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 2024  aprile 10 Mercoledì calendario

Dai bacini arriva il 20% dell’elettricità Ma gli impianti hanno in media 75 anni


ROMA – Sono tante, tantissime: quelle che comunemente vengono definite dighe, ma che tecnicamente vengono indicati come impianti idroelettrici, in Italia sono 532, di cui 309 sono le principali. Sono diffuse lungo tutto l’arco alpino e nelle valli dell’Appennino. Isole comprese: la Lombardia è la regione che vanta più impianti, ma subito dopo vengono Sicilia e Sardegna. Secondo gli esperti, non c’è più area “orografica” che potrebbe essere adatta a ospitare una diga che non sia già stata sfruttata per centrali di grandi dimensioni: vengono definite dighe – per legge – se hanno uno “sbarramento” alto almeno 15 metri oppure hanno un “serbatoio” artificiale con un volume superiore al milione di metri cubi d’acqua.
Le dighe sono fondamentali per contenere i costi della bolletta elettrica, ma anche le emissioni inquinanti. La fonte energetica è super economica e rinnovabile per definizione: è l’acqua piovana che alimenta l’invaso e viene incanalata nelle condutture che poi alimentano le turbine. Così, a secondo della “idraulicità” (in pratica, secondo quanto piove in un anno), l’energia idroelettrica può arrivare a coprire anche oltre il 20% del fabbisogno di elettricità del Paese.
Ma per complessità e dimensioni degli impianti – e siccome incidono in modo rilevante nel territorio che li ospitano – sono sotto stretta osservazione tutto l’anno: «Date le disastrose conseguenze di eventuali incidenti, le norme stabiliscono che le dighe siano costantemente monitorate» e siano soggette a continui «controlli, manutenzioni e interventi di adeguamento/miglioramento». Il virgolettato è tratto dall’Indagine conoscitiva sullo stato dell’arte delle attività idroelettriche che la Commissione Attività produttive della Camera ha reso pubblica quattro anni fa. L’elenco dei controlli, che si adattano a ogni singolo impianto, sono stabiliti dalla Direzione generale dighe del ministero delle Infrastrutture, che è responsabile per le ispezioni previste per legge ogni sei mesi. Così come sono semestrali anche le “asseverazioni”in capo al concessionario (l’ente o la società che gestisce la diga), il quale è obbligato all’invio di “bollettini” mensili in cui devono fare rapporto.
Non per nulla, il sistema di controllo così severo è nato dopo il crollo dell’impianto del Gleno, in provincia di Bergamo, quando nel 1923 crollò – a ridosso dell’inaugurazione – il muro di contenimento causando la morte di 359 persone (anche se alcune stime, dispersi compresi, arrivano a oltre 500).
Inoltre, una diga è per sempre: come si legge sempre nella relazione parlamentare si tratta di «opere che difficilmente possono essere dismesse, date anche le modificazioni territoriali intervenute dopo la loro costruzione sia a valle che a monte». Per questo l’attenzione da parte dei concessionari è massima: nel caso della diga sul lago di Suviana, Enel – che gestisce l’impianto – si era affidato alle aziende leader a livello mondiale nella costruzione e manutenzione di centrali.
Del resto, il tema sicurezza era proprio al centro della indagine conoscitiva del Parlamento: «A fronte di un quadro costantemente aggiornato delle condizioni di sicurezza occorre tuttavia rilevare che un oggettivo problema è costituito dall’elevata età delle opere, con una media degli impianti idroelettrici pari a 75 anni». Del resto, lo viluppo dei primissimi pianti è nato con la fine dell’Ottocento, energia che ha consentito la prima vera fase di industrializzazione del nord Italia.
L’indagine è del 2019, ma arrivava a conclusioni molto puntuali: «L’attività di ricognizione svolta dalla Direzione generale dighe, è confluita nel 2013 in due provvedimenti con i quali sono state individuate 54 impianti idroelettrici che necessitano di interventi di incremento delle condizioni di sicurezza anche ai fini del recupero della capacità di invaso». Un allarme grazie al quale era stato poi finanziato un intervento di manutenzione straordinario, avviato negli ultimi anni.
A segnalare il tema sono stati, negli ultimi due anni con una serie di studi anche gli esperti del think tank “The European House-Ambrosetti”: «Oltre il 70% degli impianti idroelettrici in Italia ha più di 40 anni e l’86% delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche è già scaduto o scadrà entro il 2029: diventa quindi prioritario affrontare le criticità dell’attuale quadro normativo italiano e sbloccare gli investimenti». Una battaglia che i grandi concessionari (Enel, Edison Alperia e A2a da sole gestiscono 232 grandi dighe) hanno portato all’attenzione del governo: prolungare le concessioni per garantire gli investimenti. Sicuramente necessari.