Domenicale, 7 aprile 2024
Storia di via Porpora a Milano
È il 1978 quando via Porpora, la lunga arteria che collega Piazzale Loreto con Lambrate, fa il suo ingresso ufficiale nella narrativa milanese. È l’anno il cui un giornalista sulla cinquantina, Renato Olivieri, decide di intraprendere il percorso di una scrittura meno effimera di quella legata a un settimanale: mettendo mano a un romanzo, per l’appunto. E scegliendo la strada del giallo, all’epoca ancora ben poco battuta, dopo il precursore Scerbanenco… Il libro si chiama Il caso Kodra e comincia proprio lì, in via Porpora, il giorno della befana: «In effetti c’era qualcosa di strano nella morte della signora Kodra, travolta da un’automobile bianca, probabilmente una Fiat 132, la sera di martedì 6 gennaio alle ore diciotto e trenta, a Milano, all’angolo tra via Porpora e via Catalani. Morì meno di un’ora dopo al Policlinico».
Non che la scelta del luogo fosse casuale: una via di semiperiferia ad alto scorrimento, dove quel tipo di incidente era perfettamente plausibile. Ma probabilmente c’era anche altro: della strada in quegli anni si iniziava a parlare perché ci era nato e vissuto Renato Vallanzasca, il bel René che a 28 anni era l’astro nascente del banditismo milanese, e nel contempo faceva strage di cuori. Faccio fatica a parlarne con lo stesso trasporto, perché conosco bene uno che 50 anni fa fu sequestrato dalla banda, rischiando di morire per la crudeltà e l’imperizia dei rapitori. Constatare quante ferite siano ancora aperte nella sua famiglia a distanza di tanto tempo mi impedisce di provare troppa empatia per il bandito, anche adesso che è vecchio e stanco. Comunque, per la cronaca, Vallanzasca era nato al numero 162, dove i suoi genitori avevano un negozio...
Nel 1978, quado Olivieri scrive queste pagine, Marco Missiroli non era ancora neppure immaginato: nascerà in quel di Rimini tre anni più tardi. Ce ne vorranno altri 40 prima che anche lui, nel frattempo divenuto milanese a tutti gli effetti, metta in via Porpora un elevato carico emotivo, facendone la sede dell’amore clandestino della protagonista di Fedeltà: «Continuò verso i palazzi di Piazzale Loreto con gli orologi ai neon rossi, svoltò in via Porpora, fu il momento in cui si chiarì che stava andando da lui. Andare da lui, andare da lui, con questo fiato di arabica e di menta, le venne da rallentare non per la gamba, non per timore… Il citofono ronzava e c’era il traffico di via Porpora. Andrea schiacciò il pulsante per aprire».
Con il suo romanzo successivo, Avere tutto, Missiroli vince poi il Premio Bagutta. Sono certo che lo avrebbe apprezzato anche un vecchio presidente della giuria, grande milanese della seconda parte del secolo, molto legato a via Porpora, che lì era nato, e lì avrebbe vissuto tutta la sua lunga esistenza: Emilio Tadini. Non proprio in via Porpora, per la precisione, in una minuscola traversa, via Jommelli. Lì, al numero 24, stava la sede delle Grafiche Marucelli, tipografia di cui era proprietario suo padre, morto quando lui era ancora piccolo. In quell’edificio degli anni 20 – tra l’altro, uno dei primi milanesi in cemento armato – Tadini aveva stabilito abitazione e studio... Un indirizzo che hanno conosciuto bene i tanti artisti e intellettuali milanesi che lo frequentavano, e lui invitava con grande costanza. Ci si trovavano, per dire, Tullio Pericoli o Umberto Eco, Rosellina Archinto o Gillo Dorfles, che già allora era il più vecchio, ma che avrebbe seppellito praticamente tutti dall’alto della sua quasi marziana longevità...
A Tadini rimandano moltissimi ricordi della via Porpora. Ne trovo uno spettacolare sul web – opera, credo, da Gianni Biondillo, che nella scrittura gli dà del tu: «Giravi il quartiere in bicicletta. Certe volte la topografia a Milano fa la Storia. Lucio Fontana abitava in via Porpora, dietro casa tua. Inevitabile conoscersi, frequentarsi. Una volta nello studio di Fontana ammirasti una enorme tela ovale appena terminata. Uno dei suoi famosissimi Concetti spaziali. “Te piàs?” ti chiese Lucio. “Ciàpel sü!”. E tu: “Ma no, grazie, sono in bici…”».
Lo studio era in centro, ma Fontana abitava proprio in via Porpora non lontano da Piazzale Loreto, in una palazzina piuttosto anonima al numero 12. È stata la sua abitazione per un lungo periodo, i 19 anni dal 1950 al 1968, e fa piacere che Milano, spesso molto disattenta a questi aspetti, abbia invece ricordato il lungo soggiorno con una targa. Ma più che questa, la via Porpora che rievocava Tadini poteva essere legata anche ad episodi tragici, che lui vive da bambino durante la dittatura e la guerra. Uno è rievocato in un suo romanzo, La lunga notte.
«Per tutta via Porpora, che è abbastanza lunga, c’eravamo soltanto noi. Io, che mi ero fermato. E, sull’altro marciapiede, un giovane, con una ragazza appesa al braccio. Lui era in divisa delle SS italiane. Teneva il mitra impugnato a due mani. Aveva un’aria terrorizzata, feroce. (…) Andavano verso la periferia, verso Lambrate. La ragazza stava per piangere. Li avranno fatti a pezzi, probabilmente, prima ancora che arrivassero alla stazione».
Alla fine della guerra Tadini aveva 18 anni: il racconto potrebbe essere certamente una testimonianza vissuta in prima persona. Autobiografico o no, mi fa particolare piacere citarlo, anche perché “l’Emilio” oggi viene ricordato quasi soltanto come artista, e invece è stato anche romanziere di ottimo livello. E poeta, ma questo davvero non lo sa quasi nessuno: la potenza dell’arte visiva ha preso il sopravvento su tutto.