Corriere della Sera, 8 aprile 2024
L’Italia che rinuncia a formare i migranti
In Italia, dati di Unioncamere, il 70% degli operai ricercati dalle imprese non si trova. I richiedenti asilo (80 mila ogni anno) e i migranti sono una risorsa, ma l’Italia rinuncia a formarli.
Qualcuno ricorda il Cara di Mineo? Originariamente si chiamava «Residence degli Aranci», a 50 km da Catania, con 404 abitazioni di 160 metri quadrati ciascuna, dotate di 3-4 camere da letto e fino a 3 bagni. Era stato costruito dalla società Pizzarotti, una delle principali imprese di settore italiane, per le famiglie dei marines di stanza alla base americana di Sigonella. Nel 2011, scaduto il contratto di affitto, l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il ministro dell’Interno Roberto Maroni, lo hanno ribattezzato «Residence della solidarietà», per dare una collocazione alle migliaia di migranti accalcati sull’isola di Lampedusa. Così il 2 marzo 2011 viene requisito dal prefetto Giuseppe Caruso, trasformato in un centro per richiedenti asilo, e la gestione affidata al consorzio Sol. Calatino Terra d’Accoglienza, ente pubblico formato da un raggruppamento di comuni del comprensorio.
È stato un disastro. Le 34 etnie presenti, mischiate in un unico luogo, hanno innescato situazioni drammatiche di conflittualità. Contro una capienza del centro di 3.000 persone sono stati ammassati fino a 4.000 migranti, con punte di 5.000, e tempi di attesa alle loro richieste d’asilo che sforavano i 3 anni. Una gestione funzionale alle infiltrazioni criminali che reclutavano nel giro della prostituzione le donne appena arrivate, e fornivano abbondante manovalanza in nero per la raccolta delle arance. Si sono aperti processi per turbativa d’asta e corruzione, il centro commissariato e poi definitivamente chiuso nel 2019 da Matteo Salvini, allora ministro dell’Interno.
L’imprenditore scende in campo
Su Lampedusa i migranti continuano a sbarcare, mentre le navi delle Ong vengono dirottate lungo i porti italiani. Né pare risolutivo l’accordo di parcheggiare 3.000 migranti nei centri albanesi (vedi Dataroom del 25 marzo). Lo scorso novembre il presidente della società Paolo Pizzarotti, proprietaria del «Residence degli Aranci», si rivolge alla Presidenza del Consiglio, e ai ministri dei Trasporti, Interno, Difesa ed Economia: «Se è di vostro interesse riaprire il centro di Mineo la nostra società è disponibile a gestirlo in prima persona, con all’interno laboratori artigiani, industriali e agricoli: 100 corsi complessivi della durata di 100 ore a corso per formare ogni anno 2.500 richiedenti asilo». Il progetto è dettagliato e indica i costi di affitto e gestione: 23 milioni l’anno. Più l’impegno ad assumere nei propri cantieri 400 migranti per il 2024, 400 per il 2025, e altri nell’indotto.
A oggi la proposta di Pizzarotti non ha avuto alcuna risposta.
La manodopera che non si trova
Dai dati presentati da Unioncamere, solo tra febbraio e aprile 2024 le nostre imprese hanno bisogno di 24.450 fonditori, saldatori, lattonieri e carpentieri: il 70% non si trova; 29.190 meccanici artigianali, montatori, riparatori e manutentori: difficoltà a trovarne il 69,8%; come il 62,9% dei 18.090 operai specializzati richiesti e il 62,3% dei 66.320 autisti necessari. Nella ristorazione servono 178.460 camerieri e baristi: il 56,8% manca. E il lungo elenco continua con il personale nei servizi di pulizia, costruzioni, manifattura, commessi, ecc.
Utilizzo dei richiedenti asilo
Eppure ogni anno abbiamo 80 mila richiedenti asilo. Si potrebbe attingere lì, visto che dopo 2 mesi dalla presentazione della richiesta per la protezione internazionale per legge possono lavorare. Il problema è che vanno formati, e in Italia un programma di formazione-lavoro è possibile solo per chi ha ottenuto il diritto d’asilo, e l’iter burocratico può durare anche 2 anni. Durante questo limbo i migranti vengono reclutati nel mercato del lavoro nero, o dalla criminalità per finire nel giro della prostituzione e dello spaccio.
La legge non ha mai previsto che nei centri di prima accoglienza ci fossero programmi per l’inserimento lavorativo. E con il decreto-legge Cutro del marzo 2023 vengono eliminati anche i corsi di lingua italiana, che per le imprese è un requisito fondamentale, e perfino i servizi di accompagnamento e iscrizione agli uffici del lavoro.
Le iniziative dei privati
Per lo Stato il richiedente asilo è più un problema che una risorsa utilizzabile, e quindi restano solo le iniziative isolate. Le Agenzie per il Lavoro associate ad Assolavoro, e finanziate dalle imprese, offrono la possibilità di seguire corsi di lingua italiana e di formazione professionale per operatori socioassistenziali, saldatori e carpentieri. I partecipanti possono chiedere il rimborso per le spese di vitto e alloggio e hanno diritto a ricevere 3,50 euro per ogni ora di formazione. Al termine del corso ricevono un’indennità una tantum di 1.000 euro. Tra il 2022 e il 2023 sono stati formati in 4.500 tra richiedenti asilo e rifugiati. Nello stesso periodo di tempo, grazie all’incrocio della domanda con l’offerta fatto da Assolavoro, oltre 30 mila migranti hanno avuto accesso a una occupazione con la retribuzione e i diritti tipici del lavoro dipendente.
C’è poi il programma Welcome dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite, che ha avviato in Italia oltre 30 mila itinerari di inclusione lavorativa in 7 anni. Nel 2022 hanno aderito 167 imprese, e hanno dato un’occupazione a 9.300 migranti, principalmente nel settore alberghiero e ristorazione (il 23%), nelle attività manifatturiere (22%), e in quello delle costruzioni (7%). In sostanza: le aziende hanno bisogno di lavoratori per mestieri che gli italiani non vogliono più fare? O se li vanno a cercare uno per uno e se li formano, oppure si appoggiano alle associazioni che cercano di fare incontrare domanda e offerta, ma dentro a un sistema che invece di agevolare, ostacola. Infatti i numeri di Unioncamere parlano da soli. E la conseguenza della mancanza di un piano organico per l’ingresso nel mondo nel lavoro dei migranti e dei richiedenti asilo favorisce solo il mercato del lavoro illegale, con un danno per l’intera società.
Il modello tedesco
Anche in Germania le aziende hanno un enorme fabbisogno di manodopera, ma si sono organizzati in modo totalmente differente: rifugiati e richiedenti asilo, a partire da 3 mesi dall’arrivo sul suolo tedesco, partecipano all’ Ausbildung, il sistema di formazione professionale tedesco che dura dai due ai tre anni e mezzo e prepara per 330 professioni con un costo a tirocinante di 15.300 euro all’anno. Una spesa sostenuta quasi interamente dalle imprese private, mentre lo Stato contribuisce con 600 euro. Oggi sono in 40.329 i partecipanti a questo programma. Previsto anche un Ausbildungsduldung, un permesso speciale che consente di rimanere in Germania per la durata della formazione e potenzialmente più a lungo.
Quanto paga la formazione
Non tenere i migranti parcheggiati nel nulla pagherebbe anche in Italia. Tra il dicembre 2019 e il luglio 2021, all’interno del progetto Forwork – finanziato dalla Commissione Europea, coordinato dall’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (soppressa il 1° marzo 2024) insieme con la fondazione Debenedetti – sono reclutati nei centri di prima accoglienza del Piemonte 1.262 richiedenti asilo. Metà di loro vengono inseriti in corsi di 20 ore con formatori che li aiutano a preparare un curriculum per valorizzare le loro competenze, presentarlo e entrare in contatto con potenziali datori di lavoro. L’altra metà, come d’uso, non viene coinvolta in alcun progetto. I partecipanti sono per il 77% maschi, con un’età media di 27 anni, che hanno frequentato 9 anni di scuola nel loro Paese d’origine (Asia e Africa per la quasi totalità dei casi).
A distanza di un anno e mezzo l’esito è questo: il 50% di chi ha seguito il corso si è inserito nel mondo del lavoro, contro il 30% degli altri.