La Lettura, 7 aprile 2024
La crisi demografica europea
Chissà, una volta si sarebbe pensato, e detto, che una situazione demografica qual è quella dell’Unione Europea oggi o non fosse possibile o, se pure fosse stata possibile, sarebbe andata a gambe all’aria in men che non si dica. Ma rispetto a, mettiamo pure, cinquant’anni fa la demografia europea ha cambiato volto, le relative dinamiche sono letteralmente saltate e, in virtù del salto triplo carpiato nel quale si sono cimentate, sono miracolisticamente approdate a equilibri sottili come la tela del ragno, ma che intanto tengono. Poi vedremo. Poi quando? Anche questo è da vedere: di certo si tratta di un tema che non si può ignorare, anche in vista del voto per il Parlamento europeo del prossimo giugno.
Detto in due parole: nell’ultima decina di anni il numero medio di figli per donna nell’Unione Europea, nonostante intense politiche nataliste, nonostante flussi migratori a più alta fecondità approdati sulle sue sponde e nel suo ventre, è passato da 1,54 a 1,46: da un valore molto basso a un valore ultra basso e lontano anni luce dalla soglia di sostituzione dei 2 figli in media per donna. Nel frattempo, ed è qui il punto miracolistico, la popolazione non ha fatto che aumentare, passando da 441,3 a 448,8 milioni. Un aumento di sette milioni e mezzo di abitanti in un continente (non proprio un continente, ma quasi) in cui oltre al numero medio di figli per donna è diminuita ancora di più la natalità, scesa da 9,7 a 8,7 nascite annue ogni mille abitanti: un valore in realtà più ancora da sparizione che da sopravvivenza. Cosicché non si può non convenire: trattasi di risultato degno di un prestigiatore d’altri tempi, di quelli che tiravano fuori il coniglio dal cilindro sotto gli sguardi esterrefatti di spettatori che si chiedevano dove stesse il trucco.
Il fatto è che l’Unione Europea nel suo complesso, pur se con grandi differenze al suo interno delle quali diremo, è forse l’area capace di esercitare la maggiore forza attrattiva verso le altre zone e regioni del mondo, a cominciare dagli stessi Paesi europei situati al di là dei suoi confini, molti dei quali, del resto, a entrare in questi confini ambiscono. Il drammatico deflusso di abitanti dall’Ucraina a seguito della guerra d’invasione di Vladimir Putin falsa per così dire il dato del 2022, ma non certo la tendenza – che, anzi, si rafforza quanto più la dinamica demografica naturale dell’Ue, caratterizzata dallo scompenso tra nascite e morti, sempre più caparbiamente volge al peggio.
Dieci anni fa tra nati e morti nell’Ue la differenza era di circa 100 mila morti più dei nati, quasi un pareggio; oggi quella differenza è salita a 1,3 milioni perché nel 2022, a fronte di quasi 5,2 milioni di morti, le nascite sono state le più basse di sempre: neppure 3,9 milioni. E siccome nell’ultimo decennio le morti sono cresciute di oltre 700 mila unità, mentre le nascite sono scese nel frattempo di quasi mezzo milione, ecco il risultato: uno sbilanciamento nell’anno 2022 a sfavore delle nascite di circa 1,3 milioni. Una situazione che, ove non ci fossero i movimenti migratori, sprofonderebbe l’Unione Europea in una spirale di caduta sempre più accelerata. E invece.
Invece, come si diceva, l’Unione Europea «tira». La sua capacità di attrazione ha significato negli ultimi dieci anni 14,5 milioni di immigrati più degli emigrati (molto spesso immigrati che tornano nei Paesi di origine dopo permanenze più o meno lunghe e fortunate nei Paesi dell’Unione Europea), alla media di un milione e mezzo di persone in più all’anno che entrano a far parte della sua popolazione. Una media che possiamo tenere per buona giacché, mentre è tirata in su dall’immigrazione straordinaria dall’Ucraina, è tirata in giù dagli immigrati in meno negli anni del Covid. Cosicché verrebbe da dire: poco importa di nascite che non ci sono se da fuori dell’Unione Europea si può contare su una media annua di un milione e mezzo di persone che vengono non solo a colmare quel che essa perde tra nascite (basse) e morti (alte), ma altresì a determinare un aumento degli abitanti che mai sarebbe da pronosticare visto che le nascite sono a un minimo storico.
Ma è proprio questo il coniglio, no? Quel che non ti aspetteresti: di crescere, addirittura, in regime di morti che sopravanzano sempre più largamente le nascite. Coniglio demografico che si presta a ben più di una considerazione.
Prima considerazione. Ma come, tutti, a cominciare dai nostri studenti universitari, a denigrare l’Occidente colpevole di questo e di quello, colonialista e guerrafondaio, va da sé, e poi tutti che vogliono venirci? E nessuno che si sbracci per raggiungere Putin o risalire le vie della seta fino a Pechino. No, tutti qui, tutti tra Unione Europea e America settentrionale, che ambiscono a venire e a vivere?
Seconda considerazione. Attenzione, però, perché a esercitare un’attrazione forte di flussi migratori sono tutti i Paesi dell’Ue meno quelli che stanno a Est. E questo rafforza la prima considerazione: più si è Occidente e più si attraggono migranti dagli altri Paesi.
Ma, ed eccoci alla terza considerazione, assai critica di quel che potrà succedere. I flussi migratori stanno sì evitando perdite di popolazione consistenti nelle regioni dell’Ue verso le quali si dirigono, ma non stanno evitando che gli indicatori fondamentali della fecondità (numero medio di figli per donna) e della natalità (numero di nati annui ogni mille abitanti), così come le stesse nascite, vadano degradando anno dopo anno. E se questa discesa, ch’è insieme di quantità (le nascite) e di qualità (la fecondità), non si ferma, non ci sarà, prima o poi, medicina che possa bloccarla. Ne sa qualcosa l’Italia, che sta toccando i più bassi valori di sempre quanto a nascite e fecondità pur se è in forte risalita, dopo gli anni del Covid, il flusso dei migranti entro i nostri confini. Quello stesso flusso che da un paio di anni, grazie alla sua crescita, ha messo un fermo alla discesa degli abitanti del nostro Paese, che andrebbe altrimenti a capofitto.
Insomma, per continuare l’analogia, il coniglio dal cilindro è uscito – vero – ma non potrà restare per molto tempo appeso per le orecchie nelle mani del prestigiatore senza che quest’ultimo dia segni inequivocabili di che cosa intende farne e di che cosa è capace di farne.
Ed eccoci così alla quarta considerazione. Gli stranieri in entrata massiccia nei due terzi almeno dei Paesi dell’Unione Europea stanno incidendo sempre meno sulla fecondità, e con essa sulle nascite, di questi Paesi. Cosicché c’è un deficit di vitalità riproduttiva che continua tranquillamente ad aggravarsi nonostante politiche assai grintose, in molti di questi Paesi, di sostegno alla genitorialità e di conciliazione famiglia-lavoro. Con l’eccezione della Germania, che ha per così dire imbarcato cifre da capogiro di immigrati per aumentare, alla fine riuscendovi, la fecondità e le nascite, tutti i Paesi dell’Ue insieme più ricchi e occidentali, dalla Finlandia alla Svezia, dalla Danimarca all’Austria, dalla Francia al Lussemburgo e dall’Italia alla Spagna, hanno visto i loro indicatori di fecondità e natalità peggiorare, nonostante il forte apporto migratorio. Perfino il numero medio di figli delle donne francesi è sceso sotto il valore di 1,8: valore che è a un tempo il più alto tra i Paesi dell’Unione Europea e lontano come mai è stato dalla soglia di sostituzione dei due figli. La Finlandia, che le classifiche mondiali, in verità più astruse che altro, ma tant’è, collocano addirittura al primo posto nella graduatoria dei Paesi più felici, negli ultimi dieci anni è riuscita a passare da 1,83 a 1,32 figli in media per donna: perdita catastrofica di oltre mezzo figlio per donna che, se continuasse, spianerebbe pressoché a zero la riproduzione finnica in un quarto di secolo. Bel modo di dimostrare di essere felici, viene da chiosare a mo’ di epitaffio sulla banalità, per non dire di peggio, di certe statistiche.
E così si vede bene come al prestigiatore che ha tirato fuori il coniglio manchi il più e il meglio: sapere che farne. In verità, se il deficit di vitalità riproduttiva continua tranquillamente, come ci siamo espressi, lui non ha di che essere così tranquillo. Un dato per tutti: negli ultimi dieci anni gli abitanti dell’Unione Europea di 25-49 anni, la classe d’età riproduttiva per eccellenza, sono passati a rappresentare dal 35,3 al 32,2 per cento della popolazione: ovvero, in altre parole, hanno perso un decimo della loro consistenza. Ma allora anche soltanto per tenere il numero delle nascite al livello odierno, il più basso di sempre, si ripete, il numero medio di figli per donna dovrebbe crescere a sua volta di un decimo, per compensare quella perdita. Mentre succede, come proprio gli ultimi dieci anni dimostrano, esattamente il contrario.
Insomma, attenzione: questo equilibrio potrebbe non durare a lungo.
E che si corra questo rischio lo dimostra la contraddizione somma che si annida nell’Unione Europea, che è questa: dei 10 Paesi sui 27 dell’Unione Europea nei quali la fecondità è aumentata ben 7 sono dell’Europa dell’Est, ma di questi 5 perdono comunque abitanti (Bulgaria, Croazia, Lettonia, Romania e Ungheria), mentre tra quanti ne guadagnano ci sono tutti o quasi i Paesi dell’Europa del Nord e continentale, dove la fecondità si è ridotta anche in misura consistente.
La dissociazione è pressoché completa e dimostra che mentre nei Paesi dell’Est dell’Ue, dove la fecondità era precipitata, si stanno facendo degli sforzi per recuperare parte almeno del terreno perduto, negli altri si è fatta strada piuttosto la convinzione che basti il movimento migratorio a riaggiustare conti che, come si è visto, sembrano quagliare, dal momento che la popolazione aumenta o, come in Italia, arretra di poco pur di fronte a un numero di nascite sceso nel 2023 sotto il livello da allarme ultra rosso delle 380 mila.
Ma i conti che vanno fatti sono ormai di ordine ben più generale, sono quelli col senso perduto degli europei per i figli. Perché è questo ciò che mette in luce una popolazione europea dove di 27 Paesi non uno sfiora neppure alla lontana i due figli in media per donna, dove in 17 su 27 la fecondità continua a scendere nonostante i livelli minimi toccati, dove in appena 2 su 27 (Francia e Romania) i figli in media per donna superano gli 1,7, valore già in sé critico; dove le nascite sono diminuite di quasi mezzo milione negli ultimi dieci anni e la natalità è scesa ben sotto la soglia delle 9 nascite annue per mille abitanti (8,7), come non sarebbe stato pronosticabile anche soltanto pochi anni orsono.
Inutile aggiungere che ci vuole ben altro che un prestigiatore per far quadrare conti di questa fatta, che arrivano spediti dal senso perduto degli europei per i figli. Conti di fronte ai quali al coniglio viene la tentazione di rientrare nel cilindro.