La Lettura, 8 aprile 2024
L’uso politico della lettera K
L’uso politico della lettera kappa, per connotare qualcuno come oppressore o oltranzista, risale alla contestazione giovanile del Sessantotto ed entrò presto nell’immaginario collettivo. In Italia per esempio fu intitolato L’Amerikano il film del regista greco-francese Costa-Gavras État de siège («Stato d’assedio») del 1972. Interpretato da Yves Montand, era una forte denuncia delle ingerenze degli Usa a sostegno delle dittature di destra in America Latina.
Più tardi i militanti del movimento giovanile del Settantasette presero l’abitudine di scrivere «Kossiga» (magari anche con le due esse in foma runica, come nello stemma delle SS naziste) il nome dell’allora ministro dell’Interno, Francesco Cossiga (1928-2010), futuro Capo dello Stato, considerato massimo responsabile della repressione contro i ragazzi in rivolta.
Ben diversa l’accezione con cui Alberto Ronchey, sul «Corriere della Sera» del 30 marzo 1979, introdusse il concetto politologico di «fattore K». Qui la kappa sta per Kommunist o Kommunizm. La tesi dell’editorialista consisteva nel segnalare che una forte presenza comunista in un Paese occidentale diventava un ostacolo quasi insuperabile al realizzarsi dell’alternanza di governo. Era una fase in cui il Pci, dopo la conclusione deludente dell’esperienza di solidarietà nazionale con la Dc tra il 1976 e il 1978, era da poco tornato all’opposizione e si apprestava a celebrare il XV Congresso, sempre sotto la guida di Enrico Berlinguer.
Ronchey (1926-2010) intendeva esortare quel partito a una più profonda revisione ideologica che lo facesse uscire dall’ambiguità in cui era rimasto impigliato nella sua faticosa navigazione verso un approdo occidentale. Il che significava dare addio alla visione tradizionale del comunismo e, quindi, superare il «fattore K». (a. car.)