La Stampa, 12 aprile 2024
Intervista a Uto Ughi
Il rapporto di Uto Ughi con il suo Stradivari ha il sapore di fiaba. Una storia d’amore segnata dal fato e iniziata quando il celebre violinista era bambino. Il maestro, ottant’anni appena compiuti e una tempra d’acciaio che lo porta a esibirsi sui palcoscenici internazionali regalando interpretazioni da standing ovation, racconta con naturalezza l’incontro con lo strumento musicale che diventerà il compagno di tante avventure. «Il primo approccio avvenne a Parigi, nel periodo in cui studiavo con George Enesco – spiega -. Avevo dieci anni e anch’io sognavo di avere tra le mani uno Stradivari. Mio padre venne in contatto con un esperto antiquario liutaio, Étienne Vatelot, che in atelier aveva vari strumenti antichi. Un giorno andammo nel suo negozio dove c’erano delle teche in cui erano custoditi dei violini, tra questi anche alcuni Stradivari. Uno degli esemplari era del 1701, appartenuto al violinista Kreutzer che gli ha regalato il nome. Mi permise di suonarlo e io, con timore e reverenza, lo feci».
Che sensazione provò?
«Ero molto turbato e l’emozione fu così forte che smisi di suonarlo quasi subito. Per anni ho custodito il ricordo di quello strumento finché, sei anni dopo, ebbi la fortuna di rivederlo come capita con una donna di cui si è perdutamente innamorati».
Quale fu l’occasione?
«A ricondurmi sulle tracce dell’antico amore fu nuovamente Vatelot che disse che lo Stradivari dei miei desideri era finito nelle mani di un collezionista tedesco. Grazie a mio padre che riuscì a produrre la dote necessaria per l’acquisto, divenne mio. Da allora non ci siamo più separati, ho girato il mondo con lui. Si tratta di uno strumento storico avvolto da un’aura di leggenda: era appartenuto a Rodolphe Kreutzer, il celebre violinista a cui Beethoven aveva dedicato una Sonata».
Qual è la peculiarità di uno Stradivari e a cosa deve la fama planetaria?
«All’essere perfetto come un dipinto di Raffaello o di Tiziano, perfetto nel disegno, nel colore, nell’armonia delle forme. Il suono è luminoso, chiaro, italiano, direi. Però ci sono altri violini che sono al suo pari, perché se Stradivari ha un’emissione di sonorità meravigliosa, altri magari sono meno perfetti ma hanno un calore diverso. Ad esempio i Guarneri del Gesù possiedono un timbro scuro, drammatico, che ricorda le tinte caravaggesche o i dipinti di Rembrandt».
Che rapporto lega il musicista al suo violino?
«La sonorità di uno strumento ad arco è la propaggine del corpo, veicola la sensibilità di chi lo suona. Per quanto mi riguarda, è una mia estensione e, a volte, mi fa qualche scherzo strano. Basta una giornata di umidità eccessiva che il suono risulta differente, nonostante ciò le caratteristiche fondamentali rimangono tali».
Che cura necessita un prezioso strumento storico?
«Non ha esigenze particolari rispetto a un qualsiasi altro strumento musicale, basta curarlo in modo adeguato. Non deve subire troppi sbalzi di temperatura e cambiamenti climatici».
Ha mai desiderato di sostituire il suo Kreutzer con un altro Stradivari?
«Ho avuto modo di suonare tanti strumenti, molti dei quali Stradivari. Il mio è tra i buoni, tuttavia ogni musicista crede che il suo sia migliore; invece non è così, perché lo strumento aiuta, ma non fa il suono. Il suono lo fa il musicista. Certamente un ottimo strumento può aiutare a trovare facilmente l’ideale sonoro, eppure non è tutto».
La liuteria italiana rappresenta l’alto magistero dei costruttori, tant’è che si parla di vera e propria scuola.
«Gli italiani hanno sempre fatto scuola, sin dal Cinquecento. Possiamo affermare che i migliori violini al mondo sono italiani, però ogni paese ha una propria caratteristica. Ad esempio i francesi sono grandi nella realizzazione degli archi».
Il valore economico di alcuni Stradivari ha raggiunto cifre esorbitanti, come viene calcolato?
«Non esistono parametri definiti. Ricordo che quando venni in possesso del mio non aveva i costi sbalorditivi che hanno raggiunto oggi. Detto questo, a me non piace ragionare in termini economici, mi interessa il valore artistico».
Maestro, oltre a portare avanti i progetti con la sua Fondazione, quali sono i prossimi appuntamenti?
«Domenica 28, nell’ambito del “Viotti Festival” e inserito nelle celebrazioni del bicentenario viottiano, mi esibirò al Teatro Civico di Vercelli con la Camerata Ducale diretta da Guido Rimonda. Invece, il 10 maggio a Roma ci sarà un evento per promuovere l’unione tra i popoli pensato per diffondere la gioia della musica classica e supportare i giovani talenti». —