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 2024  aprile 10 Mercoledì calendario

Intervista a Pilar Fogliati

Attrice per punizione.
«A 17 anni ho presentato a casa un pagellino tremendo, con molte insufficienze. Così mia mamma mi ha iscritto a un corso di teatro amatoriale che si teneva il venerdì e il sabato sera. Una punizione intelligente, chapeau a lei, era un modo per impedirmi di cazzeggiare in giro».
Quando ha scoperto di essere egocentrica?
«Mi piace vederlo da questa prospettiva, l’egocentrismo non è per forza associato a una brutta qualità, tipo essere invidiosi o avidi. Alla fine chi non è egocentrico?».
Pilar Fogliati, 31enne romana, nata per caso ad Alessandria durante le vacanze natalizie dei genitori, ha già un curriculum solido: le serie Un passo dal cielo, ExtraVergine, Cuori; i film Forever Young, Romantiche (di cui è stata anche regista), Confidenza di Daniele Luchetti (al cinema dal 24 aprile). Un video virale che l’ha fatta conoscere di botto.
Tra i primi lavori la fiction con Terence Hill...
«Sono entrata in Un passo dal cielo quando c’è stato il passaggio da Terence Hill a Daniele Liotti. La sceneggiatura prevedeva solo una scena in cui parlavo con lui per finta al telefono. Non ho potuto toccare il mito, ho rosicato parecchio».
Con Achille Lauro invece c’è stata più di una finta telefonata, avete lavorato insieme a «Xtra Factor», i commenti a caldo su «X Factor».
«Era incredibile, tutti potevano farmi mille domande sul talent, invece mi chiedevano solo di lui: com’è Lauro?».
E com’è Lauro?
«Citazioni colte una dopo l’altra. Simpatico, professionale, una persona di sostanza, non solo cornice. Mi prendeva in giro e mi chiamava “La professoressa Fogliati”. In mezzo a tutti quelli della musica vestiti strani, eccentrici, in un backstage dove regnava il denim strappato, io mi presentavo con il look da Miss Camicetta. Poi dentro non sono così, però mi vesto così».
Fuori camicetta e dentro?
«Sono trap. Fuori sono classica, dentro c’è il futuro».
È diventata famosa con un filmato virale in cui improvvisava le variazioni romanesche: la snob dei Parioli, l’aggressiva di Ponte Milvio, la nobile radical chic, la ragazza semplice di Guidonia.
«Ero a presentare un corto a Cortinametraggio».

Cortina, niente di più romano.
«L’Argentario e Cortina sono pezzi di Toscana e Veneto venduti ai romani... Eravamo a pranzo, al momento dell’ammazzacaffè, ho iniziato a cazzeggiare, a fare la scema sulle diverse inflessioni romane. Sergio Fabi, un giornalista che si occupa di cinema, mi ha fatto un video e l’ha messo su una chat di cinema. La sera mi ha girato i complimenti di Verdone, il mio mito».
Non si aspettava diventasse virale.
«Sono rimasta sorpresa, all’inizio non l’ho detto nemmeno al mio fidanzato, a volte quando litighiamo mi dice che sono egocentrica...».
Ecco vede, egocentrica.
«Non volevo dirgli che avevo fatto la buffona, ma poi se ne è accorto per forza».
In quale tipo di romana si riconosce di più?
«È la domanda più difficile del mondo, sarebbe bellissimo e molto sano dirne una, in realtà tutte e quattro hanno qualcosa che io non mi concedo: la maleducazione, la spavalderia, l’essere fra le nuvole, l’arroganza, il coraggio. Io sono un pezzetto di tutte e quattro: ho fatto i licei borghesi, ho conosciuto l’ambiente artistoide dei fuori sede della Silvio D’Amico, ma so cos’è la provincia perché vivevo fuori Roma».
Ci vuole gusto dell’osservazione.
«Sono osservatrice e origliatrice, mi divertono gli stereotipi e i cliché, mi piace vedere come l’ambiente sociale ti codifica».
Come lo Zelig di Woody Allen ci trasformiamo in base al contesto in cui ci troviamo?
«In fondo penso che anche una maschera ha qualcosa di onesto. C’è una modifica naturale quando sei in compagnia di qualcuno. La maschera non è per forza una menzogna, ha una sua verità, è un processo di conoscenza».
Gli attori sono spesso ansiosi/ipocondriaci o tutti e due: anche lei rientra in questa categoria?
«Non rientro nell’ipocondriaca, anzi, sono l’opposto. Eravamo quattro figli, cresciuti in campagna. Se mi usciva il sangue dal braccio, la risposta era: buttati in acqua che si disinfetta».
Ansia invece?
«Tantissima. Gli attori in genere sono parecchio ansiosi: ti piace essere guardato, ma hai strane timidezze; non ti vuoi rivelare, ma vuoi essere visto. Credo però che la cosa che la determina in modo più concreto è che il mestiere d’attore è un lavoro precario per definizione».
Vorrebbe il posto fisso, la fiction fissa, tipo «Un posto al sole»?
Ride. «Avverto un senso di precarietà, che è anche generazionale. La precarietà è il prezzo da pagare per questo lavoro meraviglioso: detto in volgari termini economici tu sei il prodotto che vendi, quando vieni preso per un film il tuo modo di essere è in affitto per qualche mese, al servizio dell’immaginario di un autore».
Politicamente corretta o scorretta?
«Sono a favore della battuta che uno capisce».
Mai usato Tinder come in «Odio il Natale»?
«No, ora sono fidanzata da quattro anni, sono sempre stata in relazioni durature, l’unico anno da single che ho avuto non ci ho pensato. La vera cosa divertente è il flirt, con Tinder te lo perdi».
Un difetto professionale?
«Coincide con quello caratteriale: un’insicurezza di fondo. Cambio idea velocemente e così metto nei casini chi lavora con me».
Il Piano B ce l’aveva?
«Avrei aperto una pasticceria».
È capace?
«No, non ho nessun talento se non la dipendenza dallo zucchero, ma ho un palato raffinatissimo».
Agli inizi aveva fatto anche un provino alla Lamda, la London Academy of Music and Dramatic Art a Londra.
«Fu come prendere 12 schiaffi tutti insieme. Avevo 18 anni, arrivavo da Roma, provinciale. Recitai Shakespeare con accento americano, fu una cosa vergognosa quel provino. Sono uscita senza aspettare il risultato. Quella scuola era piena di inglesi che volevano prendersi un pezzo di futuro, ipercompetitivi. Una competizione così pensavo ci fosse solo in Cina. Però mi ha fatto bene, ho capito che il mondo non ti aspetta».
Sempre convinta che tra Brad Pitt e Claudio Amendola è meglio il secondo?
«Sì. Le prime cotte da ragazzina quando ancora non sai cos’è l’attrazione verso un uomo sono quelle che ti rimangono. Amendola nei Cesaroni per me era il massimo del sexy, con quella panzetta...».
Altri segreti inconfessabili, tipo Lino Banfi meglio di Clooney?
«Avevo anche una cotta per il cantante dei Red Hot Chili Peppers, Anthony Kiedis, tutto tatuato».
Genere trucido.
«Gliel’ho detto, ho dei lati coatti che mi divertono. Fuori camicetta, dentro trap».