Corriere della Sera, 10 aprile 2024
E l’arte mise la camicia nera
C’è la celeberrima (e iconica) Testa di Mussolini / Profilo continuo di Renato Bertelli, in ben otto repliche di diverse dimensioni e materiali tra il 1933 e il 1935, un’intuizione formale e spaziale che stupisce ancora oggi. C’è tanto Sironi raccontato nel suo periodo di totale e militante adesione al regime, per esempio nelle illustrazioni per «Il Popolo d’Italia». Ecco i magnetici ritratti mussoliniani di Adolfo Wildt. C’è Fortunato Depero, con un Il Duce nel mondo del 1934. Appaiono i bozzetti di Enrico Del Debbio per il Foro Mussolini a Roma. Per spiegare quel tempo, ma senza rinvii al regime, ecco anche Giorgio Morandi, Gio Ponti, Virgilio Guidi. In tutto quattrocento opere, dalle avanguardie futuriste all’architettura razionalista.
Pezzi d’arte che si trasformeranno inevitabilmente in materia di dibattito politico e storico-critico per il titolo scelto da Vittorio Sgarbi, come presidente, per la nuova mostra che ha ideato e che si aprirà il 14 aprile al Mart di Rovereto, curata da Beatrice Avanzi e Daniela Ferrari: Arte e fascismo. Nessun giro di parole: fascismo e basta, quel ventennio che tuttora attraversa il confronto politico soprattutto da quando Giorgia Meloni è a Palazzo Chigi: antifascismo come vessillo politico o, al contrario, la mancata condanna del regime in tante occasioni ufficiali.
Nella sua introduzione Sgarbi sostiene la parte di Sgarbi. Sa di provocare già nel titolo del suo intervento in catalogo (Nell’arte non c’è il fascismo e nel fascismo non c’è arte). Scrive Sgarbi: «La reticenza. La paura della storia. L’antifascismo perenne. Il fantasma di Mussolini. Ovvero “il faut etre absolument antifasciste”. Da questo diktat deriva la rimozione, nell’ultimo quarantennio, della evidente connessione tra arte e fascismo…. Insomma, prima d’oggi, nessuno aveva osato. Nonostante l’evidenza cronologica e iconografica. Siamo antifascisti. Non possiamo pronunciare quella parola, se non contro. La damnatio memoriae. Fascismo mai. In-no-mi-na-bi-le. Innominato. Nonostante l’evidenza. Questa è la prima volta».
Sgarbi ironizza su quelle «dosi di Sarfatti» (ovviamente Margherita, ndr) sparse in tante mostre e poi si chiede: «E quelli che firmarono il manifesto degli intellettuali fascisti? Gabriele d’Annunzio, Giuseppe Ungaretti, Ardengo Soffici, Luigi Pirandello, la stessa Sarfatti, Curzio Malaparte, Ugo Ojetti…».
Poiché Sgarbi fa Sgarbi (fortunatamente per lui stavolta al riparo dalle telecamere che lo spingono puntualmente verso il baratro del suo peggio), non si nega il piacere della battuta sapendo che tanta oggettistica non d’arte circola nelle stanze dell’attuale potere politico: «In mostra ci sono artisti grandissimi, a partire da Adolfo Wildt. Ma La Russa ha in casa busti del Duce. Ce ne faremo una ragione…».
La fluviale prosa di Sgarbi connette il senso della mostra per arrivare a una conclusione che lui definisce «inevitabile» e indica «la dialettica della Storia, la crociana dialettica dei distinti. L’arte è degli individui nella loro esaltazione e nella loro sofferenza. La storia è dei potenti contro gli uomini, sempre. Né Dante né Botticelli né Leopardi si spiegano con il potere. Nell’arte non c’è fascismo. E nel fascismo non c’è arte».
La mostra propone diverse sezioni per evitare il racconto per accumulo, o per semplici temi iconografici, o per singole personalità. Ecco Novecento Italiano, con la ricostruzione della famosa mostra milanese alla Galleria Pesaro del 1923 (con Bucci, Dudreville, Funi, Malerba, Marussig, Oppi e Sironi) inaugurata dallo stesso Mussolini (che disse: «L’arte rientra nella sfera dell’individuo. Lo Stato ha un solo dovere: quello di non sabotarla»). Segue L’immaginazione al potere, con la diffusione dell’immagine di Benito Mussolini nell’immaginario italiano. Poi Futurismo/ Celebrare l’azione, con i rapporti intrattenuti dal capo del fascismo con Filippo Tommaso Marinetti e il mondo futurista. Segue Arte monumentale con gli artisti negli spazi pubblici: Sironi, certamente, ma anche Achille Funi, Arturo Martini. Quindi L’architettura e il rapporto con le arti: le nuove città fondate dal fascismo come Littoria (poi Latina) e Sabaudia ma anche piazze, vie, edifici pubblici nelle città storiche, con Angiolo Mazzoni, Adalberto Libera, Giuseppe Terragni. Si prosegue con Nuovi Miti, dunque con la cronaca della narrazione di un’Italia popolata da eroi, atleti, soldati e contadini. In Il sistema delle arti si analizza il ruolo del regime nella politica culturale. Infine, con La caduta della dittatura i segni iniziali di una prossima, tragica fine del regime già nella produzione artistica dei primi anni Quaranta.
Ammette con lucidità, nel suo testo in catalogo, la co-curatrice Beatrice Avanzi: «È ancora difficile guardare e studiare con serenità di giudizio le raffigurazioni di Mussolini. Esse suscitano reazioni dure e ostili, che abbiamo potuto verificare anche durante la preparazione di questa mostra, come se il tempo non avesse fatto il suo corso e queste immagini non fossero state ormai consegnate alla storia. Raramente esposti, e presentati in anni recenti soltanto in due mostre che hanno suscitato numerose e aspre polemiche, i ritratti del Duce si trovano celati in case private, nei depositi dei musei, in collezioni difficilmente raggiungibili – scrigni di sentimenti nostalgici – alcune delle quali ci sono state generosamente aperte in occasione di questa esposizione». Le mostre citate sono L’uomo della Provvidenza del 1997 a Saravezza e Il culto del Duce a Salò nel 2016.
E Daniela Ferrari, altra co-curatrice, avverte: «Il Ventennio è stato un’epoca buia dal punto di vista politico, retta da un regime che ha ingannato, dissimulato, soppresso la libertà: di voto, di pensiero, di stampa, ma che – è ormai riconosciuto – rispetto alla funzione dell’arte e al ruolo degli artisti è stato, almeno fino alla promulgazione delle leggi razziali nel 1938, meno censorio di altri totalitarismi come quelli stalinista, nazista, o franchista».
Sgarbi da Rovereto insomma toglie di mezzo ogni equivoco linguistico su ciò che la mostra di Rovereto vuole raccontare: l’arte e il fascismo, indicato col suo nome. Sarà interessante capire cosa ne penserà il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, di cui Vittorio Sgarbi è stato sottosegretario fino al 9 febbraio scorso. E, chissà, la stessa Giorgia Meloni.