il Fatto Quotidiano, 10 aprile 2024
Nella war room dei “delitti seriali”
Uno pensa agli omicidi, ai cold case che si riaprono sempre più spesso, ma in realtà la polizia scientifica si occupa ogni giorno anche di cose molto meno cinematografiche. “Come la truffa agli anziani o il furto in appartamento, che spesso sono azioni seriali su cui le indagini tradizionali faticano a partire. Basta una distrazione del ladro, che in genere usa i guanti ma magari fa caldo, si tocca il viso e lascia una goccia di sudore. Oggi anche da tracce sporche, miste, da quantità minime, noi ricaviamo un Dna e con la banca dati ci sono grandi speranze di individuare un profilo”, spiega Luigi Rinella, investigatore già a capo delle squadre mobili di Napoli e Bari, da quasi cinque anni direttore del Servizio centrale di polizia scientifica dove ha tutta l’aria di trovarsi a suo agio tra chimici, biologi, fisici e ingegneri. Sono 3.012 gli uomini e le donne donne della Scientifica.
È una specialità sempre più importante, ma pure un pezzo di storia da ricordare nel 172° anniversario della Polizia. Si dice infatti che a inventare la Scientifica nel 1903 fu Salvatore Ottolenghi, medico astigiano, assistente di Cesare Lombroso, puntando sulle impronte digitali e su un metodo che poi fu esportato all’estero. Le vecchie impronte si usano ancora, naturalmente, insieme alle foto segnaletiche: la banca dati Afis ne ha più di 20 milioni. Sono invece ufficialmente 200 mila i Dna analizzati a partire dal 2017, quando è stata istituita con un certo ritardo la Banca dati prevista fin dal 2009. Ventimila i profili noti e altrettanti ignoti, prelevati sulle scene del crimine, nella speranza di dar loro un nome e un cognome; in un altro contenitore si conservano i Dna delle persone scomparse. La legge consente di sottoporre al cosiddetto tampone boccale, oltre al fotosegnalamento e al rilievo delle impronte, le persone arrestate o sottoposte a misura cautelare per reati dal furto in su. Il match, spiegano alla Scientifica, funziona soprattutto sui reati seriali: un migliaio di volte dal 2017, il 43% nel caso furti, il 23 % per rapine, il 10% per omicidi, il 5% per violenze sessuali. A volte, come per le impronte, è il successivo prelievo del Dna che consente di ipotizzare, a ritroso, la responsabilità di Tizio o Caio. Così nel 2020 la polizia ha potuto arrestare il presunto omicida di Antonio Schiesaro, ucciso nel 2001 nella sua casa di Verona: il campione biologico ritrovato sulla vittima era lì da 19 anni. Andare più indietro è meno semplice, perché in passato non si faceva abbastanza attenzione alla gestione dei reperti. “Ora sì – assicura Rinella – è quasi maniacale”. “La biologia – osserva – a volte è decisiva in presenza di altri indizi, a volte da sola non basta ma offre spunti o consente di attivare intercettazioni. Come lo stub positivo su una persona sospettata di aver sparato”.
L’altra frontiera è il Sari (Sistema automatico di riconoscimento immagine) che incrocia milioni di volti, oggetto di un lungo confronto con il Garante della Privacy oltre che di normative europee stringenti su raccolta e durata legale della conservazione delle immagini. “È una grande opportunità, ma serve sempre l’occhio del poliziotto, nessuno viene arrestato da una macchina. Ricorderà – racconta Rinella – il caso dell’israeliana accoltellata alla stazione Termini (31 dicembre 2022, ndr). Le telecamere di sorveglianza ci forniscono un volto, con una buona definizione. Il fotogramma viene inserito attraverso il Sari nell’Afis, cioè tra tutti i soggetti fotosegnalati: è un occhio che vede più di 20 milioni di cartellini e ti dà 10 o 15 candidati, fornendo anche una percentuale. Quello individuato era il decimo. Il poliziotto dice ‘ma chi è questo?’. Era stato fotosegnalato a Roma una settimana prima, per un tentato furto vicino alla stazione, con gli stessi vestiti; fosse stato segnalato di recente in altri contesti sarebbe stato scartato. Poi la palla passa agli esperti di comparazione fisionomica. Altro che grande fratello, non è vero che l’intelligenza artificiale sostituisce l’uomo. Però fa in un attimo quello che l’uomo farebbe in mesi”. Potente la comparazione fisionomica: un vecchissimo filmato ha inguaiato Paolo Bellini, il terrorista nero poi condannato in primo grado nel 2022 per la strage di Bologna, prima che parlasse l’ex moglie.
Ora per il Sari, secondo i regolamenti europei, si può usare anche real time: per esempio per cercare un latitante atteso allo Stadio Olimpico attraverso le telecamere ai tornelli. “Ma si possono fare solo banche dati provvisorie, un jihadista sospettato di voler compiere un attentato posso cercarlo così, un topo d’appartamento no”, avverte Rinella. Tutto condivisibile, ma una volta che le immagini esistono non è facile impedirne l’eventuale uso illegittimo, sia pure al di fuori del processo penale. Quanto al processo, la sfida ormai è la ricostruzione tridimensionale della scena del delitto: “Ce la chiedono sempre più spesso”.