La Lettura, 7 aprile 2024
Perché De Chirico si fece nemico di Breton (una grande mostra in Giappone)
Giorgio de Chirico (1888-1978), «uno dei grandi maestri del XX secolo». Punto. È la definizione, tanto assertiva quanto efficace, scelta dal Tokyo Metropolitan Art Museum per annunciare e introdurre la mostra – la più importante mai realizzata in Giappone – dedicata al pittore italiano inventore della Metafisica, aperta dal 27 aprile al 29 agosto.
Un’antologica con oltre cento opere provenienti da tutto il mondo (unico quadro in arrivo dal Sol Levante, la Natura morta evangelica I, del 1916, da Osaka), la cui curatela è stata affidata a un italiano, Fabio Benzi, autore nel 2019 di una monografia (Giorgio de Chirico. La vita e l’opera, La nave di Teseo) che aveva radicalmente sgombrato il campo da quelli che lo stesso Benzi definisce «luoghi comuni e false letture». E lo aveva fatto grazie a molte novità, sia interpretative sia documentarie: inedite analisi e datazione di opere, lettura «capovolta» del (burrascoso) rapporto di de Chirico con il Surrealismo e il suo «padre padrone» André Breton, ma soprattutto un totale ribaltamento della spinosa questione dei falsi, «di cui – racconta Benzi – il primo e più antico responsabile fu proprio Breton».
«La rottura tra i due avvenne dopo il trasferimento di de Chirico a Parigi, alla fine del 1925, ma i motivi, complessi – spiega Benzi – sono da vedersi in un acquisto di un gruppo di quadri “non finiti”, rimasti nello studio parigino di de Chirico, e probabilmente fatti “terminare” senza troppi scrupoli da Breton». Dopo averlo idolatrato, de Chirico verrà definito dal «papa» surrealista un morto che copia sé stesso, e ogni occasione sarà in futuro buona per stroncare, con astio, il pictor optimus. «Con quel libro, ma anche con questa mostra, il cui saggio introduttivo in catalogo ne ripercorre l’assetto fondamentale, metto i puntini sulle i – sottolinea Benzi – con il compito di ristabilire la correttezza, di sfatare leggende, di propagandare una lezione corretta dell’opera del pittore. E quale migliore occasione per farlo di una mostra dal respiro internazionale, la prima completa in Giappone dedicata all’artista, preceduta solo da alcune iniziative a tema, su fasi specifiche?».
Qui invece le «fasi» ci sono tutte, e l’obiettivo dichiarato è quello di fornire un ritratto esaustivo del complesso cammino di de Chirico: «A chi consideri il vasto, settantennale percorso artistico dell’artista, una delle riflessioni che affiorano forse più insistenti, riguarda la stupefacente varietà di espressioni apparentemente diverse dei suoi momenti stilistici». Apparentemente, dunque. Carattere difficilissimo, personalità complessa e tormentata, de Chirico fu, parole del curatore, un «grande innovatore, originale, inimitabile, coerente e anticipatore». Prima inventore delle avanguardie a Parigi nei primissimi anni Dieci, poi, nonostante gli attacchi di molti dei suoi contemporanei, alfiere di un’autonomia intellettuale orgogliosa (e qualche volta rabbiosa).
«Per cercare di favorire la comprensione di un pubblico di una cultura diversa da quella occidentale – spiega Benzi – si è deciso, in accordo con il museo, di procedere per temi». La mostra è dunque suddivisa in sezioni: «Autoritratti e ritratti», «Prima della Metafisica», «Pittura Metafisica» – il periodo aureo rappresentato da ben dieci opere – «Le piazze d’Italia»,«I manichini», «Interni ferraresi», «I temi degli anni Venti», «Ritorno alla pittura. Il Barocco», «La pittura Neo-metafisica». Cui si aggiungono tre focus dedicati ai «Bagni misteriosi» – serie creata per illustrare nel 1934 un libro dell’amico Jean Cocteau, Mythologie, ispirata dalle memorie infantili dei bagni di Volos, città greca dove Giorgio nacque e trascorse l’infanzia – alla scultura e al rapporto tra l’artista e il teatro.
Organizzata in collaborazione con la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico – istituita nel 1986 con sede nella casa museo di piazza di Spagna a Roma, dove il pittore visse dal 1948 alla morte – la mostra si intitola Giorgio de Chirico. Metaphysical Journey, inevitabile omaggio all’inventore-demiurgo di una delle più grandi rivoluzioni della modernità artistica. Il percorso però, cronologicamente, inizia prima. Tra i più antichi quadri esposti c’è infatti il Ritratto del fratello, datato «Milano 1910», dipinto nella città in cui si sviluppò il suo periodo «böckliniano». Un omaggio all’amato e più giovane Andrea, che sceglierà il nome d’arte Alberto Savinio, realizzato prima del trasferimento a Firenze. L’architrave della finestra si apre su un mondo ellenico, mitico, abitato da un centauro – Chirone, personificazione dell’insegnamento ai giovani – costellato di altari e templi.
Ascendenze nicciane – la conoscenza sempre più approfondita del filosofo sarà una costante del suo cammino – fascinazione e incantesimi, enigmi e sogni si ritrovano in alcuni dei prestiti più significativi: come Il vaticinatore (1914-15), in arrivo dal Moma di New York, con l’immagine del manichino contraltare solitario dell’uomo-macchina celebrato dalle avanguardie, osservatore disincantato del mondo (negli anni in cui scoppia la guerra); come le Muse metafisiche del 1918 (Collezione Cerruti, Castello di Rivoli) o come l’Autoritratto del 1922 (Toledo Museum of Art, Ohio, Usa), uno dei capolavori dell’epoca di «Valori Plastici», rivista intorno a cui si definì l’ideale del «Ritorno all’ordine»: un quadro in cui il pittore si colloca di fronte alla sua immagine idealizzata, un busto antico, a rappresentare il dialogo profondo con la storia, ma fuori dal tempo quotidiano.