Corriere della Sera, 13 aprile 2024
Borsa e guerra, una inspiegabile asimmetria
La Borsa e la guerra. Tra grida di borsa e grida di guerra c’è oggi una «inspiegabile»(?) asimmetria. Dall’Asia a Wall Street, da Londra alle piazze europee, le borse hanno macinato e macinano sempre nuovi record. Per contro, in luoghi dove la storia torna ad essere inevitabile, dal Baltico al Mar Nero, dal Medio Oriente fino al Mar Rosso, la guerra continua e finora senza speranza di pace. Una unica guerra contro l’Occidente, fatta a nord in nome della reviviscente tradizione russa, a sud in difesa di costumi e culture opposti alla blasfema civiltà dell’Occidente. Né un punto di equilibrio, tra record di borsa e grida di guerra, si può trovare nell’economia reale, discontinua tra aree di relativa crescita ed aree di crescita prossima allo zero, nel mezzo di epocali trasformazioni imposte all’industria dal cambio climatico ed imposte alle nostre società dalle nuove regole dettate dalla post-modernità. Senza contare, al margine, l’inflazione ancora strisciante e l’impatto della guerra sull’economia: dai blocchi navali fino alla crescita dei debiti pubblici per finanziare nuove spese militari.
In realtà, quando la storia fa una delle sue grandi svolte, come è oggi con la crisi della globalizzazione, con la fine dell’utopia di un possibile paradiso terrestre globale, allora è facile che ci si presenti l’irrazionale, l’oscuro e non sempre il bene.
Intanto l’economia reale
Discontinua tra aree di relativa crescita ed aree di crescita prossima allo zero e nel mezzo di epocali trasformazioni
Il 12 novembre 2006, con qualche anticipo sulla crisi in arrivo, il Corriere della Sera intitolò una mia intervista «L’America ora rischia una crisi stile ‘29». E poi ancora, scritto nel 2007, un libro intitolato «La paura e la speranza. La crisi globale che si avvicina e la via per superarla». Una crisi che per molti arrivò come una reale sorpresa e memorabile, nel novembre del 2008, fu la domanda fatta dalla Regina Elisabetta agli economisti della London School: «Why did nobody notice it?». E le risposte a quella domanda non furono credibili, ma piuttosto la conferma del fondamento della domanda stessa!
La storia non si ripete mai per identità perfette, lo fa spesso per la via di convergenti anomalie. Oggi molto, proprio a partire dall’euforia finanziaria, molto fa ancora temere una crisi «stile 2008». O, più precisamente, la continuazione proprio di quella crisi. Una crisi che, esplosa nella finanza, non è stata curata, ma solo rinviata proprio aumentando le dosi del male che l’aveva creata. Dopo la crisi del 1929 nuove regole e controlli furono introdotti ed i colpevoli furono puniti. Dopo quella del 2008 è stato l’opposto. Come Picasso con la svolta cubista ha sintetizzato e superato le forme della natura, lo stesso nelle banche centrali hanno fatto «i Picasso» dell’economia, mettendo il surreale al posto del reale, il debito al posto del capitale, i liquidi al posto dei solidi, i tassi a zero o sotto zero, i vizi al posto delle virtù. È così che, inventando denaro dal nulla, siamo passati dai billion ai trillion, l’inflazione è apparsa come un obiettivo da raggiungere, è stato violato in Europa il divieto bancario di finanziare i governi, siamo arrivati ed a lungo ai tassi sotto zero. Forse si ricorderà che Marx vedeva nei tassi zero la fine del capitalismo. Figurarsi quelli sotto zero. Nell’insieme un habitat tecno-politico in cui sono stati prima teorizzati e poi praticati crediti e i bonus come nuova specie di moneta fiscale. È così che infine è stata formulata la teoria del debito buono, un caso in cui il sostantivo cancella l’aggettivo. Oggi poi c’è una emergente novità. All’interno del corpo stesso del capitalismo si sta infatti manifestando una mutazione sostanziale con l’apparizione di nuovi soggetti: in aggiunta ai fondi tradizionali, una miriade di nuovi fondi di investimento dotati di masse di capitale tanto grandi quanto misteriose, operatori liberi da ogni forma di controllo, speculativamente orientati sul breve termine, con conti sviluppati per mezzo di indecifrabili algoritmi, senza alcun interesse per l’economia reale dei territori, per i lavoratori, per i risparmiatori. Nel 1944, ancora durante la guerra, il mondo cominciò la scrittura di regole mirate al governo dell’economia. Nel 2009 il governo italiano formulò e propose la bozza di un trattato internazionale di Global Legal Standard, alternativo ad un mondo in cui l’unica regola era che non ci fossero regole, come è ancora oggi. Oggi l’incertezza in essere nel capitalismo, con i cupi bagliori della guerra in atto ed i segni più che evidenti di una crisi in arrivo, pare davvero che sia arrivato il tempo per un ritorno alla ragione, il tempo per la ricerca di un’economia meno artificiale, fatta non per la speculazione ma per la crescita dei salari, delle pensioni, degli investimenti produttivi.