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 2024  aprile 10 Mercoledì calendario

Ecco le opere che il Vaticano porta in carcere


«Alle sei di sera le porte si chiudono, per quell’ora dobbiamo uscire». Così Chiara Parisi, curatrice con Bruno Racine del Padiglione della Santa Sede alla Biennale che si apre a Venezia il 20 aprile, racconta la fine di una giornata di allestimento. Le porte che si chiudono in questo caso non sono quelle dei Giardini e dell’Arsenale, sedi tradizionali dei padiglioni, ma quelle di un luogo inedito per l’arte contemporanea, che sta per diventare protagonista di un esperimento artistico e sociale: la Casa di detenzione femminile della Giudecca. Il carcere, dove sono recluse circa ottanta detenute, ospiterà infatti fino a novembre il padiglione vaticano Con i miei occhi. Il progetto coinvolge un gruppo di artisti noti – Maurizio Cattelan, Bintou Dembélé, Simone Fattal, Claire Fontaine, Sonia Gomes, Corita Kent, Marco Perego & Zoe Saldana, Claire Tabouret – insieme alle detenute, protagoniste e coautrici di alcune delle opere ma soprattutto guide, formate e per accompagnare i visitatori tra le mura della prigione; un evento così importante che è prevista alla Giudecca la visita di Papa Francesco per il 28 aprile. Mentre nel penitenziario, un antico ex convento femminile, si mette a punto l’allestimento, artisti e curatori raccontano aRepubblica la genesi di Con i miei occhi. Una proposta che gioca su un rovesciamento di prospettiva, a partire dal titolo. L’ha anticipato il commissario del padiglione, il prefetto del dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede José Tolentino de Mendonça, parlando alla stampa della necessità di uno sguardo opposto a quello prevalente, «distaccato dalla realtà, comodamente protetto da quell’anonimo voyeurismo che la contemporaneità ha globalizzato».
Con i miei occhi vuole andare, secondo il cardinale, anche apprezzato poeta, «in una direzione culturale diversa». L’idea nasce, rievoca il co-curatore del padiglione Bruno Racine, da un incontro con Mendonça nel 2023,in occasione di Icônes, la mostra di Fondation Pinault a Punta della Dogana sulla rappresentazione come spazio di incontro col divino. Racconta Racine, che di Palazzo Grassi e Punta della Dogana è direttore, come si sia creata una consonanza di vedute «sull’autonomia dell’arte, che non deve essere cassa di risonanza della dottrina». Piuttosto «la convergenza c’è quando entrambe puntano lo sguardo su realtà dalle quali la società lo distoglie». Rifocalizzare losguardo, illuminare un angolo buio. Lo fa, non solo metaforicamente, una delle due opere di Claire Fontaine installata nel cortile. È un neon che recita Siamo con voi nella notte; se l’arte è sempre più «parte di un vasto progetto mondiale di entertainment e distrazione», gli artisti del collettivo si augurano che nella prigione «le possa essere restituito il suo potere trasformativo». Cambiare di segno alleesperienze, mettersi nei panni dell’altro è la direzione. Lo diceMaurizio Cattelan, superstar del contemporaneo: «ognuno di noi può finire in carcere. È un pensiero difficile da abbracciare, quando sei in libertà» e spiega come Father, sulla facciata della cappella all’esterno del carcere, si leghi aMother, la performance presentata nel 1999 proprio alla Biennale. L’interno della cappella è invece lo spazio scelto dalla brasiliana Sonia Gomes per Sinfonia das Cores,«uno spartito musicale fluttuante nello spazio», che mette in relazione il tardo barocco di questo spazio e le chiese del natio Minas Gerais. Nello spazio della caffetteria, le opere di Corita Kent, religiosa statunitense e icona della pop art scomparsa nel 2018, fondono estetica e messaggio sociale. Le opere del padiglione, nota Chiara Parisi, «non sono calate dall’alto, ma nascono in relazione con il luogo».
Per questo riguardano gli affetti, la memoria, i desideri. La francese Claire Tabouret ha realizzato i ritratti delle detenuteda bambine; Simone Fattal, 82 anni, ha inciso le loro poesie su placche di lava smaltata, nella calle interna al carcere. «Quando ti trovi in una situazione così isolata, senza speranza, rinchiusa, hai disperatamente bisogno di esprimerti. E allora… le poesie sono semplicemente eruttate come lava» spiega artista e scrittrice d’origine libanese, confessando che entrare alla Giudecca è stato riandare a un’infanzia in collegio: «Era una sorta di prigione» ricorda «sonoquasi morta di miseria e dolore». Bintou Dembélé, danzatrice e coreografa, che a Saint Laurent du Maroni, città nata da una colonia penale nella Guyana francese, ha lavorato a lungo, sposa una «cosmopoetica dei “luoghi rinchiusi” che offra una prospettiva diversa sulla storia» e per Siamo con voi nella notteha ideato una coreografia che coinvolge le detenute, diventate anche attrici nel cortometraggio realizzato dal filmaker Marco Perego e dall’attrice di Hollywood Zoe Saldana. I due parlano del lavoro filmico come di una storia «sull’incredibile potere delle donne e l’idea di creare un luogo a cui appartenere, dove poter essere “visti”».
Un gruppo eterogeneo per mezzi, esperienze a riflettere il background di differenti nazionalità delle detenute. Parisi, direttrice dal 2019 del Centre Pompidou Metz, che cura il Padiglione insieme a Racine, ci tiene a sottolineare che saranno le recluse ad accompagnare, al termine di un percorso di formazione, i visitatori: gruppi di 25 persone, per una visita che dura 40-50 minuti. Le detenute hanno in media 40 anni e molte sono condannate a pene di lunga durata. Si metteranno alla prova con un’esperienza nuova, ma l’arricchimento sarà soprattuttto di chi entra, percorre, tocca, guarda. Con altri occhi.