la Repubblica, 7 aprile 2024
Ue, in salita la rielezione di Ursula
C’ è qualcosa di nuovo a Bruxelles. Inchieste imbarazzanti, attacchi politici, nomine contestate e uno scenario geopolitico di inedite difficoltà per l’Unione Europea stanno complicando la corsa di Ursula von der Leyen ad un secondo mandato alla guida della Commissione Europea, aprendo lo scenario a possibili alternative.
Sulla carta von der Leyen non potrebbe essere più forte e sembra avere la riconferma in pugno: ha guidato la Commissione oltre la tempesta del Covid, ha siglato il Green Deal su innovazione e clima, è la candidata ufficiale del Partito popolare europeo (Ppe) probabile vincitore delle elezioni di giugno ed ha siglato importanti intese per frenare il flusso di migranti da Tunisia ed Egitto, cementando un accordo personale e politico con i conservatori europei di Giorgia Meloni che promettono di allargare ulteriormente la coalizione multipartito che le garantì il voto di fiducia cinque anni fa.
Ma a ben vedere anche gli ostacoli sono molti. La decisione dell’European Public Prosecutor Office (Eppo) di indagare sullo scambio di messaggi fra von der Leyen e il ceo di Pfizer, Albert Bourla, durante l’emergenza Covid rafforza i sospetti della Procura di Liegi sul numero dei vaccini acquistati per il semplice motivo che nel 2023 sono rimaste inutilizzate dosi per circa 4 miliardi di euro.
lcontinua a pagina 23
segue dalla prima paginaEssere la candidata ufficiale del Ppe non ha impedito ai suoi compagni di partito di contestare aspramente nell’emiciclo di Strasburgo i 10 miliardi di euro di aiuti promessi all’Ungheria di Viktor Orbán per ottenere in cambio l’assenso ai negoziati per l’adesione di Kiev all’Ue.
Ed in realtà proprio la decisione del Ppe di sceglierla per la guida della nuova Commissione l’ha trasformata in una candidata di parte, complicando di molto il tentativo di creare attorno a lei un’ampia coalizione simile a quella che la sostenne cinque anni fa proprio perché venne considerata una outsider.
Se a questo aggiungiamo che la rivolta dei trattori è stata, in più Paesi Ue, una sorta di movimento di piazza contro il suo Green Deal, e che aver scelto due suoi stretti collaboratori alla Commissione per guidare la campagna elettorale la espone alle accuse di conflitto di interessi, non è difficile arrivare alla conclusione che Ursula appare assai vulnerabile. Non a caso perfino il recente viaggio in Egitto sul fronte migranti è finito nella bufera a causa dei 200 milioni di euro – in un pacchetto di 7,5 miliardi – garantiti al presidente Abdel Fattah Al-Sisi per bloccare le partenze dei profughi da coste dove i trafficanti di esseri umani sono in realtà quasi del tutto inattivi.
Ma non è tutto perché ciò che più ostacola il percorso di Ursula von der Leyen verso un secondo mandato è il crescente timore in più capitali e partiti – da Parigi a Berlino – che lei non sia il leader più adatto per affrontare uno scenario geopolitico che può vedere l’Unione Europea stretta fra la guerra di Putin ed un’America più isolazionista guidata da Trump. Ovvero, in una situazione di difficoltà strategica mai affrontata dalla firma dei Trattati di Roma nel 1957.
È proprio questo orizzonte di forte instabilità che spinge in particolare l’Eliseo a guardare con interesse all’ipotesi di un leader di esperienza sul palcoscenico globale – ad esempio, Mario Draghi – così come molte voci influenti dentro la Cdu tedesca a sostenere la necessità di unpresidente di Commissione capace di affrontare i rischi di guerra per l’Europa.
Se nel 2019 Ursula von der Leyen interpretava la necessità di un’Ue impegnata a crescere su innovazione e difesa del clima adesso l’urgenza è invece di avere un leader con sufficiente esperienza e determinazione per rafforzare le istituzioni comuni e guidare un nuovo allargamento ad Est affrontando i pericoli che vengono da Mosca e le incertezze si generano da Washington.
E sul fronte della sicurezza europea Ursula, pur ex ministro della Difesa a Berlino, ha mostrato delle fragilità: prima non riuscendo a sfruttare nel 2022 l’occasione dell’accordo Strategic Compass per accelerare la costruzione della difesa comune, e poi proponendo nelle ultime settimane di creare nella Commissione un responsabile per i temi della sicurezza con una evidente mossa a sfondo elettorale.
Il risultato è l’immagine di una presidente della Commissione Ue che, pur con tutti i meriti guadagnati sul campo negli ultimi cinque anni, appare non in grado di guidare l’Europa ad affrontare rischi senza precedenti per la propria sicurezza. A cominciare dalla necessità di difendere i Paesi membri dalle “interferenze maligne” di Russia e Cina, accomunate dalla volontà di indebolire l’Unione Europea per perseguire i rispettivi interessi su scala planetaria.
Ecco perché a due mesi dal voto la corsa di Ursula al rinnovo della guida della Commissione appare tutta insalita, disseminata di ostacoli e imprevisti. Obbligando anche i suoi più stretti alleati politici, a cominciare dalla premier italiana Giorgia Meloni, a ripensare frettolose tattiche elettorali per fare i conti con un’Europa divenuta campo di battaglia delle sfide globali fra le grandi potenze del XXI secolo.
Saranno le prossime settimane a dirci come Ursula von der Leyen tenterà di superare questi ostacoli ma possono esserci pochi dubbi sul fatto che si sono già create le premesse per candidati alternativi alla guida della Commissione Ue.