il Fatto Quotidiano, 10 aprile 2024
Vecchie” glorie in crisi: è cambio generazionale
Prendere nota dei nomi, anzi dei cognomi: Mourinho, Zidane, Conte, Sarri, Flick, Tuchel, Lopetegui, Sampaoli, Benitez, Potter. Tutti big della panchina in cerca di lavoro. Jurgen Klopp è un caso a parte: ha deciso di lasciare il Liverpool perché ha intenzione di staccare la spina. Ma gli altri sono in pista. Zidane è fermo dal 2021. Conte ha lasciato il Tottenham il 26 marzo 2023. Potter è stato rimosso dal Chelsea il 2 aprile 2023. Mourinho, Sarri e Benitez sono freschi di addio a Roma, Lazio e Celta Vigo. Sampaoli è fuori dal Flamengo dal settembre 2023. Lopetegui ha vissuto una stagione di attesa. Tuchel lascerà il Bayern a maggio. Hansi Flick non è più il Ct della Germania dal 10 settembre scorso. Nomi pesanti, destinati a rubare i titoli e ad alimentare il gossip nei prossimi mesi, in un contesto sempre più difficile. La concorrenza è spietata, gli emergenti si stanno facendo largo e il mestiere richiede un continuo aggiornamento: chi si ferma, troppo, è perduto. Sta accadendo, nel calcio, quello che si è verificato in altre professioni: l’irrompere della tecnologia, con tutti gli annessi e connessi. Non si parla ancora, per fortuna, di intelligenza artificiale, ma un giorno arriverà. Oggi un allenatore deve slalomeggiare tra numeri e statistiche, soprattutto deve confrontarsi con la figura imprescindibile del match analyst, fante perennemente al lavoro, con uno strumento dell’ultima generazione tra le mani. Una volta vedevi l’allenatore seduto a dare le direttive. Oggi il coach consuma chilometri tra area tecnica e le postazioni in panchina per consultarsi con lo staff e rivedere in tempo reale le azioni. Quando un calciatore sta per entrare in campo, non riceve la benedizione del suo tecnico, ma dà uno sguardo ai fogli plastificati che gli sbatte sotto il naso uno degli assistenti, per indicare movimenti e diavolerie varie da seguire sul campo. Non è facile tenere il passo dei tempi, ma i big della panchina ci provano. Sarri ha 65 anni. Sampaoli 64. Benitez 63. Mourinho 61. Flick 59. Lopetegui 57. Conte 54. Zidane 51. Tuchel 50. Potter 48. Sono cresciuti con le basi della vecchia scuola, ma hanno assorbito, forzatamente, la cultura post moderna.
Edy Reja ha mollato da poco la professione. Viaggia verso i 79 anni, ha lasciato l’Albania e detto basta nel 2022, ribadendo il concetto a De Laurentiis e Lotito che lo hanno contattato per rimediare ai problemi di Napoli e Lazio. Lo intercettiamo mentre è rientrato a casa dopo aver visto il primo tempo di una finale di Coppa di Slovenia a Nova Goriça: abita a Gorizia. “Oggi vivo il calcio così, ma basta panchina. Voglio godermi gli ultimi anni senza stress, tra affetti, amici e cose belle. Il calcio sta cambiando, numeri e tecnologia hanno preso il sopravvento. Quando cominciai, eravamo in tre: io, il mio vice e il preparatore. Oggi gli staff sono una squadra vera e il match analyst è una figura sempre più importante. Il calcio ha meno segreti, l’accessibilità alle informazioni è molto più semplice rispetto a trent’anni fa quando dovevi affidarti agli osservatori, ma tutto questo non potrà mai cancellare l’importanza del capitale umano. Il cervello resta l’organo più importante. Capisco Klopp: il mestiere dell’allenatore è bellissimo, ma ti prosciuga. Le tensioni sono alte. Devi fare risultati e poi tenere botta con i presidenti, i direttori sportivi, i tifosi, i giornalisti. Tra i nuovi tecnici, m’intriga De Zerbi. È uno dei migliori, ma deve misurarsi con una grande realtà, confrontarsi con i campioni e con le ambizioni. Motta sta facendo cose egregie a Bologna, ma ha avuto la fortuna di avere alle spalle un dirigente come Sartori”.
Anche Francesco Guidolin ha detto basta. “Mi sono ritirato un momento prima che mi dicessero che ero sorpassato. Mi sono divertito, mi sono tolto le mie soddisfazioni, ma se tornassi indietro, farei due cose: andrei prima in Inghilterra e mi godrei di più i successi. Le sconfitte ti consumano e quando vincevo pensavo già alla partita seguente. Se un grande come Klopp è esausto dopo aver conquistato tutti quei trofei, immagina lo stress di un allenatore di medio livello. Oggi comandano numeri e statistiche. Ok, sono di aiuto, ma nella mia visione, l’aspetto psicologico rimane fondamentale. Ho sempre cercato di esplorare l’uomo e con le rose extra-large attuali è un lavoro enorme. Guardo con simpatia ai giovani. È la ruota che gira. È capitato ai nostri tempi e la storia si ripete, ma ammiro chi è sulla breccia a sessant’anni suonati. Hanno ancora energie e voglia, giù il cappello”.