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 2024  aprile 11 Giovedì calendario

Intervista a Francesco Speroni

Domani la Lega Lombarda, nucleo fondante di quella che poi diventerà la Lega Nord, compie 40 anni. Era il 12 aprile del 1984 quando Umberto Bossi, la moglie Manuela Marrone e altri sognatori, si trovarono nello studio del notaio Franca Bellorini per fondare un’associazione culturale. Uno degli storici scudieri di Bossi è stato Francesco Speroni, il primo europarlamentare leghista (assieme al bergamasco Luigi Moretti), poi senatore e ministro. Ombra del Senatùr negli anni eroici del Movimento. Speroni (che recentemente ha raccontato la sua storia nel libro Il volo padano, scritto con Marco Linari), ha accettato di raccontare a Libero la sua Lega. Dalle origini alla svolta nazionalista.

Speroni, saliamo sulla macchina del tempo: si ricorda il suo ingresso in Lega?
«Due anni dopo la fondazione. Lo stimolo fu un volantino con sopra scritto: Sono lombardo, voto lombardo. Un concetto che mi è rimasto anche oggi. Pensi che mi definisco ancora secessionista...».
Poi le riunioni in sede...
«A Varese nei primi tempi non c’era ancora. Ci si riuniva tutti i giovedì sera nello scantinato dell’Hotel Bologna. Poi è arrivata la sede storia di piazza del Podestà che è ancora lì oggi».

Che politica era quella?
«La Lega era agli inizi. Pensi che nell’85 si presentò alle provinciali di Varese e nemmeno me ne accorsi. Non c’erano i soldi nemmeno per volantini e manifesti».

La situazione è migliorata?
«Le racconto questo aneddoto: 1987, campagna per le elezioni politiche. Castellazzi chiama e dice che lui riesce a coprire con l’attacchinaggio Pavia, forse l’Oltrepo, ma non la Lomellina. Bossi chiede chi di noi abitava più vicino a quella zona. Io stavo a Busto Arsizio... così parto in macchina con colla e manifesti, mi fermo a Vigevano dove mi aspetta un iscritto, che per paura di essere visto appena sale in macchina si sdraia per nascondersi... E io penso: “cominciamo bene...”. Io riparto, lui mi indicava i punti dove c’erano tabelloni e io attaccavo i manifesti. Abbiamo girato tutta la Lomellina, Mortara, Gambolò, e poi via di nuovo a casa.
All’epoca le società che attaccavano i manifesti non c’erano ancora...».

Ha parlato di Bossi. Quale è stata l’importanza del Capo nella sua vita politica?
«È stato determinante al 100%. Io sono cresciuto all’ombra di Bossi. Vede, io facevo il tecnico di volo per l’Alitalia e avevo tanti giorni di riposo anche durante la settimana. A lui piaceva essere accompagnato e così io potevo stare molto con lui. Passava a prendermi con la sua Citroen e poi via.
Tra di noi c’è sempre stata grande sintonia: lui era il capo e io lo seguivo. E poi, devo ammettere di avere avuto una grossa responsabilità...».

Quale?
«Quando Bossi fu eletto sia alla Camera sia al Senato, fui io – ignaro del fatto che tutti i big tranne Spadolini si erano fatti eleggere alla Camera – a consigliargli di optare per il Senato, in modo da far scattare il seggio di Leoni a Montecitorio. Dalì nacque il mito del Senatùr...».

Ci svela una curiosità su Bossi?
«Ve ne racconto una legata ai computer. Tutti i partiti usavano ancora i ciclostili. Lui voleva solo i pc. Avevamo quelli fatti a scatola della Apple. E stiamo parlando di anni nel quali internet c’era a malapena e i cellulari pure. Oggi coi social è cambiato tutto».
Quello dell’87 fu il primo passo importante della Lega, cui seguì quello dell’89...
«Quando fui eletto all’Europarlamento assieme al bergamasco Moretti. Noi due assieme a Bossi e Leoni eravamo i quattro eletti della Lega, che macinavano chilometri per fare comizi e incontri pubblici».
Anni difficili. Tutti guardavano Bossi e i leghisti con diffidenza...
«Attorno a noi si era formato un vero e proprio cordone sanitario. Nei Comuni, anche se riuscivamo ad ottenere la maggioranza relativa, si formavano coalizioni improbabili pur di tenerci all’opposizione.
Nel 1990 alle regionali in Lombardia riuscimmo a far eleggere 15 consiglieri, tra i quali c’ero anche io, relegati rigorosamente all’opposizione. Per poter contare bisognava fare come a Cene, un Comune della bergamasca, dove andammo al governo, ma solo perché prendemmo più del 50% dei voti».

Poi c’è stato il grande boom del ’92 e da lì la Lega si è accreditata come forza di governo, anche in alleanza con Berlusconi. L’ha conosciuto?
«Certo, i primi contatti tra Lega e Forza Italia li tenemmo io e Maroni, che all’epoca eravamo capigruppo al Senato e alla Camera. I primi incontri ad Arcore con Berlusconi li facemmo noi due. Dal terzo in poi si aggiunse anche Bossi».

Che ricordo ha di Roberto Maroni?
«Tra noi c’è sempre stata grande collaborazione, sia come capigruppo, sia come ministri. Eravamo spesso insieme e io sfruttavo (lecitamente) il fatto che Maroni, da ministro degli Interni doveva obbligatoriamente viaggiare con voli di Stato. E visto che eravamo tutti e due della provincia di Varese... tornavamo a casa assieme».

Se dovesse scegliere un momento iconico di questi quarant’anni di Lega?
«Il momento più bello della mia vita politica è stata l’approvazione della riforma dello Stato in senso federale del 2005.
Poi nel 2006 quel progetto venne bocciato al referendum. E quello fu il momento più brutto della mia carriera politica».
Il 29 aprile c’è la discussione finale sull’Autonomia.
«Chiariamo: l’Autonomia non è il federalismo, ma certo è meglio del centralismo che fino al 2001 ha soffocato l’Italia e poi darà finalmente attuazione alla riforma costituzionale. Sarà il primo passo verso l’autonomia tipo quella che c’è in Svizzera? Io lo spero».

Secessione, autonomia, devolution. E ora la Lega nazionale. Che ne pensa?
«Primo: la Lega, comunque se ne pensi ha sempre avuto attenzione al territorio e ce l’ha ancora oggi. Secondo: i tempi cambiano e devono cambiare anche le formule.
Mi spiego meglio: in un sistema Tolemaico tutti i pianeti girano attorno alla Terra. Ma noi non siamo in un sistema Tolemaico e soprattutto la politica né prima né ora gira attorno alla Lega. Quindi oggi ci sta che sia diventata un partito nazionale».

Ultima domanda: c’è una cosa che non ha mai detto e che vorrebbe dire a Bossi e a Salvini?
«No. È noto che io sia uno che dice sempre quello che pensa...».

Nemmeno un consiglio?
«Bisogna invertire la parabola elettorale. Non credo sia questione di linea o di persone. Vediamo come vanno le europee».