Corriere della Sera, 12 aprile 2024
Intervista a Kate Antropova
Gli atteggiamenti da diva non appartengono al suo dna. È consapevole della sua forza, sa quello che le serve e ha già imparato a gestire il suo personaggio con maturità nonostante i soli 21 anni stampati sulla carta d’identità. Kate Antropova ha trascinato la Savino del Bene Scandicci alla prima finale scudetto, vincendo in casa di Paola Egonu che in Italia non l’aveva mai mancata dal 2018: doppio 3-0 all’Allianz Milano e doppio premio di miglior giocatrice.
Meglio di così?
«Non ho ancora metabolizzato l’impresa. È stata una gioia nuova: quando è caduto l’ultimo pallone non sapevo come reagire, ma avevo una emozione bellissima che mi cresceva dentro. Mi è dispiaciuto non poter tornare nello spogliatoio a far festa con le compagne perché sono stata sorteggiata per i controlli antidoping, ma lo sport è anche questo».
Quanto è felice di aver vinto una partita così sotto gli occhi di Velasco?
«Mi fa piacere che Velasco abbia visto una bella partita, ma la felicità è per aver vinto con la mia squadra, perché questa, al di là dei luoghi comuni, è davvero una vittoria di squadra, come quelle che si vedono nei film. Abbiamo reso possibile ciò che tanti credevano impossibile».
Lui era lì per vedere anche lei.
«Sì, ma ora penso solo a Scandicci e a questa finale scudetto. E poi in questi anni ho imparato a concentrarmi solo sul presente e dedicare le mie energie solo a quello che posso controllare».
Cambiamo prospettiva: che effetto le fa sapere che sarà allenata da Velasco?
«Sono curiosa di lavorare con lui: sarà un altro passo nella mia crescita. Voglio conoscerlo meglio, confrontarmi con lui, approfondire la sua idea di pallavolo e imparare cose nuove».
Si sente cresciuta rispetto a un anno fa?
«Lo sono. Con la mia mental coach ho lavorato molto e ho capito che se mi prefiggo un obiettivo, poi sono in grado di raggiungerlo».
La mental coach l’ha aiutata anche a gestire la pressione del dualismo con Paola Egonu?
«Ho iniziato questo percorso all’inizio della scorsa estate perché volevo un aiuto a controllare le emozioni nuove che avrei vissuto. È stata preziosa in tutto il percorso, mi ha aiutato a non leggere o ascoltare tutte le chiacchiere che mi avrebbero distratta».
Dieta da social, dunque?
«Facebook non ce l’ho nemmeno. Dare troppo valore alle parole di chi non ritengo importante è solo deleterio. Sono una persona pragmatica, preferisco concentrarmi su di me e sulle opinioni di chi stimo».
E come vive questo eterno confronto con Egonu?
«Più che altro, non lo capisco. Siamo diverse. Divido gli opposti in due categorie: in una ci sono Paola e Vargas, dotate di un talento naturale incredibile. Nell’altra ci metto Boskovic, Haak che hanno raggiunto quel livello col lavoro. Non so chi sia più forte, ma se Paola salta due metri e attacca una diagonale strettissima, bisogna solo applaudire. Io posso fare altro, faccio parte della categoria di chi deve osservare, provare, riprovare e continuare lavorare».
Ma tra voi c’è un po’ di competizione?
«Il nostro è uno sport di squadra e le rivalità personali lasciano il tempo che trovano. La sfida Kate contro Paola non fa vincere le partite».
Compagne, non amiche, giusto?
«Non è necessario essere amiche in una squadra, l’importante è lavorare per il bene comune».
Anche perché in Nazionale ne giocherà solo una.
«Io darò sempre il massimo, in allenamento e in partita. C’è il c.t. per queste scelte. Di sicuro, per la maglia azzurra sono disposta a fare tutto ciò che l’allenatore mi chiederà».
Dovrà trovare anche il tempo per gli esami universitari.
«È dura. Pensavo che l’università online mi avrebbe agevolato, ma è complicato gestire i tempi. Ho dovuto rinunciare a un esame perché ero in volo, per esempio. Però questa facoltà di moda e design mi piace».
Cos’altro le piace?
«Amo scoprire nuove culture, studiare la psicologia, leggere. Conoscere. Ho ricominciato da poco a leggere in russo. Sto leggendo “Il maestro e Margherita” di Bulgakov e un libro in inglese di psicologia sui traumi infantili. Ho un po’ rallentato il ritmo, ma l’obiettivo raggiunto è di cinque libri in un mese».
Tornando alla Russia, come vive l’esclusione delle squadre russe dalle competizioni internazionali?
«È un discorso molto complicato, ma non capisco come nel mondo possano esserci conflitti che non sia possibile risolvere col dialogo. Sarò anche infantile da questo punto di vista, ma ho sempre creduto nell’arte della parola. E non mi capacito del fatto che debbano essere gli sportivi, in questo caso, a pagare per le azioni di altre persone».