il Fatto Quotidiano, 10 aprile 2024
Inquisiti e ras: fdi e al leati aprono le porte
Chi amministra il potere ai confini del- l’Impero? I casi di Bari e Torino che hanno sconvolto il Pd e l’arresto per concorso esterno del meloniano Mimmo Russo a Palermo hanno mostrato come i partiti deleghino troppo spesso a capibastone, trasformisti o cacicchi locali la gestione di nomine, candidature e denaro.
La destra è fatta di leader ed esponenti nazionali che hanno un ruolo di primo piano, ognuno dei quali – vedi Ignazio La Russa e Daniela Santanchè in FdI, o Luca Zaia per la Lega – coltiva certo folte truppe di fedelissimi nei propri territori, ma in tutti i partiti di maggioranza ci sono nomi meno in vista in grado di esercitare una forte influenza.
Fdi porte aperte a tutti
Detto dell’asse La Russa-Santanchè, in Lombardia i giochi si sono complicati non tanto per la crescita dell’eurodeputato Carlo Fidanza, quanto per il ritorno del cacicco Mario Mantovani: dopo una vita in Forza Italia, è uscito pulito da un lungo processo sulla sanità lombarda ed è passato a FdI, dove ora dà le carte. D’altra parte l’ascesa dei meloniani al Nord è legata all’arrivo di classe dirigente dagli alleati, come nel caso della veneta Elena Donazzan, altra ex FI.
Altro snodo centrale è la Campania. A Salerno c’è il viceministro Edmondo Cirielli, circondato da amministratori che gli devono molto. Uno su tutti: l’ex consigliere regionale e sindaco di Pagani Alberico Gambino, chiamato alla Farnesina da Cirielli come segretario particolare. A Napoli invece ha appena vinto il congresso cittadino Marco Nonno, re delle preferenze che definì Mussolini “uno statista” e che si è preso il partito locale anche contro la volontà dello stesso Cirielli. Nel 2022 Nonno decadde da consigliere regionale perché condannato a 2 anni per resistenza a pubblico ufficiale.
Nella stessa assemblea, fino a qualche anno prima, l’uomo forte di FdI era Luciano Passariello, la cui stella s’è eclissata da quando è imputato per corruzione. Sembra invece eterno il regno di Angelo Michele Iorio, approdato a FdI dopo una quarantennale alternanza tra Dc, Forza Italia e altre formazioni centriste. Quattro volte presidente del Molise, è stato appena rieletto in Consiglio regionale. Da FI arriva pure Salvo Pogliese, campionissimo di preferenze e oggi senatore, dopo che l’avventura da sindaco di Catania è stata complicata da una condanna a 2 anni e 3 mesi per le spese pazze.
Nelle porte girevoli tra FdI e alleati, in Sicilia è arrivato pure Basilio Catanoso, quattro volte deputato tra An e FI, mentre da poche settimane ha fatto le valigie l’europarlamentare Raffaele Stancanelli, primo degli eletti nel 2019 nelle Isole (dopo Giorgia Meloni) ma folgorato sulla via della Lega. Cose normali, in una coalizione parecchio fluida. Basti pensare che Alfredo Antoniozzi, vice-capogruppo alla Camera con radici in Calabria, è arrivato da Meloni passando da FI e poi da Angelino Alfano (Ncd).
Lega altro che padani
L’ultimo arrivo ha nel curriculum quasi 200 mila preferenze spalmate su due elezioni europee. Si tratta di Aldo Patriciello, europarlamentare per Udc e FI prima di finire nelle liste salviniane. Quel che resta del boom leghista al Sud sono alcuni irriducibili – come il deputato calabrese Domenico Furgiuele, imputato per turbativa d’asta – e straordinari esempi di capacità di adattamento. Un esempio? Luca Sammartino, vicepresidente della Regione Siciliana. Nel 2012, neanche trentenne, prende 12 mila voti con l’Udc; nel 2017 è in lista col Pd e straccia tutti con 32 mila preferenze. Segue Matteo Renzi in Iv e infine arriva alla Lega, con cui conquista un altro seggio. Roba da far invidia – forse – a un altro colonnello di Salvini nell’isola, quel Nino Minardo quattro volte deputato e strappato nel 2019 a Forza Italia. Il partito siciliano però freme, troppe divisioni. Qui Salvini ha appena spedito il suo fedelissimo Claudio Durigon a fare da commissario regionale, identico ruolo ricoperto in Campania. E pensare che il vero “ufficio” di Durigon è il Lazio, dove ha favorito un travaso di militanti dal sindacato Ugl (di cui è stato dirigente) al Carroccio.
Col Nord che perde pezzi (in Veneto e Friuli dominano gli uomini di Zaia e Fedriga, in Piemonte “resiste” il fortino di Elena Maccanti), Salvini trova riferimenti in altre parti d’Italia. In Toscana, per esempio, è stimatissima Susanna Ceccardi, la cui parabola politica è nota (sindaca di Cascina e poi europarlamentare), ma meno lo sono i destini di persone cresciute con lei. Come il compagno Andrea Barabotti, deputato, o il suo ex assessore Edoardo Ziello, anche lui onorevole, o ancora Elena Meini, consigliera leghista a Cascina e ora capogruppo in Regione.
Forza Italia vecchie glorie
A fare campagna per FI alle Europee ci sarà Claudio Scajola, sindaco di Imperia per la quarta volta. La sua è anche una questione di famiglia: lo scorso anno il Comune ha assunto con regolare concorso la compagna di Piercarlo Scajola, figlio del sindaco. Il tutto mentre Marco Scajola, nipote di Claudio, da anni è invece assessore della Regione Liguria. Le saghe familiari sono un classico. A dare una mano a FI c’è pure Paolo Romani, decano del berlusconismo il cui figlio, Federico, è presidente del Consiglio regionale lombardo in quota FdI.
In Calabria c’è di che sbizzarrirsi. Il caso più scontato è quello degli Occhiuto, con Roberto presidente della Regione e il fratello Mario già sindaco di Cosenza e attuale senatore. Ma memorabile è la dinasty dei Gentile. Pino Gentile, 80 anni, si è ritirato nel 2020 dopo 7 legislature in Calabria. Da tre anni è però consigliera regionale la figlia Katya, mentre Andrea Gentile, cugino di Katya, è tuttora impelagato in ricorsi per riavere un posto in Parlamento. Se ci riuscirà, sarà l’orgoglio del già citato zio Pino ma pure del padre, Antonio Gentile, a sua volta più volte senatore con una sfilza di partiti nel centrodestra. Non si fa fatica a capire che FI tenga molto alle sue vecchie glorie. Dopo aver guidato la Regione Sardegna, di cui è ancora punto di riferimento per il partito, Ugo Cappellacci è alla seconda legislatura in Parlamento. A fargli compagnia – ma al Senato – c’è Francesco Silvestro, coordinatore di FI a Napoli con sulle spalle un processo per tentata concussione che vola verso la prescrizione. Comunque un novellino, in confronto a un vero cacicco d’epoca come Gianfranco Miccichè oggi all’Assemblea siciliana dove guida un partito nel partito. Serve scorza dura da quelle parti, anche perché la concorrenza non manca, come dimostrano le trattative per le Europee tra Antonio Tajani e l’ex governatore Raffaele Lombardo, che ha rilanciato il proprio movimento. Un po’ come il redivivo Totò Cuffaro, tornato operativo dopo la condanna a 7 anni per favoreggiamento alla mafia. E di Europee, più a Nord, si occupa pure un ex leghista come Flavio Tosi, ormai uomo-mercato per il partito nella vecchia Padania.