Robinson, 6 aprile 2024
Su Marina Cvetaeva
Cominciamo con una citazione. «E di corsa – di corsa, come lungo un colonnato di guardie bianche. Lungo le aiuole innevate, lasciandomi alle spalle le nazionalità, la saccarina, l’esperanto, Nataša Rostova – torno a casa, dai bambini, da Casanova: da me stessa». Lo annota, in un taccuino del 1923, Marina Cvetaeva, la grande poeta russa, e assieme a Osip Mandel’štam – con cui i rapporti erano assai complessi – forse la più grande poeta del secolo scorso. Diciamo poeta, perché così lei voleva essere chiamata.Nel 1923 dunque Cvetaeva è esule in Boemia. È arrivata a Praga nel 1922, aveva all’epoca trent’anni, era alla ricerca del marito Sergej Efron, ex ufficiale delle guardie bianche. E la frase citata si trova inTaccuini 1922-1939, con traduzione e cura (esemplari) di Pina Napolitano, pubblicato da Voland, e si riferisce a un episodio della vita di Cvetaeva a Mosca, quando aveva trovato l’impiego alNarkomnac, il commissariato popolare per le questioni della nazionalità, costituito dal nuovo potere comunista. In questa annotazione è riassunto l’immaginario dell’autrice. C’è in queste righe l’insofferenza per il lavoro da piccola burocrate in un inutile ente voluto dal potere,l’ironia per l’utopia dell’esperanto come lingua universale ( utopia i cui seguaci furono più tardi duramente repressi da Stalin; il tiranno aveva in odio qualunque idea di un’umanità indivisa), c’è la lettura dei testi di Casanova, c’è l’accenno alla povertà: saccarina al posto dello zucchero. Ma c’è soprattutto una visione del mondo mediata dalla letteratura. La memoria di Cvetaeva e quindi la sua identità passano per suggestioni letterarie.Ci spieghiamo. Nataša Rostova è ovviamente la protagonista diGuerra e pace di Lev Tolstoj, e il palazzo in cui la poeta lavorava per il Narkomnac è quello di famiglia dove è ambientata una buona parte del romanzo ( celebri le scene di ballo nei due film tratti dal libro; l’uno con Audrey Hepburn, l’altro con Ljudmila Saveleva). Marina assomiglia un po’ alla giovane Nataša: in fuga dalle ristrettezze della vita quotidiana.Nelle stesse righe Cvetaeva dice però: tornare «a me stessa». La domanda è: quale «me stessa»? Nello stesso quaderno del 1923 Cvetaeva racconta una visita di Mandel’štam a Mosca nel 1916, e accenna con una certa dose di voluta ambivalenza alla possibilità di identificarsi con la sua omonima, Marina Mniszek. Ora, Mniszek era una nobile polacca, avventuriera, che nel Seicento ebbe un ruolo considerato nefasto nella storia della Russia (se ne parla inBoris Godunov, l’opera di Mussorgskij dal poema di Puškin). In una poesia, poi, dal titolo Alla nonna parla appunto della sua «giovane nonna polacca», si chiede «chi ha baciato le vostre labbra altere», racconta «le mani che nel Palazzo i valzer di Chopin suonavano». E suggerisce infine che la «crudele rivolta» che lei, Marina, porta nel cuore è un lascito di questa sua antenata. Cvetaeva – citiamo due versi in una traduzione di Pietro A. Zveteremich: «Può darsi che l’amore sia più semplice / e facile di quanto m’aspettavo» – risulta una donna per cui la poesia così come l’amore sono una forma di rivolta e di sovversione.Si dice spesso che di certi autori è interessante leggere perfino la lista della spesa. Conoscere la lingua che usano nel quotidiano è come entrare nella cucina di un grande chef e vedere gli ingredienti con cui prepara le prelibatezze. Così leggiamo: «Comprare filo di rammendo (qualsiasi) elastico sottile». Ma anche: «Il poeta non deve avere fisionomia, ma una voce». E poi: «Ogni morte “per Dio” è insensata: a Dio non serve mai». Cvetaeva era infatti una poeta democratica, ammessoche la categoria della democrazia possa essere associata alla poesia; estranea a ogni vocazione metafisica o mistica della letteratura, raccontava invece la vita; era aperta alle culture e lingue diverse, sapeva scrivere in francese quasi come in russo; traduceva molto; provava empatia per i non russi e i non ortodossi: cechi, ebrei, polacchi. Sapeva rovesciare i miti: «Bisogna capire chi dipendeva da chi: il Minotauro da Minosse o Minosse dal Minotauro? Chi terrorizza l’altro».Nel 1925 la poeta si trasferisce a Parigi. Il marito, diventato un agente dei servizi di Stalin, è coinvolto nell’uccisione di un esule, e scappa in Russia. Lei lo segue. Nel 1939 si imbarca sulla nave per Kronštadt. Trova il Baltico di un «blu divino: blu – grigio, non come blu- verde del Mediterraneo». E scrive: «Ciò che è alto – se c’è l’orizzonte – non può nascondersi. Così un giorno riscopriranno anche noi (noi obliterati e schiacciati): ci riabiliteranno». Aggiunge: «Si può dire addirittura così: l’orizzonte svela ogni altezza».Il 31 agosto 1941 si impicca, in un’izba, a Elabuga nel Tatarstan. Il figlio Mur cadrà in guerra, il marito verrà fucilato, la figlia Ariadna sarà rilasciata dal Gulag nel 1955.