Robinson, 6 aprile 2024
Le interviste a Steven Spielberg
“Io sogno per vivere” racconta la scalata al successo di Steven Spielberg. Aneddoti, curiosità, segreti E la confessione: “Lo desideravo più di ogni cosa”diAlberto AnileDa almeno una decina d’anni le università americane in cui s’insegna cinema hanno preso a dedicare parte dei propri investimenti editoriali a raccolte di interviste. Individuato un cineasta di vaglia, si dragano riviste e quotidiani alla ricerca di botta e risposta interessanti e possibilmente poco noti: il risultato è un libro nuovo di zecca, che restituisce una carriera attraverso la viva voce del suo protagonista. Sono operazioni preziose, che dovrebbero essere imitate dalle accademie di casa nostra: perché la storia del cinema si giova più della pratica che della teoria, e la testimonianza di chi ha immaginato e realizzato il film ( anche se filtrata dalla doppia soggettività di intervistatore e intervistato) vale più di mille analisi sull’opera finita.Perciò onore e gloria alla neonata editrice Wudz, che ha deciso di esordire traducendo Steven Spielberg: Interviews, Revised and Updated, pubblicato nel 2019 dalla University of Mississipi per la curatela di Brent Notbohm e Lester D. Friedman. Ribattezzato Io sogno per vivere. Conversazioni su cinema, vita e sogni, il volume raduna venti interviste a Spielberg, da David Helpern che perTake One lo incalzava nel ’74 su Sugarland Express, a Josh Rottenberg delLos Angeles Times che nel 2018 chiacchierava col regista a proposito diReady Player One.Le curiosità più tenere rimandano ovviamente ai ricordi di gioventù, a cominciare dalla «unica truffa della mia vita», quando, con la complicità di un benevolo portiere, il sedicenne Spielberg indossò giacca e cravatta e s’imbucò un’estate alla Universal, installandosi in un ufficio vuoto e trascorrendo almeno tre mesi a spiare set e conoscere gente del cinema. E sono gustosi gli aneddoti, anche minimi, sugli anni eroici: l’esordio a ventun’anni con un film televisivo, Mistero in galleria, solo sette giorni di riprese ma con Joan Crawford protagonista; l’approccio semplice, quasisperimentale, con cui affrontò le riprese dello Squalo; le indecisioni reverenziali prima di telefonare a François Truffaut per chiedergli di recitare inIncontri ravvicinati del terzo tipo (in alternativa aveva pensato a Lino Ventura, Jean-Louis Trintignant e Philippe Noiret); e il momento magico in cui George Lucas, sull’isola di Hawaii, gli propose il soggetto deiPredatori dell’arca perduta «e io gli diedi la mia parola sulla spiaggia. Abbiamo iniziato la tradizione di costruire castelli di sabbia portafortuna... se il castello di sabbia resisteva alla prima alta marea, il film sarebbe stato un successo. Se invece l’alta marea superava il castello di sabbia, avremmo dovuto lottare per recuperare i nostri soldi».Man mano che le interviste procedono nel tempo, l’entusiasmo totalizzante di Spielberg per la macchina cinema cede il passo a una maturità innanzitutto umana, scandita dal film spartiacque Schindler’s List.Ma la bulimia d’attività è rimasta la stessa, con incursioni sempre più frequenti nella storia vicina (Munich, The Post)e lontana (Lincoln), immersioni belliche (Salvate il soldato Ryan), ritorni periodici alla fantascienza (A.I., Minority Report, Ready Player One).«Dopo aver realizzato Schindler’s List», spiegava sul set diAmistad, «mi sono ripromesso di non fare film identici uno dietro l’altro, perchéSchindler’s Listpuò essere limitante come può esserlo Jurassic Park». Dichiarazioni come queste aiutano a illuminare un cineasta inseguito per anni dall’etichetta di eterno adolescente, poi regista di opere talmente differenti da aver confuso parte dei suoi esegeti. Un autore che mentre girava Lo squalo dichiarava di amare l’attualità: «Adoro Costa-Gavras. Un giorno mi piacerebbe fare un film come Z – L’orgia del potere, un thriller politico». Che ha sempre venerato John Ford come «il regista perfetto», almeno dal punto di vista tecnico (e chi ha visto The Fabelmans non se ne stupirà). Che conosce perfettamente la storia del cinema amandone il lato spettacolare ma al tempo stesso sa che «una scena drammatica ed esplosiva tra due persone con la giusta chimica è molto più emozionante di un migliaio di persone sulla scalinata dellaCorazzata Potëmkin».Spielberg è stato, e rimane, passione per il cinema allo stato puro. E se nel ’74 alla domanda su quale sia stato il fattore principale ad averlo fatto diventare un vero regista, l’autore diE.T.risponde semplicemente «Lo desideravo più di ogni altra cosa», nell’ultima intervista riprodotta rivela che il criterio con cui sceglie i progetti è rimasto lo stesso: «Qualsiasi cosa accenda il mio motore è ciò a cui mi aggrappo. Non ho alcun tipo di piano o visione a lungo termine riguardo una strategia di carriera o su come scardinare i generi in maniera consapevole. Quando mi capita qualcosa che cattura la mia immaginazione, voglio farlo, anche se ho già fatto un film molto simile».