il Fatto Quotidiano, 13 aprile 2024
Angelucci pagherà l’Agi 7 milioni: metà in cambio-merce con l’Eni
Dietro la cessione dell’agenzia Agi dall’Eni alla famiglia Angelucci c’è tutto tranne che una motivazione economica. Lo attestano i 7 milioni del prezzo da svendita sul quale nei giorni scorsi, secondo quanto risulta al Fatto da fonti qualificate, è stato trovato l’accordo tra il colosso dell’energia e i titolari dell’impero di cliniche private che vede ai suoi vertici Antonio, il deputato della Lega editore di Libero, del Giornale, del Tempo e delle testate locali del Corriere dell’Umbria. Un’operazione che, secondo le stesse fonti, adesso è finita in stallo per le nuove regole Ue.
Fa impressione la nonchalance con la quale il Cane a sei zampe vuole sbarazzarsi delle sue attività nell’informazione, nelle quali lavora un centinaio di dipendenti compresa un settantina di giornalisti. Secondo fonti qualificate, la cessione avverrebbe a un prezzo di 7 milioni, metà cash e metà che gli Angelucci verseranno a Eni con il cambio merce della pubblicità tabellare del colosso dell’energia pubblicata sui giornali della famiglia in 3 anni (inizialmente gli Angelucci volevano dilazionarla in 5). Dal canto suo, Eni si accollerebbe i debiti pregressi, pari a una ventina di milioni (di cui 7,5 circa infragruppo secondo l’ultimo bilancio noto, quello del 2022) e anche i costi dei poligrafici e dei prepensionamenti di giornalisti. Contattato dal Fatto, il gruppo Tosinvest della famiglia Angelucci non commenta.
Il Cane a sei zampe si sfila così a prezzo vile da quella che ha definito “un’area di attività che gli investitori e il mercato considerano come un’anomalia e che ha richiesto in questi anni un grande sforzo economico, manageriale e organizzativo”. Ma questo preteso “sforzo”, se si guarda ai conti dell’Agi negli esercizi 2011-2022, pare tutt’altro che insostenibile per il colosso dell’energia. Tra 49 milioni di perdite e 153 di ricavi che l’Agenzia giornalistica Italia ha realizzato grazie a contratti infragruppo (su un totale di 330, 87 dei quali sono aiuti all’editoria versati da Palazzo Chigi), in 12 anni l’Agi è costata all’Eni 202 milioni. Aggiunti i 16-17 della differenza tra incasso dalla cessione e la ventina di debiti che la multinazionale si accollerà, l’onere è di 220 milioni. Certo, la cifra non è piccola se la si osserva su una base stand-alone. Ma è un bruscolino a fronte del bilancio consolidato Eni. Nel solo 2023 Versalis, l’ex Enichem che è la controllata petrolchimica del Cane a sei zampe, ha segnato perdite operative per 610 milioni che comunque non hanno impedito ai conti del gruppo di chiudersi con utili netti per 4,75 miliardi. Dal 2011 al 2022 Eni ha realizzato utili netti per 27,7 miliardi: 130 volte i soldi spesi per Agi.
L’operazione però ora appare bloccata. A fermarla hanno contribuito le nuove norme varate dalla Ue con il Media freedom act, il nuovo regolamento a tutela dell’indipendenza di giornali e giornalisti varato il 13 marzo: difficile spiegare a Bruxelles la cessione dell’agenzia a un parlamentare della maggioranza di governo. L’Eni è in mezzo al guado: servirebbe una gara, ma nei giorni scorsi la multinazionale ha smentito le voci di un bando per cedere Agi, spiegando che non ha ricevuto “alcuna manifestazione di interesse alternativa” a quella degli Angelucci, “non sollecitata e non esclusiva”. Chissà perché, dunque, se farsi carico di Agi equivale a mettere in conto uno “sforzo”, Angelucci intende farlo.