Avvenire, 10 aprile 2024
Le reliquie motore della storia
inviato ad Alessandria
Periferie e centri, è sempre difficile operare vere gerarchie, un tempo come oggi. E così una città e un territorio, che diremmo all’istante e con una certa sicurezza periferici, grazie a una mostra si dimostrano molto più centrali sotto il profilo culturale di molti altri luoghi. Stiamo parlando di Alessandria e della mostra “Alessandria Preziosa. Un laboratorio internazionale al tramonto del Cinque-cento”, in programma fino al 6 ottobre nel Palazzo del Monferrato. A cura di Fulvio Cervini, docente di Storia dell’arte medievale all’Università di Firenze, è la dimostrazione di come la conoscenza capillare del territorio (Cervini è stato funzionario di Soprindentenza in queste aree) possa produrre contenuti ad alto valore culturale, facendo emergere la grande storia attraverso il tessuto locale. E la grande storia in questione è la stagione a ridosso del Concilio di Trento, quella etichettata come Controriforma.
La chiave adottata è quella, desueta, delle “arti preziose”: oreficeria e arti del metallo, tessile, ebanisteria, miniatura, con allargamenti nella scultura e nella pittura sempre però nella loro applicazione “devozionale”. Ciò che rende tutto questo possibile è il fatto che proprio qui questa fase ha uno dei capitoli di apertura grazie proprio a Pio V, al secolo Michele Ghislieri, l’unico papa piemontese, che tra i suoi primi atti delibera la costruzione di un enorme convento domenicano a Bosco, oggi Bosco Marengo, suo paese natale. «Un convento che doveva diventare un paradigma del nuovo corso della Chiesa e un modello di come si potesse formare le coscienze e corroborare il consenso attraverso l’architettura e le immagini» spiega Cervini. È un complesso costruito da maestranze tosco-romane, dove il protagonista incontrastato, soprattutto vivente Pio V, è Giorgio Vasari, che realizza una macchina monumentale poi andata perduta a inizio Settecento nella parte lignea – mentre i dipinti sono stati ridistribuiti nella chiesa. Il pontefice investì grandi risorse, in particolare nelle arti suntuarie, facendo realizzare reliquiari e quaranta corali miniati, tra l’altro in un’epoca in cui ormai la stampa aveva vinto. «La mostra – continua Cervini – vuole raccontare il ruolo decisivo svolto dalle arti preziose. È una falsa prospettiva, per altro vasariana, quella per cui queste al tempo avessero perso centralità: in realtà alla fine del ‘500 erano ancora vere protagoniste. Un principe regalava gioielli o armi, assai meno quadri. Il consenso che si costruiva all’epoca intorno alle “arti applicate” oggi per noi è difficilmente immaginabile».
Alessandria all’epoca gravitava nell’orbita della Lombardia asburgico-spagnola. Ed era anche un corridoio tra Mediterraneo e l’Europa, un territorio innervato di strade e percorso dai soldati spagnoli che raggiungevano le Fiandre e di artisti che ne discendevano, dalle merci, da uomini e idee. «È un territorio che vanta straordinarie aperture internazionali, al di là del fatto che vengono a lavorare in zona diversi maestri nordici. La gloria scultorea locale è rappresentata dalla grande statuaria narrativa, quella del Sacro Monte di Crea o del calvario della basilica della Maddalena, a Novi Ligure, qui rappresentato da una statua. Quest’ultimo è una produzione in larga misura di maestri fiamminghi e tedeschi, che fecero di questo spazio un labonon ratorio creativo e innovativo, il vero incunabolo della statuaria genovese in legno dipinto di età barocca». Il prologo è un tabernacolo architettonico monumentale, intagliato in legno e coperto d’oro: un teatro eucaristico e per l’esposizione delle reliquie. La risorgenza del culto delle reliquie è un filo rosso della mostra. Non è forse un caso che il complesso monumentale di Bosco sia intitolato alla Santa Croce e a Tutti i Santi. «Quello che noi chiamiamo Medioevo viene riattualizzato dalla Controriforma, preservandone la storia. Sono numerosi i casi di reliquiari medievali riambientati e riallestiti dentro strutture moderne. È un fenomeno che dura fino al ‘700 inoltrato e che conosce proprio tra Piemonte e Lombardia attestazioni importanti e singolari». È il caso, ad esempio, della stauroteca della cattedrale di Alessandria, del 1620, opera probabilmente di un argentiere milanese, che solo contiene all’interno una teca in cristallo con una reliquia della croce giunta da Costantinopoli dopo il 1204, ma vede interpolati anche smalti di età bizantina. La stauroteca del Duomo di Asti presenta una custodia medievale realizzata molto probabilmente nella Sicilia Normanna o del primo periodo Svevo. Dal Museo diocesano di Mantova arriva una stauroteca che combina elementi bizantini e tardorinascimentali. Contiene uno dei frammenti più grandi della croce. Arrivò nella città sul Mincio portata dall’ultima dei Paleologhi, Margherita, andata in sposa a Federico II Gonzaga, da Casale Monferrato dove erano approdati con un ramo cadetto nel 1305. Il mantenimento del pezzo antico ha una logica a sua volta reliquiale, la conservazione di una memoria storica del bene e della sacralità acquisita per contatto. «È una specie di marchio di garanzia: una sorta di autentica. E poi, naturalmente, è anche un modo di valorizzare la storia dell’istituzione che la possiede». Sono diversi i busti reliquiario, tra cui uno dei due superstiti, dei dodici originari, realizzati per Bosco nel 1570 a Roma dall’orafo Antonio Gentili su disegno di Guglielmo della Porta. Tra gli altri pezzi d’oreficeria si segnalano il reliquiario della scarpa della Vergine, giunto ad Asti da Valencia a inizio ‘600, gli argenti della Germania meridionale di San Filippo a Casale e San Salvatore Monferrato, lo splendido busto di San Marziano del Duomo di Tortona, opera di un argentiere genovese di primo Seicento e già pienamente barocco.
Una sezione è dedicata a Bosco e Pio V. Del pontefice si esplora inoltre l’iconografia ma anche la devozione personale, attraverso un calvario da tavolo, costituito da figure d’avorio, probabilmente di autore tedesco, su una base di marmo nero e su un supporto in ebano. «Il crocifisso è un oggetto centrale dell’iconografia di Pio V, sia per il tipo di devozione proposta sia per il legame con un miracolo: un Crocifisso si sarebbe sottratto al suo bacio per impedirne l’avvelenamento». C’è anche una sorta di altarolo ad ante con la collezione personale delle reliquie di Pio V, raccolta quando Ghislieri era ancora cardinale. Donato al complesso di Santa Croce, è ora nella chiesa parrocchiale di Bosco Marengo. Dalla mostra emerge una duplice attenzione alle reliquie: pubblica e privata. La prima va letta naturalmente in risposta alle contestazioni delle Chiese riformate ma anche come costruzione di una buona pratica religiosa, ricompresa in una generale riforma del culto oltre che del clero; la seconda insiste sulla qualità della pietà personale, in una linea che sembra riarticolare sulle testimonianze materiali quella che la devotio moderna aveva impostato sull’immagine sacra. C’è un desiderio di ribadire politicamente sì, ma anche di meditare spiritualmente attraverso i santi la dimensione storica della fede cattolica, la continuità che conferisce autorevolezza. È lo stesso humus che avrebbe generato, per fare un esempio soltanto ma illustre, gli Annales ecclesiastici di Cesare Baronio.