la Repubblica, 10 aprile 2024
Il Klimt ritrovato a Vienna i nazisti e l’asta dei misteri “Non vendete il ritratto della signorina Lieser”
VIENNA – Nel 1917 Margarethe Constance Lieser è costretta a posare per nove volte nello studio viennese di Gustav Klimt. La diciottenne dai grandi occhi bruni viene dipinta su uno sfondo arancione, il vestito è un profluvio di colori: il quadro è uno degli ultimi capolavori di Klimt, commissionato dai genitori di Margarethe, i Lieser. Una famiglia della grande borghesia industriale dell’impero austroungarico; sono ebrei convertiti al cattolicesimo.
All’inizio del 1918, Gustav Klimt muore. E il “Ritratto della signorina Lieser” viene consegnato, incompiuto, alla famiglia, per poi sparire nel nulla. Nei cataloghi resta per un secolo una foto in bianco e nero, il pallido ricordo di un oggetto legato al tragico destino di una famiglia costretta negli anni Trenta a fuggire dai nazisti.
Il figlio di Margarethe, il finanziere William de Gelsey, non si rassegna a quella sparizione: cerca disperatamente di rintracciare il ritratto di sua madre, soprattutto a partire dagli anni ‘80. Non ha mai dubbi che la “signorina Lieser” sia Margarethe: lo sa dai racconti di sua madre, che muore a Londra negli anni ’60. E il banchiere ha persino un nomignolo per quella tela: la chiama il “Ritratto con l’artiglio”, per la nervosa posa della mano della madre. Nel 2021, William de Gelsey muore. E nel testamento lascia una strana nota. Chiede agli eredi – non ha figli: il lascito è affidato a un trust – di «recuperarlo». E prima di morire continua a ripetere che «quando non ci sarò più, il quadro salterà fuori». E infatti.
A fine gennaio 2024 una notizia- bomba fa il giro del mondo. Il “Ritratto della signorina Lieser” è stato ritrovato. L’annuncio arriva non da Sotheby’s o da Christie’s, ma da una piccola casa d’aste austriaca: imKinsky. È un ritrovamento sensazionale, e l’asta è annunciata per il 24 aprile. Si parte da 30 milioni di euro, ma gli esperti stimano che potrebbe essere ceduto per 70 milioni o più.
Il punto, però, per parafrasare Manzoni, è che questo quadro non s’ha da vendere. Almeno, finché l’origine e l’identità non ne siano definitivamente chiarite. Perché, oltre all’incredibile ritrovamento, imKinsky annuncia una novità che sconvolge gli storici. E che sta trasformando l’intera vicenda in un giallo.
La donna ritratta nel quadro non sarebbe Margarethe, ma Helene: sua cugina. Il quadro non sarebbe stato commissionato da Silvia Lieser, bensì da sua cognata Henriette, detta Lilly, deportata nel 1942 dai nazisti e morta a Riga, forse fucilata dai nazisti, forse assassinata l’anno successivo ad Auschwitz.
Le incongruenze di questo improvviso cambio di identità della “signorina” di Klimt sono tante. L’ignoto che ha affidato il ritratto a imKinsky ha confessato al proprietario della casa d’aste, Ernst Ploil, che ci sono «problemi che riguardano la provenienza». E sul sito di imKinsky non si rintraccia alcun accenno a un team di ricerca per rintracciare l’origine della tela, come avviene di solito. E quanto quel ritratto e le circostanze del suo rinvenimento siano ancora avvolte nella nebbia lo dimostrano esperti interpellati e documenti vi sionati in esclusiva da Repubblica.
Tobias G. Natter è tra i maggiori esperti di Klimt al mondo. Nel 2012 è uscito il suo monumentale catalogo completo delle tele del genio dello Jugendstil, dove il ritratto figura ancora in bianco e nero. Lo storico dell’arte lo aggiornerà, ci racconta, ma aggiunge: «Non vedo alcuna ragione per cambiarne l’identità». Il caso di Margarethe si è arricchito di un elemento opaco: «Perché non sono stati volutamente interpellati gli esperti di Klimt, come ogni casa d’aste internazionale farebbe, in un caso del genere?».
Né a Natter né a un altro grande studioso del maestro dello Jugendstil, Alfred Weidinger, è stato chiesto un parere. Inoltre «esistono tre prove essenziali e indipendenti tra di loro che dimostrano l’identità della donna: è Margarethe. Una proviene dal figlio del più importante collezionista di Klimt a Vienna, Erich Lederer, l’altra è la testimonianza della cognata di Margarethe. Le chiesero due volte, nel 1984, chi fosse la donna ritratta, e lei rispose sempre:Margarethe. E poi c’è l’ossessiva ricerca del figlio banchiere William. Per me – conclude Natter – la plausibilità è travolgente: William è il figlio della donna ritratta. Che è Margarethe Constance Lieser».
A infittire il mistero ci sono le imprecisioni e le omissioni nel catalogo della casa d’aste. Repubblica ha rinvenuto la “Dichiarazione del patrimonio” della presunta committente del ritratto, Henriette Lieser. È la lista dettagliata degli averi imposta nel 1938 agli ebrei di Vienna, dopo l’Anschluss di Hitler. C’è un elenco minuzioso di tazze, barattoli, anelli con zaffiri o poltrone, persino sei quadri appesi nell’appartamento di Vienna, oltre a «riproduzioni di quadri» custoditi in una villa. Ma non c’è alcuna traccia del grande ritratto di Klimt. Impensabile “omettere” un dettaglio del genere, per una donna ebrea. Esiste inoltre un documento della Commissione per la restituzione di Vienna del 1949 che, citando una testimone, sostiene che Henriette avrebbe venduto dei suoi averi dopo l’annessione di Hitler per mantenersi. Si parla di «libri, mobili e vestiti». Mai di quadri.
Un’altra incongruenza riguarda una retrospettiva di Klimt citata dal catalogo Kinsky in cui sarebbe stata esposta la “Signorina Lieser”, nel 1926. Un documento ottenuto da Repubblica dimostra invece che il gallerista, Otto Kallir-Nirenstein, la avesse cancellata dai quadri da esporre. Insomma, l’unica prova che la casa d’aste cita per il cambio d’identità della donna è una cartella d’archivio che attribuisce il quadro a una proprietaria che vive all’indirizzo di Henriette. Ma è un documento redatto ex post, nel 1942 o dopo.
La questione di fondo è: perché è stata cambiata l’identità del quadro senza consultare gli esperti? C’è chiarezza sui passaggi di proprietà avvenuti nell’ultimo secolo? Il ritratto è stato a un certo punto sottratto illegittimamente alla famiglia durante il nazismo?
Erika Jakubovits, direttrice culturale della Comunità ebraica di Vienna, è netta. «Per me ci sono ancora troppe questioni irrisolte», ci spiega. «Questo caso deve essere indagato in modo indipendente e accurato. E sarebbe meglio chiarire tutto prima della vendita della tela». Che avverrà però a brevissimo, il 24 aprile. Jakubovits fu una figura chiave nel caso della restituzione del “Ritratto di Adele Bloch-Bauer” di Klimt raccontato dal film con Helen Mirren “The Woman in Gold”. E sottolinea l’importanza delle ricerche: il risultato «deve essere sempre trasparente e impeccabile». L’Austria, conclude, «ha già avuto il suo scandalo del “Melo” di Klimt». Fu restituito agli eredi sbagliati.