in zone inesplorate, l’unica cosa che puoi fare in quel momento è sentirti in colpa per non essere riuscito a evitare quella catastrofe”» (Croci) • «Credo che il MeToo abbia portato un enorme cambiamento positivo, perché consente più facilmente alle vittime di denunciare. Ma c’è un altro lato della medaglia, perché a volte le accuse possono avere enorme risonanza nel mondo dei social media, prima ancora che si verifichi l’esistenza di prove. Tutto questo può essere pericoloso e cambia alcune dinamiche dell’interazione tra le persone, che non so quanto sia naturale: ho letto che qualcuno è stato accusato di aver abbracciato una donna con troppa enfasi, ma io che sono spagnolo sono abituato a mettere passione anche in un abbraccio, quindi che dovrei fare? Questo nuovo modo di pensare può portare a conseguenze che mi sembrano assurde, ma al tempo stesso dobbiamo essere coscienti che è fondamentale far emergere i veri abusi per far progredire la società» (a Marco Consoli) • «La pittura è stata il suo primo amore. Poi che cosa è successo? “Non era tanto la pittura, ma il disegno: facce, corpi, espressioni. Ero incuriosito da quel che poteva esserci dietro. Niente paesaggi o quadri astratti: mi piacevano le facce della gente, e credo sia il motivo per cui faccio l’attore”. Disegna ancora? “Sì. Mentre parlo al telefono…”» (Speroni) • «Amo l’heavy metal, sono un metallaro hardcore. Ascolto di tutto ma i miei preferiti sono i Metallica. […] Sono cresciuto con gli AC/DC e grazie a loro ho imparato a parlare inglese, ascoltando Back in Black. Per me è una musica terapeutica, con alti poteri antistress. Mi dà energia. Distorsioni e urla mi aiutano ad affrontare le emozioni più profonde e mi rilassano» • «Come europeo, è stato difficile avere una carriera di successo negli Stati Uniti? “La priorità per me è lavorare per mantenere la famiglia, poi però bisogna ponderare ogni scelta. Sono uno dei pochi attori spagnoli ad avere l’opportunità di lavorare in un Paese straniero. […] Questo è un mestiere duro, complicato, che si basa, tanto, su conoscenze e contatti. Devo molto anche a Penélope. […] È grazie a lei che ho avuto l’opportunità di collaborare con Tom Cruise e Will Smith. Negli States non ci sono molte barriere contro gli attori stranieri, per noi spagnoli c’è però il rischio di ritrovarti a recitare sempre nel ruolo, stereotipato, di un qualunque sudamericano”» (Croci) • «Il naso rotto a 19 anni, in una rissa al bar, ha aggiunto un certo fascino, ma non ha compromesso il suo trasformismo» (Croci). «Ha saputo essere poeta gay in Prima che sia notte, tetraplegico con aspirazioni suicide in Mare dentro, artista fra due donne in Vicky Cristina Barcelona, assassino surreale in Non è un paese per vecchi. “Sono uno che viene dalla strada e lo sarò sempre, è nel mio dna. Guardo, osservo, prendo quello che vedo e diventa parte di me”, è solito dire» (Cristiana Allievi). «Con il suo marcato accento madrileno, lo sguardo liquido, il naso da pugile e la stazza del giocatore di rugby si è conquistato rapidamente la reputazione di attore serio, insuperabile nei ruoli di cattivo, all’occasione perfetto anche in quelli di eroe romantico, senza dubbio invariabilmente sex symbol (è un maschio alfa d’altri tempi, più Robert Mitchum che Andrew Garfield)» (Venezia) • «Sullo schermo si piace? “Per carità, amo molto i miei personaggi, ma non vedere il mio naso o i miei occhi assurdi, e nemmeno sentire la mia voce: non li sopporto. Quando recito il mio personaggio è diverso. Succede qualcosa di più forte, che sento il bisogno di esprimere”» (Allievi) • «Al Pacino è il mio attore preferito, per me è un dio assoluto. Lui non recita: esiste. Non ho mai capito il suo segreto, ma forse è giusto così: è unico nella sua complessità. Quando uscì Prima che sia notte di Julian Schnabel, Al chiamò Julian per farsi dare il mio numero di telefono. Chiamò a casa mia, a Madrid, in piena notte, e lasciò un messaggio sulla segreteria telefonica, dicendomi che aveva amato il film e che mi considerava un attore di talento e avevo fatto un lavoro straordinario. Ho ancora la cassetta: è uno dei regali più belli che abbia mai ricevuto, è una delle cose che salverei in caso di incendio» • «L’arte e il cinema sono lo specchio della realtà. Gli attori devono avere l’umiltà di ritrarre anche chi disprezzano». «Ci ha regalato una bella carrellata di cattivi. Cosa la attrae, e ce n’è qualcuno che non farebbe mai? “Nei film Marvel o in 007 accettiamo che il male sia male e basta. Ma in quelli più realistici ci si interroga dove stia la frattura: ci deve essere qualcosa che lo ha reso così. Un dolore, un trauma, una ferita. Come attore mi attrae molto. […] Detto questo, so con certezza che non interpreterei mai un pedofilo: non sarei in grado di dare una spiegazione su qualcuno che molesta i bambini. Ci sarà, ma non mi interessa”» (Stefania Ulivi). «La versatilità che la contraddistingue è impressionante. Come fa? “L’obiettivo è scomparire e togliere di mezzo l’ego. Più invecchio, più diventa difficile: a ogni ruolo accumulo cose che si attaccano al corpo come calamite. Per questo lavoro da più di 30 anni con l’insegnante di recitazione Juan Carlos Corazza. Perché è capace di dirmi se mi sto ripetendo. Alla fine, però, sono quello che sono. Il mio corpo, la mia camminata pingue, la mia voce rauca, il mio testone e la mia faccia da bruto tradiscono sempre la mia identità”. […] L’hanno criticata perché in Mare dentro interpreta un tetraplegico… “Sono aperto a parlarne. Se avessero dato la parte a qualcuno veramente tetraplegico, avrei sostenuto la scelta della produzione. Ma quando questo attore non esiste o non si propone? Ci sono molte controversie anche per i ruoli gay. È giusto chiedere a qualcuno di rivelare l’orientamento sessuale prima di scritturarlo? Se non sei nato in Danimarca, non puoi fare Amleto? Essere attore significa trasformarsi”. […] Il ruolo che avrebbe voluto recitare? “Quello del condottiero Hernán Cortés alla conquista del Messico, ma il film è stato cancellato per il Covid-19. Sarebbe stata una parte fantastica, anche se impegnativa. Ma non ho mai rimpianti, tutto accade per un motivo: se non è successo, non doveva succedere. Questa è la mia filosofia”» (Croci). «Si è mai pentito di aver rifiutato un ruolo? “No, vivo nel presente, non ho rimpianti. […] Come dice Meryl Streep, l’attrice che ammiro più di tutte, la carriera di un attore di successo dipende da quante volte si dice di no”» (Croci) • «Mi sembra sia venuto tutto con facilità da quando ho iniziato a recitare: tante opportunità con gente straordinaria. Ho avuto fortuna: conosco attori di talento che non ne hanno avuta altrettanta. E penso sempre che devo meritarmela, questa fortuna, preparandomi bene. Devo avere il paracadute a posto, e poi mi lancio».