Corriere della Sera, 10 aprile 2024
Le preoccupazioni della premier per i conti pubblici e le agenzie di rating
Roma Il ministro Giancarlo Giorgetti e il numero due dell’Economia, Maurizio Leo, hanno fatto del loro meglio in conferenza stampa per rassicurare e sdrammatizzare. Per i «big» di Via XX Settembre l’idea di presentare un Def «asciutto», ridotto al quadro tendenziale e del tutto privo di indicazioni programmatiche, è stata una scelta obbligata e nemmeno tanto nuova. Eppure, nel chiuso del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni ha pronunciato poche parole, ma indicative di quanto alta sia a Palazzo Chigi la preoccupazione per lo stato, presente e futuro, dei conti pubblici italiani. Un allarme che da mesi il governo giustifica con la «voragine» dei bonus edilizi.
Giorgetti parla a braccio. Illustra un quadro economico «complicato» dalla grave situazione internazionale e geopolitica, conferma i numeri del mostruoso debito pubblico che zavorra gli italiani e ammette di aver dovuto rivedere al ribasso le previsioni di crescita rispetto alla Nadef. I ministri ascoltano in silenzio, seguendo dati e cifre su una tabella. Quando Giorgetti ha finito, prende la parola la premier. Giorgia Meloni è in ansia, sa bene che un deficit al 7,2% del Pil, molto lontano dal tetto del 3% previsto da Bruxelles, renderà inevitabile una procedura di infrazione per disavanzo eccessivo e vuole accertarsi che il responsabile dei conti pubblici abbia soppesato l’impatto sui mercati di un documento di economia e finanza in versione light: «Giancarlo, come pensi che reagiranno le agenzie di rating? L’Italia, non da oggi, ha tutti gli occhi addosso. Stanno coi fucili spianati...».
La risposta di Giorgetti è di questo tenore: «Io penso che possiamo stare tranquilli, il Def verrà accolto positivamente. La fermezza con cui abbiamo messo un freno alla deriva del Superbonus è stata apprezzata». La presidente chiede ancora un minuto di attenzione per spronare i ministri e i leader dei partiti a illustrare nel dettaglio i dati contenuti nel documento: «Il Def è asciutto rispetto agli anni passati per le nuove regole europee di programmazione economica, ma deve essere attendibile e realistico». E qui Meloni raccomanda a Giorgetti e a Leo, che poco dopo risponderanno alle domande dei giornalisti, di «spiegare bene che fermare il Superbonus è stato un gesto di responsabilità». A Palazzo Chigi, come in Via XX Settembre, hanno messo nel conto che gli incentivi edilizi voluti da Giuseppe Conte e confermati da Mario Draghi «peseranno sugli equilibri di bilancio per i prossimi due o tre anni», con effetti a cascata sulle entrate dello Stato e sul debito pubblico.
La decisione
Il governo prepara
il ricorso in Cassazione su «genitore 1 e 2» nella carta d’identità
L’assalto di opposizioni e sindacati contro il «documento fantasma» non si placa. Per la sinistra il Def di Meloni e Giorgetti è sola una «mossa disperata», che serve a prendere tempo e a «scavallare» le elezioni europee, prima di rivelare al Paese il profilo della manovra «lacrime e sangue» del prossimo autunno. La premier ha dunque bisogno di argomenti validi per stroncare le accuse e uno lo fornisce il ministro Guido Crosetto: «Non è vero che un Def senza la parte programmatica ha solo due precedenti, Gentiloni e Draghi, perché lo fecero anche Monti e Conte». In contesti ben diversi. Eppure Giorgetti prenderà al volo il consiglio per rispondere in conferenza stampa: «È un fatto non nuovo, ci sono quattro precedenti...».
Le tensioni elettorali restano fuori dalla porta. Salvini, spesso taciturno, prende la parola dopo il ministro Piantedosi riguardo al ricorso del governo in Cassazione su «genitore 1 e genitore 2» nella carta di identità elettronica. Tajani si fa sentire contro la proposta della Regione Veneto, che sperava di sfilare alla Farnesina alcune competenze sulla cooperazione civile e umanitaria. «Una forzatura», l’ha subito stoppata il leader di Forza Italia e ministro degli Esteri, perché «può diventare un pericoloso precedente». Mediazione del ministro Ciriani e soluzione affidata a Calderoli, chiamato a riformulare la norma nel prossimo Cdm che si terrà lunedì. L’altro dossier che ha impegnato premier e ministri riguarda i tempi del silenzio elettorale. Per le Europee si inizierà a votare sabato 8 giugno, quindi la campagna elettorale finirà venerdì alle 12 e i comizi si terranno il giovedì.