la Repubblica, 9 aprile 2024
Italiani a Londra, il lungo addio per restare 45mila euro l’anno Arriva la nuova stretta di Sunak
LONDRA – È un lungo addio, quello che gli italiani, e con loro altri 26 popoli dell’Unione Europea, hanno dato al Regno Unito. La prima mazzata è stata la Brexit, entrata in vigore il primo gennaio 2021: niente più libertà di venire a vivere liberamente in Inghilterra, Galles, Scozia, Irlanda del Nord, cercarsi un lavoretto, imparare l’inglese. Quindi è arrivata la norma secondo la quale, per ottenere un visto di lavoro per un mestiere “qualificato”, occorreva guadagnare come minimo 26 mila sterline l’anno. Ora, da questo mese di aprile, la soglia del salario minimo necessario per un visto è aumentata a 38.700 sterline annue, pari a più di 45 mila euro. E per mestieri “qualificati” si intende anche camerieri, cuochi, lavapiatti, commessi: tutti settori in cui è difficile, se non impossibile, ricevere uno stipendio così alto.
Goodbye London, dunque: la fine di una storia con radici antichissime per l’emigrazione italiana. Senza risalire al 70 dopo Cristo, quando le legioni dell’Impero Romano fondarono Londinium su un’ansa del Tamigi, già nel 1300 re Edoardo I denomina Lombard Street in onore di banchieri e mercanti lombardi una via della City tuttora così chiamata, oggi ribattezzata “la Wall Street londinese” perché è il cuore della cittadella finanziaria. Qualche secolo più tardi, fra gli italiani che si stabiliscono a Londra ci sono gli esuli del Risorgimento, tra cui Ugo Foscolo (che a Londra morì e fu sepolto fino all’unità d’Italia) e Giuseppe Mazzini (che andava a leggere nella Reading Room del British Museum, biblioteca fondata da un altro patriota italiano, Antonio Panizzi).
Nel 1946, nel quartiere di Soho, a due passi da Piccadilly Circus, apre il Bar Italia, primo bar italiano della capitale britannica, dove lavorano generazioni di camerieri che poi aprono caffè, trattorie e ristoranti italiani in tutta la città. Uno di questi è La Terrazza, ritrovo del jet-set aperto lì vicino nel 1959 da Mario Cassandro e Franco Lagattola. Un altro è il San Lorenzo, ristorante preferito della principessa Diana, aperto negli stessi anni da Lorenzo Berni di fianco ai grandi magazzini Harrod’s: la nave su cui doveva imbarcarsi come aiuto cuoco era affondata nell’oceano Indiano, così decise di cucinare a Londra.
All’epoca, il quartiere della nostra emigrazione era Clerkenwell’s, zona di industrie tessili e magazzini industriali, dove sorge ancora St. Peter’s Church, l’unica chiesa italiana della metropoli. Dal 1973, con l’ingresso della Gran Bretagna nel mercato comune europeo, i nostri connazionali cominciano a distribuirsi dappertutto. Con il boom della Cool Britannia, etichetta degli anni di Tony Blair, Londra si è riempita di medici, avvocati, architetti e finanzieri italiani. E poiché chi ci è arrivato entro il 31 dicembre 2020 ha diritto di restarci a tempo indeterminato con eguali diritti dei britannici, a dispetto della Brexit siamo ancora più di 400 mila soltanto a Londra, come testimoniano le iscrizioni all’Aire (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) del nostro Consolato: fossimo una città a parte, saremmo la settima d’Italia per numero di abitanti, più grande di Bologna.
Il problema, lamentato nei giorni scorsi proprio su Repubblica da Aaron Rutigliano, proprietario di Gola, un ristorante prediletto dalle stelle della Premier League, è che con le norme post-Brexit non si trova più personale. Ci sono ristoranti costretti a chiudere perché non hanno abbastanza cuochi o camerieri. E il paradosso è che la disoccupazione britannica è bassa: oscilla da anni attorno al 4 per cento. Non ci sono inglesi che cercano quei tipi di lavori.
La Brexit si è rivelata una decisione autolesionista dettata dal populismo, ma è autolesionismo populista anche la mossa del premier conservatore Rishi Sunak di aumentare a 39 mila sterline l’anno il salario minimo per un visto di lavoro: solo per dimostrare agli elettori che sta facendo qualcosa contro l’immigrazione legale, salita a 672 mila nuovi immigrati nel 2023. Non resta che sperare a fine anno nel ritorno al potere dei laburisti, previsto da tutti i sondaggi: il loro leader Keir Starmer per il momento non vuole riaprire il dibattito sulla Brexit, ma intende migliorare i rapporti con l’Unione Europea usando buon senso. Chissà se permetterà a un ristorante di assumere un cameriere dall’Italia per meno di 39 mila sterline.