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 2024  aprile 09 Martedì calendario

Ci manca il neutro dei greci e latini

«Cari studenti, vi siete ben impegnati…». Quando scrivo una lettera agli alunni utilizzo genericamente la forma maschile? Non è il caso. Rischio di sembrare un conservatore, perché ormai abbiamo capito che questa forma di declinazione rappresenta un ossequio anacronistico ad un mondo pensato solo maschile. Un mondo plurisecolare in cui le donne erano relegate al servizio dei maschi, per usare un concetto che va da Aristotele a Cavour, passando per San Tommaso. Un mondo di cui troviamo chiara traccia nel nostro Codice civile, che fino al 1975 ancora disponeva: «Il marito è il capo della famiglia; la moglie segue la condizione civile di lui, ne assume il cognome ed è obbligata ad accompagnarlo…». Parole che oggi ci fanno venire un attacco di allergia! Eppure, la questione di genere è ancora aperta e il profilo terminologico non ancora risolto. Allora, ai miei studenti scrivo: «Cari studenti e care studentesse, vi siete ben impegnati e ben impegnate…». Utilizzare il maschile e il femminile in tutti i passaggi può appesantire l’esposizione e rendere il testo prolisso per le trappole delle concordanze, dovendo stare attenti a sdoppiare tutti gli aggettivi. Non va bene. Altra soluzione: potrei utilizzare soltanto il femminile, come ha fatto in questi giorni l’Università di Trento, che ha deciso di approvare un regolamento di ateneo al femminile, cioè usando soltanto la presidente, la rettrice, la segretaria, le professoresse, la candidata… e così via. Sicuramente è un’importante scelta simbolica, anche se a rigore non corretta, perché esclude i maschi e tutti coloro che non si riconoscono nei due generi tradizionali.Dunque, me la posso cavare ricorrendo ad asterischi, schwa e chiocciole? «Car* student@, vi siete ben impegnat?…». Attenzione: così non sembra più una frase in italiano, ma piuttosto un gioco enigmistico. Non a caso, in questi giorni il Land della Baviera ha modificato il “Regolamento generale per gli enti pubblici”, proprio per proibire l’uso dei simboli nel linguaggio, così da evitare confusione. Ma allora come devo scrivere? Facciamo attenzione. Utilizzare un linguaggio corretto nel genere non è soltanto una questione formale. La strada per la vera parità va ancora molto consolidata, anche mediante la scelta delle parole adatte. Non limitarsi al generico maschile è un segnale di maturazione e di inclusione, ma va trovata una soluzione che non appaia una forzatura. Sappiamo che il linguaggio è vivo e si evolve continuamente, secondo le abitudini sociali. Per usare le parole di Calvino, la lingua «vive d’un rapporto con la vita che diventa comunicazione, d’una pienezza esistenziale che diventa espressione». Forzare parole e simboli la trasforma in una antilingua artificiosa, che si stacca dalla realtà. Un po’ come disse proprio Calvino del burocratese, definendola anti-lingua, lontana dalla vita e dai cittadini.Allora come risolvere il problema terminologico della parità di genere? Andando a colmare una lacuna delle lingue contemporanee: la mancanza del neutro. Tutti ricordiamo che il greco e il latino avevano tre generi, includendo anche il neutro, proprio per ciò che non era né maschile né femminile. Il neutro si è perduto dopo la caduta dell’Impero Romano di occidente, perché nei secoli bui, in una società sempre più instabile e fragile, la lingua divenne sempre più essenziale: abbandonando le declinazioni e anche il neutro. Non a caso non presente in nessuna delle nostre lingue moderne.Ovviamente la soluzione non è quella di imporre per legge una nuova grammatica. Tuttavia, se ci pensiamo, asterischi, chiocciole e schwa altro non sono che l’embrione di una tendenza a introdurre nuovamente il neutro. Ma in un senso più ampio e comprensivo rispetto alle lingue antiche: non tanto genere grammaticale per le cose inanimate, ma genere comprensivo, di donne, di uomini e di tutti. Certo, è un passaggio che va fatto senza trasformare le parole in un rebus e consentendo alla lingua di assestarsi, con la consapevolezza che ormai i generi sono molteplici e utilizzare soltanto il maschile appare davvero un’offesa all’intelligenza della nostra società in evoluzione. —