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 2024  aprile 10 Mercoledì calendario

Intervista a Franco Arese

Franco Arese, ottant’anni divisi in tre ere. La prima: campione di atletica, mezzofondo e medaglie d’oro, un titolo europeo sui 1500 a Helsinki ‘71. La seconda: imprenditore affermato, di successo, alla guida di Asics Italia per un trentennio. Figlio di questa esperienza felice, il lancio di Karhu, marchio di abbigliamento sportivo che sta conquistando nuovi mercati, ora in mano ai figli, sono tre gli Arese junior, manager dal volto umano, come il padre. Terza era: presidente Fidal, per due mandati. Una storia la sua bellissima, ha rivoluzionato il modo di fare l’atletica, e ha cambiato la storia del mezzofondo italiano: la sua gara ideale, i 1500, anche se nei 3000 avrebbe fatto meglio (ma non è mai stata specialità olimpica), Arese ha saputo variare dagli 800 alla maratona, sempre con risultati di eccellenza, arrivando a detenere i record italiani dagli 800 ai 10.000. Ha portato l’atletica negli stadi del calcio, correndo nell’intervallo delle partite. Ha saputo interpretare la rivoluzione di Primo Nebiolo, nel segno dell’atletica spettacolo. Ha vinto molto e ha fatto scuola. Avrebbe potuto vincere di più, correndo in modo più razionale e salvaguardando la sua integrità fisica? Forse, ma è stato bello così. Anche Arese lo conferma: «La mia è una vita felice, sto bene, sono ancora molto attivo, sostenuto da una moglie meravigliosa e da tre figli che lavorano in armonia. E non dimentico nove nipoti».
Piu difficile la vita di atleta o quella di imprenditore?
«Ma non scherziamo, la fatica non l’ho mai sentita. Ho conosciuto quella degli altri, quando da giovane vedevo gli operai della Snia Viscosa alzarsi all’alba ed entrare in fabbrica. Come poteva essere un sacrificio allenarsi due volte al giorno? Io correvo con la maglia della Snia, loro invece lavoravano. L’atletica mi ha insegnato tutto, mi ha fatto conoscere la gente e il mondo portandomi ovunque».
Ma non ha risposto: meglio l’atleta o l’imprenditore?
«Uguale. Sono sempre stato animato dalla voglia di fare. Quando mi sono ritirato, volevo dimostrare che un atleta, che aveva avuto la fortuna di girare il mondo, poteva realizzarsi come industriale. Ci sono riuscito».
Come?
«L’atletica mi ha insegnato a far da solo, non c’erano gli agenti, noi atleti trattavamo gli ingaggi ai meeting. Ero curioso, mi piaceva incontrare e fare nuove conoscenze. Importante la lezione dei miei genitori, contadini che hanno lasciato il paese, Centallo, per trasferirsi a Cuneo e comprare una tabaccheria. Fondamentale crescere con Piero, mio fratello, le nostre estati a contatto con la natura, fiumi e montagne, le Alpi marittime, non avevano segreti: e dopo una vita di lavoro insieme».
Come si vince nello sport?
«Conta la testa. Ho vinto gli Europei di Helsinki grazie a quella. Ero forte anche ad Atene nel ‘69, ma ho perso, perché ho riposato male, non ho studiato la gara, troppi giorni di vigilia passati ad Atene. A Helsinki, con più esperienza, sono arrivato il giorno prima, carico al punto giusto».
Ingaggiava sfide memorabili con l’americano Marty Liquori.
«Che soddisfazione batterlo», ride ancora adesso Arese, che continua: «Io arrivato da Centallo, un paesino. Lui, lo vedevi da quella camminata tipicamente yankee, si sentiva superiore. Un ragazzo dotato e intelligente, ci sentiamo ogni tanto ancora adesso…».
Correre, macché fatica: gareggiavo per la Snia Viscosa, ecco la fatica la vedevo nelle facce degli operai quando entravano e uscivano dalla fabbrica
Due Olimpiadi, Città del Messico ‘68 e Monaco ‘72.
«Del Messico mi piacevano l’atmosfera, la storia e la cultura. Comprai un 33 giri che ancora adesso, ogni fine dell’anno, mi metto lì nel mio studio, da solo, e l’ascolto. A Monaco, la mattina ci svegliammo e c’era stato l’attentato alla squadra israeliana: uno choc».
Andrà a Parigi ai Giochi?
«Può darsi, ma prima sarò sicuramente a Roma, agli Europei, dove la nostra azienda, Kharu, sarà sponsor».
Segue sempre con attenzione l’atletica? Jacobs, Tamberi, siamo messi bene.
«Eccome se la seguo, i campioni di adesso sono delle star, delle aziende, muovono dei fatturati, hanno collaboratori, preparatori, sponsor e agenti, tutto diverso dai miei tempi, come ho già spiegato».
C’è un altro Arese: Pietro, non è suo parente, che va forte nel mezzofondo.
«Verrà al mio compleanno. È un ragazzo intelligente e dotato. Deve fare l’ultimo passo, ancora uno scatto, per diventare un fuoriclasse: sono fiducioso, ce la farà».
Due passi indietro: Pietro Mennea e Sara Simeoni?
«Mai visto uno che si allenava e si sacrificava come Pietro: nessuno come lui, aveva una rabbia dentro che lo motivava. Eravamo amici e ci rispettavamo. Sara aveva un talento immenso e poi una grande capacità di relazionarsi con gli altri, una qualità, vedo, che le è servita nel post carriera di atleta».
Pietro Arese, mio omonimo, è un campione, ma deve ancora fare un piccolo salto per diventare un fuoriclasse nel mezzofondo
Ci riuscirà
Il bilancio di Franco Arese?
«Non dico mai meglio una volta. Mi godo i miei 80 anni, la mia famiglia, sono sereno non solo rispetto a quello che ho fatto ma anche verso quello che farò».