Corriere della Sera, 8 aprile 2024
L’aviaria ha letteralmente preso il volo
Ai virus influenzali si sa, piace ogni tanto fare un salto di specie: sono infatti conseguenza di uno spillover le pandemie influenzali di questo secolo – l’influenza cosiddetta suina del 2009, oltre a quelle del secolo scorso: il virus della Spagnola (1917), il virus dell’Asiatica (’57) ed il virus Hong Kong (’68).
Esiste una categoria di virus influenzali, quelli aviari ad alta patogenicità che fino alla fine del secolo scorso provocavano una infezione che colpiva in maniera sporadica (cioè con pochissimi episodi) i volatili domestici. In questi ultimi, si comportava come un virus killer ovvero provocante il 100% mortalità in qualche giorno. All’alba del terzo millennio – anzi un po’ prima nel 1997 – il virus dell’influenza aviaria H5N1 fa il primo salto di specie: infetta 18 persone, facendo 6 vittime.
Questo virus H5N1 che circola a cavallo tra la fine del millennio scorso e l’inizio degli anni 2000 può essere considerato il vero «millennium bug», perché da infezione sporadica diviene infezione epidemica, e poi endemica. Il primo affaccio di virus H5N1 all’infezione di esseri umani si è poi rivelata essere solo l’inizio di un percorso evolutivo del tutto al di fuori dell’ordinario e di ciò che era prevedibile. I discendenti del virus H5N1 del ’97 sono stati capaci di provocare la morte o l’abbattimento di 450 milioni di volatili fra il 2022 ed il 2023 ma questo ad oggi sembra è il male minore. Attraverso un inatteso e sorprendente passaggio negli uccelli selvatici di tutto il mondo, ha letteralmente preso il volo e si è diffuso in tutto il globo. Durante questa espansione esplosiva, questo strabiliante virus ha iniziato a dare il meglio di sé attraverso spillover a raffica. Ha infettato gatti, volpi, visoni, orsi polari, mammiferi marini come i leoni di mare e le foche, oltre a una lunghissima serie di specie di uccelli selvatici, dai pellicani alle pulcinelle di mare ai fenicotteri. Un mesetto fa si era verificato un episodio persino nelle capre, ma mai si era verificato un «caso» nelle mucche.
Siamo all’inizio
La sua storia darà filo da torcere alla sanità pubblica, perché davvero sorprendente ed inattesa anche per chi studia da decenni
La notizia è di qualche giorno fa. Il virus dell’influenza aviaria è stato riscontrato nel latte di mucche allevate per la produzione di latte ed è considerato il responsabile di una recente malattia misteriosa di questi animali che ad oggi sta colpendo diversi allevamenti in almeno 5 Stati Usa. Ma c’è dell’altro: un operatore agricolo che era stato a contatto con gli animali infetti si è a sua volta infettato con il virus, presentando una congiuntivite acuta.
Le indagini di laboratorio chiariranno presto quanti allevamenti sono colpiti, e quanto è diffusa l’infezione sul territorio americano: partiranno quindi programmi di sorveglianza anche negli allevamenti europei ed in tutti gli altri Paesi nei quali l’infezione è presente. Nel frattempo gli operatori che si avvicinano o entrano in contatto con i bovini dovranno proteggersi perché il rischio di infezione umana c’è. E tanto più il virus circola negli animali tanto maggiore sarà il rischio di infezione nelle persone.
Siamo ancora agli inizi di una storia che darà filo da torcere alla sanità pubblica, perché davvero sorprendente ed inattesa anche per chi studia questa infezione da decenni. La verità è che al di là dell’infezione negli animali, che bisognerà gestire con solerzia, questo virus ha una ben nota capacità di riassortirsi (ovvero di ibridarsi) con altri virus influenzali, e generare una progenie virale con caratteristiche a noi sconosciute, che anche soltanto in quanto tali, devono essere affrontate in maniera attenta, approfondita e lungimirante.