ItaliaOggi, 12 aprile 2024
Periscopio
Ovunque i fascisti, i comunisti e gli islamisti hanno preso il potere nel corso della loro storia, le società sono diventate prigioni a cielo aperto, i cui detenuti – i cittadini – sono controllati ventiquattr’ore al giorno. Il pluralismo è stato ed è tuttora considerato una minaccia, mentre il consenso sociale viene imposto attraverso la violenza e l’intimidazione. Vi è una e una sola ideologia. Nella migliore delle ipotesi i dissidenti vengono additati come voltagabbana e traditori, nella peggiore eliminati. Hamed Abdel-Samad, Fascismo islamico, Garzanti 2017.
Amira Hass, la giornalista israeliana più informata sugli umori palestinesi, ha pubblicato nei giorni scorsi un lungo reportage dal titolo «La gente impreca continuamente contro Sinwar: i gazesi che si oppongono a Hamas sono sicuri di essere la maggioranza». Yahya Sinwar è il capo di Hamas e l’architetto del 7 ottobre. Hass racconta che ora i gazesi chiamano «Sinwar» i loro asini superstiti. Gianluca Mercuri, Corriere della Sera.
Ringrazio Dio per questo onore che mi ha concesso col martirio dei miei tre figli e dei miei nipoti. Ismail Haniyeh, leader di Hamas.
Non bastava avere abusato del termine «genocidio» al punto da fargli perdere connotazioni e significato, occorreva anche disinnescare un’altra parola chiave per completare l’opera di ribaltamento della realtà: quella di «terrorista», recentemente trasformata dal politicamente corretto in un «insulto razziale». Alessandra Libutti, il Foglio.
«Nelle mani avrebbe dovuto tenere il premio Nobel, non un fucile», ha scritto lo storico americano Tymothy Snyder annunciando al pubblico occidentale la notizia del possibile arruolamento del più celebre scrittore ucraino contemporaneo, Serhiy Zhadan. Così come Zhadan avrebbe dovuto vincere il premio Nobel per la letteratura, lo scrittore per l’infanzia Volodymyr Vakulenko avrebbe dovuto ricevere il «Prix Voltaire» di persona, il poeta Maksym Kryvtsov avrebbe dovuto presentare il suo libro di poesia, la scrittrice Victoria Amelina [avrebbe dovuto] finire il suo libro sulle donne e la guerra, e così il poeta Artur Dron avrebbe dovuto, e anche lo scrittore Artem Chekh e il poeta Anatoliy Dnistrovyy avrebbero dovuto, e anche lo scrittore Artem Chapay avrebbe dovuto. Chekh, Dron, Dnistrovyy e Chapay sono al fronte sin dal primo giorno, mentre Vakulenko, Kryvtsov e Amelina sono stati uccisi dagl’invasori russi. Yaryna Grusha, Linkiesta.
«Mad Max», l’artificiere del Donbass che ricicla le bombe russe inesplose: «Sostituiscono le armi occidentali». Mak Polyukovielt conosce perfettamente il fronte: «So dove trovare gli ordigni sottoterra o in fondo agli stagni. Recupero anche i droni». Corriere della Sera.
Nei primi 2000 era normale vedere per le strade di Mosca i veterani e gl’invalidi delle guerre scatenate prima dall’URSS in Afghanistan e poi dalla Russia in Cecenia e in Georgia. Persone con gravi invalidità che chiedevano la carità sotto le fermate della metropolitana. Ma dalla guerra con l’Ucraina la comunicazione del governo russa si è fatta più accorta e né a Mosca e né nelle altre città russe [si vede] l’ombra d’un invalido di guerra. Quanti sono? Dove vivono? (…) Ci viene in aiuto il portale russo «Verstka» sostenendo che nel 2023 si è registrato uno dei tassi più alti di maschi con disabilità di età compresa tra i 18 e i 30 anni: 290 mila persone. L’agenzia ufficiale Tass [afferma] che più della metà dei militari russi che hanno preso parte alla guerra in Ucraina sono invalidi. Il numero assoluto d’invalidi a causa della guerra è ovviamente top secret ma il viceministro russo del lavoro ha specificato che circa l’80% di loro ha perso le gambe e che l’84% dei militari disabili ha bisogno di mezzi tecnici di riabilitazione: protesi, sedie a rotelle, abiti e scarpe speciali. [Quanto a dove sono, e perché non si vedono,] in Russia c’è una lunga tradizione d’emarginazione per i veterani di guerra. Dopo la Seconda Guerra Mondiale Stalin fece istituire speciali campi idi concentramento per occultare al resto della società l’enorme quantità di invalidi. La più celebre fu «La Casa per disabili di Valaam» situata sull’omonima isola (nella parte settentrionale del lago Ladoga). Yurii Colombo, La Ragione.
Almeno 520 delle 853 condanne a morte eseguite in Iran nel 2023 sono state emesse dai «Tribunali rivoluzionari». [Sono] di loro competenza tutte le attività considerate «reati contro la sicurezza nazionale». Praticamente tutto. In Iran si può essere condannati a morte per droga, adulterio, blasfemia, «apostasia» e in generale per «offese al profeta Maometto». Non sono tribunali indipendenti. Influenzati dalle forze di sicurezza e dai servizi d’intelligence, usano regolarmente «confessioni» estorte con la tortura. Non c’è accesso alla rappresentanza legale. Valter Vecellio, ItaliaOggi.
C’è questa idea senza alcun fondamento secondo cui le democrazie occidentali sono sempre migliori delle dittature. Lo studio della storia smentisce questo pregiudizio. Ci sono dittature che non uccidono nessuno e democrazie che compiono massacri. Gli Stati Uniti e Israele sono due democrazie occidentali. Eppure stanno sterminando il popolo palestinese. Di contro, la Corea del Nord è una dittatura, ma non sta sterminando nessuno. Alessandro Orsini (da Libero).
In un saggio, Borges analizzò l’arte dell’insulto latino-americano, traendo tutti i suoi esempi da polemiche letterarie; a guadagnarsi la medaglia d’oro fu Vargas Vila, barocco esponente dell’arte del vituperio: «Gli dèi non hanno acconsentito che Santos Chocano disonorasse il patibolo morendo su di esso. Vive tuttora, dopo avere spazientito l’infamia». Mario Vargas Llosa, Contro vento e marea, III, Scheiwiller 2011.
«Il mio idolo era l’Umberto», sbuffa dietro il banco del Lotto Vanni Nava, «anche se qui non è mai entrato nemmeno per bere un caffè. Dopo di lui è finito tutto». Al bar Valletto, proprio accanto al cartello in dialetto bergamasco con la scritta «Püntida», tutto trasuda leghismo che fu: c’è la foto della nazionale padana trionfatrice ai mondiali di calcio indipendentisti del 2008 [e] ci sono la mensola con la statua dell’Alberto da Giussano, l’orologio che segna «l’ura de Berghem» e una calamita col Sole delle Alpi in vendita a 4 euro. Francesco Moscatelli, La Stampa.
Se Dio è imperscrutabile nell’aldiqua perché non dovrebbe esserlo nell’aldilà? Roberto Gervaso