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 2024  aprile 04 Giovedì calendario

Intervista al becchino Taffo

ROMA – Bisogna arrivare al 27esimo chilometro della Pontina, alle porte di Pomezia, per trovare il quartier generale della Taffo, un cubo antracite con gli infissi rosso fuoco. È qui che lavorano Luciano, «il patron», sua moglie Luana, il figlio Daniele, «il secchione che tiene in ordine i conti», e Alessandro, il primogenito: «Io sono il creativo – spiega – curo le campagne Taffo».
Casa e bottega.
«Anche se non siamo più solo una famiglia, abbiamo 60 collaboratori e quando si è nel business ci sono divergenze quotidiane. La sera però torno a casa e rimetto tutto a posto. Io e mio fratello viviamo in simbiosi, sfioriamo il ridicolo».
In che senso?
«Abbiamo due case nello stesso palazzo, due auto uguali, ci siamo sposati due sorelle e abbiamo due figli a testa. Ah, anche lo stesso tatuaggio».
Quale?
«Due cavalieri templari sulle braccia, sono i simboli delle grandi lotte che ho fatto al suo fianco».
Quali lotte?
«La famiglia di mio padre ha dilapidato un patrimonio costruito dai miei nonni per i litigi. Con gli zii ci sono state liti furibonde, denunce, nomi copiati. Due anni fa abbiamo firmato l’ultimo atto della scissione e abbiamo creato il brand Exequia».
Perché si è commosso?
«Perché mio padre ha sofferto tanto, erano i suoi fratelli. Ma ci siamo rialzati e abbiamo vinto. Come il cavaliere templare».
Suo padre è finito in passato ai domiciliari per l’inchiesta sul “Caro estinto”.
«Anche mio fratello. Mesi e mesi di indagini per corruzione con perquisizioni in casa, in azienda, agenti che bussavano all’alba, cimici, poi ne siamo usciti con assoluzioni e prescrizioni. Un incubo».
Quando ha iniziato questo lavoro?
«A 16 anni. Non eravamo benestanti ma io volevo godermi la vita e per guadagnare qualche soldino trasportavo a spalla le bare, pulivo le auto funebri. L’estate gli altri andavano in vacanza, io, visto che per il caldo si moriva di più, lavoravo».
Com’era da piccoli avere genitori e nonni nelle pompe funebri?
«Ero bullizzato. Quando papà mi accompagnava a scuola al Tuscolano dicevano “è arrivato il becchino”. Sono cresciuto con l’idea di dover riscattare me stesso e questo lavoro. Vedevo papà che usciva la mattina e tornava la sera con un carico di responsabilità grosso perché un funerale non ammette repliche».
Adesso cosa dicono ai suoi figli?
«Vengo accerchiato dalle maestre, dagli amichetti, dai genitori che mi chiedono i gadget, una tazza, un ombrello col simbolo della Taffo».
Ai suoi figli augura di fare lo stesso mestiere?
«Mi piacerebbe vederli in azienda, nelle varie aree d’Italia. Però questo lavoro mi ha dato tanto e tolto tanto. Sto sempre fuori casa, rivedo oggi i miei ragazzi grandi e non so come sia passato tutto questo tempo. A loro vorrei insegnare soprattutto che si deve lottare, a volte si cade ma ci si deve rialzare. Gli rimprovero questo: se si sta fermi a braccia conserte nessuno ti redarguisce ma non puoi neanche dire c’ho provato.
È scaramantico?
«Moltissimo! Quando uno mi dice “ti vedo in forma”, gli rispondo “Oddio non mi pensare, lasciami da solo”».
Ha portafortuna?
«Un cornetto attaccato alle chiavi. E una croce al collo. Sono cristiano praticante».
Come le è venuto in mente di ridere della morte?
«Un po’ per allontanarla. E un po’ perché il mondo dell’impresa funebre nel Lazio è deprimente: ci si batte su Google Adwords e sui mega cartelloni. Noi abbiamo avuto momenti bui e per farci notare ci siamo inventati un sistema di comunicazione che facesse clamore, che ci facesse criticare e osannare».
La sua campagna preferita?
«La prima, del 2011: un’urna da cui escono sabbia e granchietti e la scritta “pretendi una certezza in più”. Era per la cremazione certificata».
Ce n’è una di cui si è pentito?
«Pentito mai, qualche volta abbiamo esagerato. Quella con più critiche è dei gennaio 2014: una cornetta del telefono penzolante, come in un film horror, e il titolo “vi aiuteremo a farlo a pezzi”. Parlavamo del funerale a rate, la gente ha pensato che volessimo fare a pezzi i defunti».
Cremate criceti, create anelli con le ceneri dei cari. Qual è la richiesta più assurda che vi hanno fatto?
«Dipingere una bara di rosso per un defunto del Partito comunista».
Dicono che voi siate di sinistra.
«Qui c’è chi vota di tutto, ma certo abbiamo alcuni ideali e valori. Sui social parliamo una lingua che è più di sinistra che di destra, ma in parte dipende da scelte di marketing».
L’ultimo funerale vip?
«Sandra Milo. Ma abbiamo seppellito persone comuni, politici, sportivi, attori, criminali. Quelli da cui immagini un saluto importante di solito se ne vanno nell’intimità, chi ha vissuto una vita modesta vuole l’addio in grande stile e ha già messo i soldi da parte. Roma è questo».
Il suo funerale come sarà?
«Io sono un po’ gitano, vorrei andarmene con i botti».
Ha paura della morte?
«L’ho avuta, per molto tempo, e ogni tanto ritorna. Ho avuto bisogno di andare in terapia per liberarmi dalle ansie, ero uscito un po’ fuoristrada. Ora penso che chi ne ha il terrore muore un po’ tutti i giorni. So di non essere immortale, ma voglio vivere senza quest’angoscia, come se fossi un po’ invulnerabile».