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 2024  aprile 08 Lunedì calendario

De Giovanni racconta Camilleri


Incontrai le figlie di Andrea Camilleri e mi dissero: papà sarebbe felice di conoscerti. Lo scrittore siciliano, già quasi cieco, mi insegnò la bellezza di accarezzare un volto. Era l’uomo meno egocentrico che abbia mai conosciuto.
C’ è qualcosa di peculiare nel mondo della scrittura nera, che caratterizza la branca rispetto al resto della letteratura italiana, ed è una specie di sindrome di Peter Pan che serpeggia tra gli autori ogni volta che si ritrovano insieme.
Non cambia niente la solennità dell’occasione, la rilevanza del festival internazionale o l’importanza del ricevimento al quale siamo invitati: metteteci insieme, e avrete una classe di liceo in gita che non vede l’ora di fare scherzi e di divertirsi. Tutto, purché nessuno si sogni di prendersi sul serio. Soprattutto, a ben guardare noterete l’assenza di rivalità. Eppure scriviamo degli stessi argomenti, delle stesse paure e delle stesse perversioni. Dovremmo essere in aperta lotta fra di noi, anche perché le vendite e le classifiche ci ospitano gentilmente nei piani alti e i grandi premi letterari e le riviste di raffinata critica ci snobbano con livida evidenza. Allora per quale motivo non solo non ci odiamo, ma siamo per la massima parte amici e ci rispettiamo o proviamo addirittura affetto reciproco?
Il motivo esiste, ha un nome e cognome e io l’ho incontrato personalmente. Ho avuto anzi la fortuna di essere suo amico, e di frequentare la sua casa.
Una bella sorpresaUna decina di anni fa mi ritrovai a presentare un romanzo a Roma in occasione di un bellissimo festival con due grandi scrittori, miei amici, e un famoso, malcapitato giornalista che faceva da moderatore. Definisco malcapitato il giornalista perché quei due criminali di Alessandro Robecchi e Antonio Manzini, col conforto del sottoscritto (confesso, esibii il peggio di me nell’occasione), diedero luogo a uno dei dibattiti più surreali e divertenti che io abbia mai avuto la ventura di ascoltare. Un sacco di risate, il folto pubblico in visibilio e il moderatore che ebbe l’intelligenza e la sensibilità di cedere presto le armi, e di lasciarci fare e dire quello che ci veniva sul momento.
Al termine dell’incontro, alla fine della fila di spettatori che venivano a farsi dedicare una copia, mi ritrovo due belle signore che mi fanno immeritati complimenti e mi dicono che quando l’editore regala loro i miei romanzi c’è una simpatica gara a chi li legge per prima. Io chiedo, conoscendo la scarsa abitudine degli editori a questo tipo di elargizioni domiciliari gratuite: e come mai vi mandano i libri a casa? E loro rispondono, come fosse la cosa più normale del mondo: sa, noi siamo le figlie di Andrea Camilleri.
Ora dovrei spiegarvi l’effetto per un lettore appassionato e innamorato del corpus integrale di un autore il trovarsi di fronte alle sue due figlie. Prima di tutto scopri che in effetti l’uomo esiste realmente, in forma fisica, come spiegato con chiarezza dalla epigonica presenza della sua progenie. Poi pensi che i tuoi romanzi, assolutamente non all’altezza, arrivano in quella casa e magari transitano per quelle mani. Infine, che quei due splendidi sorrisi rappresentano un modo per mandare un deferente, umile saluto a quel Gigante.
In via AsiagoColsi al volo l’occasione, e mi sentii candidamente rispondere che sarebbe stato per loro un piacere, e certamente anche per il papà, se fossi passato per casa a salutarlo.
Glissiamo sulle reazioni psicosomatiche (il vuoto allo stomaco, il tremore delle mani, il sudore sulla fronte) che ebbi, con grande gusto di quei due disgraziati di Manzini e Robecchi che, maledetti, erano già frequentatori abituali di casa Camilleri. A me stava prendendo un colpo. Battei il ferro caldo e rimandai il Frecciarossa che mi aspettava, per fiondarmi in via Asiago.
Cominciò così il mio rapporto di amicizia con Andrea.
Lo so, dovrei parlarvi della grandezza di un autore che è l’italiano che ha venduto più copie nel mondo dopo un certo Dante Alighieri, che pure è partito con qualche anno di vantaggio. Dovrei parlarvi di quello che per me, e spero non solo per me, è nettamente il più grande narratore che ha operato in questo Paese negli ultimi cinquant’anni.
I gialli sui comodiniDovrei ribadire che è stato lui a portare il romanzo criminale italiano dalle edicole alle librerie, e poi sui comodini, richiamando alla lettura centinaia di migliaia di connazionali che avevano abbandonato questa pratica da decenni o che forse non avevano mai letto nulla. Dovrei indicare in lui l’autore che ha inaugurato e indicato la strada all’utilizzo, da parte della televisione generalista, della letteratura contemporanea per produrre fiction di universale, amplissimo e consolidato successo.
L’ironia e gli aneddotiDovrei discutere dell’importanza dell’impegno civile degli intellettuali, e di quanto manchi l’autorevolezza della sua voce forte e tagliente anche se sempre pacata.
Dovrei spiegare che il suo modo di raccontare il territorio, seguito da tutti noi dopo di lui, ha creato quel movimento per il quale, come vi dicevo, non c’è alcuna rivalità perché ognuno ha il suo pezzo di Italia da descrivere, che non somiglia a nessun altro.
Ma se dicessi tutto questo, poco apporterei di nuovo alla conoscenza che tutti avete di Camilleri e di quello che, se vi viene voglia di approfondire, troverete in centinaia di siti web. Quello che potrei invece dirvi è della persona che ho incontrato, con cui ho parlato e mangiato, e che soprattutto ho avuto la grande fortuna di ascoltare.
Avrete capito che ho conosciuto Andrea quando era già prossimo ai novant’anni. Nella maggioranza dei casi sarebbe stato un grave limite, per l’annebbiamento che colpisce la quasi totalità delle persone dopo una certa età. Nella fattispecie è stata invece una immensa fortuna, perché alla sterminata cultura, all’enorme e variegatissima aneddotica e all’ingente quantitativo di ricordi facevano supporto un’intelligenza limpidissima e affilata, un’ironia così acuta e tutta siciliana da aver bisogno di massima concentrazione per essere gustata fino in fondo e una sensibilità e un’attenzione all’interlocutore come mai mi è capitato di incontrare (e ho i miei anni anch’io, sia chiaro).
Una vita da argonautaNon parlava mai di sé come scrittore, come autore, come operatore culturale. Non prendeva mai a oggetto dei racconti la sua indiscutibile importanza, e il valore di quello che aveva fatto, come sarebbe stato facile e come forse io, che ero un bulimico fruitore delle sue storie, avrei preferito.
Parlava di sé come argonauta, come testimone. Come passeggero di una nave che aveva percorso molto mare, e delle tante enormi persone che aveva incontrato. Simenon, Eduardo, García Márquez avevano in quelle meravigliose storie elargite con immensa generosità a tavola con Rosetta, Betta, Andreina, Mariolina, Guido, Arianna e Paola pari rilevanza di compagni di scuola di Porto Empedocle, impresari teatrali milanesi e improbabili presentatori di romanzi incontrati in giro per il mondo. Era l’uomo dall’egocentrismo più decentrato che abbia mai conosciuto.
Potrei dirvi di un tono di voce calmo, arrotondato e sereno: il contrario dei racconti costruiti con la variazione dei toni tesa a colpire gli ascoltatori. Eppure era impossibile distogliere l’attenzione, impossibile distrarsi, impossibile perdersi dietro alle immagini che pure evocava a decine. Si restava catturati, in balia di quelle onde calme e oscure come il mare estivo di notte, di quell’accento primordiale, di tutto quel passato che era identico al presente e al futuro. Potrei dirvi di quella volta che mi spiegò che essere ciechi è una fortuna, perché il ricordo delle cose è sempre più bello delle cose stesse; ma che l’unica cosa di cui aveva nostalgia era la lettura, perché se accarezzare il volto della moglie, delle figlie e dei nipoti aveva maggiore bellezza che vederli, una pagina ascoltata non sarà mai come quella percorsa in autonomia.
Potrei dirvi di quando mi disse che da grande, lui che era un ragazzo, avrebbe voluto solo sedersi sul bordo della fontana del suo paese e raccontare una storia, e poi girare con la coppola per raccogliere il giusto prezzo, fumare l’ennesima sigaretta, e poi raccontare un’altra storia. Che è quello che ogni raccontatore di storie deve fare, né più né meno.
Come faceva lui, il più grande di tutti, non abbastanza celebrato, non abbastanza ricordato. Che a me manca tanto, e ogni giorno di più.