La Lettura, 7 aprile 2024
La demografia nel mondo: l’invecchiamento cinese, l’esplosione africana
La geopolitica comprende molti fattori, tra i quali la demografia. Si tratta di un tema su cui in Italia ha pesato l’eredità del fascismo con il suo slogan «il numero è forza», come ricorda il demografo Massimo Livi Bacci: «Quando mi dedicai a questi studi venivo visto da alcuni con una certa diffidenza». Ma una considerazione attenta degli equilibri mondiali non può trascurare l’argomento, come il professore emerito dell’Università di Firenze dimostra nel suo libro La geodemografia (il Mulino).
In che misura l’influenza di uno Stato dipende dalla demografia?
«A parità di sviluppo economico, un Paese più popoloso può mettere in campo risorse molto maggiori. Lo vediamo nella guerra tra Russia e Ucraina, con la prima avvantaggiata dalle sue capacità superiori in fatto di mobilitazione militare. In modo analogo, l’indebolimento del ruolo dell’Europa si deve anche alla riduzione del suo peso demografico. Agli inizi del Novecento contava il 25 per cento della popolazione mondiale, oggi è intorno al 9 per cento e nel 2050 scenderà al 7. Anche Cina e Giappone sperimentano situazioni simili. Per non parlare della Corea del Sud, dove si è scesi sotto la media di un figlio per donna».
Stanno meglio gli Stati Uniti?
«Sono un Paese ancora in espansione, anche per la loro capacità di attrarre immigrati. E questo può favorirli nella competizione mondiale con la Cina, che registra invece un rapidissimo invecchiamento della popolazione, con effetti deprimenti sulla crescita economica».
Dobbiamo aspettarci un’ascesa dell’India sullo scenario mondiale, dato che la sua popolazione aumenta?
«New Delhi negli ultimi anni ha raggiunto un ritmo di sviluppo economico elevato. Ma non bisogna sottovalutare le tensioni interne anche di natura demografica, perché la popolazione musulmana ha un tasso di riproduttività più elevato rispetto agli indù, che costituiscono la base del presidente nazionalista Narendra Modi. Per giunta l’aumento della presenza islamica è più accentuato nelle zone di confine dell’India, con i connessi rischi di destabilizzazione».
Squilibri del genere sono ancora più stridenti a livello globale.
«Quasi tutti i Paesi del mondo seguono una traiettoria per cui si passa da una condizione di mortalità e natalità molto alte a una dinamica contrassegnata da un’elevata speranza di vita e da un forte calo delle nascite. Ma ci sono notevoli differenze nella velocità con cui si verifica la transizione. Alcune parti del mondo sono partite presto, altre si muovono in ritardo. Ci sono Paesi che deperiscono e altri che esplodono. Tra 25 anni la popolazione dell’Africa subsahariana raddoppierà, mentre quella europea diminuirà di oltre il 10 per cento».
C’è chi teme un’immigrazione africana incontrollabile.
«Si tratta di una minaccia esagerata, senza dubbio anche per i pregiudizi legati al colore della pelle. Quello che veramente preoccupa è che l’Europa diventi “nera”. Al momento però l’immigrazione dall’Africa subsahariana nel nostro continente ha una portata relativamente modesta e gli spostamenti di popolazione, dovuti anche ai cambiamenti climatici, sono soprattutto interni all’Africa stessa. Dissento anche dal catastrofismo ambientale che prospetta un esodo di centinaia di milioni di africani. Non c’è un terremoto in arrivo: vedo semmai un rischio di impoverimento che si può contrastare attraverso un adattamento alle nuove condizioni climatiche, con l’aiuto delle tecnologie più avanzate».
Però i flussi migratori crescono. E lei nel libro nota che possono essere usati come «un’arma impropria».
«Certo. Si pensi alla mossa compiuta dalla Bielorussia facendo affluire masse di rifugiati al confine con la Polonia. O alla posizione del leader turco Recep Tayyip Erdogan, che ha preteso dall’Europa ricchi finanziamenti per trattenere sul suo territorio i profughi siriani. Lo stesso avviene con gli Stati del Nord Africa, che sovvenzioniamo perché blocchino i migranti. Stiamo mettendo le chiavi dei nostri confini nelle mani di Paesi terzi: politica alla lunga pericolosa».
Sarebbe meglio organizzare un’accoglienza più generosa?
«L’allarme diffuso per l’immigrazione fa parte della schizofrenia dei nostri tempi. Tutti sanno che le famiglie e le imprese hanno la necessità di attrarre forza lavoro dall’estero. Ciò nonostante, alcune forze politiche alimentano la paura dell’immigrazione per raccogliere consensi. Poi però lo stesso governo Meloni ha preso atto della realtà e ha approvato un decreto flussi che prevede 150 mila ingressi all’anno, che sono comunque pochi, nel prossimo triennio».
Bisognerebbe cambiare approccio?
«Non nego la necessità di controllare l’immigrazione irregolare. Ma credo che soprattutto dovremmo investire nell’integrazione degli stranieri. I migranti in prospettiva rendono, ma al tempo stesso costano: bisogna fornire loro un alloggio, dei servizi decenti, combattere l’abbandono scolastico dei loro figli».
Lei è a favore dello «ius soli»?
«La concessione automatica della cittadinanza a chiunque nasca sul territorio dello Stato è un istituto tipico dei Paesi vuoti, che vogliono attrarre popolazione. Oggi è stato fortemente limitato ovunque. Credo però nell’utilità dello ius scholae. Ai ragazzini di origine straniera che completano un certo ciclo di studi si dovrebbe assegnare la cittadinanza senza problemi».
Il governo attuale punta piuttosto a un incremento della natalità.
«L’esperienza dimostra che è molto difficile indurre le persone a procreare. La Francia e i Paesi scandinavi hanno adottato misure per incentivare le nascite il cui effetto si è rivelato temporaneo: negli ultimi anni hanno registrato un nuovo calo della natalità».
Ma allora come si può contrastare l’invecchiamento della popolazione?
«A mio avviso la soluzione sta nel valorizzare gli anziani, non tanto come consumatori da cui spremere risorse con la cosiddetta silver economy, quanto piuttosto come soggetti che possono mantenersi attivi e in buona salute per un lasso di tempo più lungo, in modo da costare di meno alla società e continuare a contribuire al suo sviluppo».