il Giornale, 4 aprile 2024
Carbonara 70
Andrea Cuomo
«S paghetti 400 g, pancetta 150 g, gruviera 100 g, uno spicchio d’aglio, due uova, sale, pepe». A leggerla oggi la prima ricetta ufficiale della Carbonara, pubblicata nell’agosto del 1954 dalla Cucina Italiana, qualcuno, dalle parti di Roma, potrebbe mettere mano al sampietrino più vicino.
Eppure è così. La Carbonara, che domani sarà celebrata in tutto il mondo, sta per compiere settant’anni (almeno nella sua edizione italiana) e scoppia di salute. Ma scavando nella sua infanzia si scopre che è una signora piuttosto menzognera, le sue radici sono molto differenti da quello per cui vuole farsi passare oggi, un piatto gourmet codificato rigorosamente, con pochi e marginali elementi di disturbo: guanciale reso croccante, uova sbattute (c’è chi usa solo il tuorlo, ma è consentito un albume ogni due), pecorino romano Dop (un «taglio» con Parmigiano sarebbe in realtà vietato ma su questo si chiude un occhio) e pepe (spesso tostato intero). Per la pasta, c’è una moderata libertà di culto: spaghetti, i romanissimi tonnarelli, rigatoni o mezze maniche. La cottura, che ve lo dico a fa’, al dente, molto al dente.
Regole create tutto sommato di recente, e frutto di una appropriazione romana. In riva al Tevere la Carbonara è considerata la leader dei Fab Four delle paste alla romana con l’Amatriciana, la Cacio& Pepe e la sottovalutata Gricia. Ma è vero che fino a due o tre decenni fa la Carbonara non era motivo di dibattito, non era ancora un religione monoteista. Ciascuno la faceva con quello che trovava (il guanciale anni fa a Milano beato chi lo trovava), o come era abituato. Negli anni Settanta e Ottanta era uso metterci un po’ di panna, scorciatoia per avere quella cremosità che altrimenti è faticoso e incerto frutto di un attento dosaggio degli ingredienti a creare la cosiddetta «carbocrema» e di un sapiente gioco di polso al momento della mantecatura.
Ma quand’è esattamente che la Carbonara è diventata ideologia, dividendo famiglie e rovinando amicizie decennali? Definire una data è impossibile, ma secondo lo storico dell’alimentazione Alberto Grandi, un mantovano che insegna Storia dell’Alimentazione all’università di Parma, autore di libri dai titoli piuttosto espliciti come Denominazione di Origine Inventata e La Cucina Italiana non Esiste, a un certo punto alla cucina è stata affidata la gravosa mansione di sostenere l’identità italiana un po’ a corto di altri argomenti. E la Carbonara, assieme alla pizza, è diventata le profetessa edibile di questo culto per una tradizione tutto sommato inventata. O quanto meno un po’ pasticciata. Un atto di ingegneria gastronomia di indubbio successo che però ha tradito il principio per cui le cucine, e quella italiana prima fra tutte, sono un repertorio vivente recalcitrante alla cristallizzazione, frutto di contaminazioni, incroci di culture, viaggi, trasformazioni sociali, tecnologiche ed economiche. Perché alla fine una cucina-museo è una cucina morta.
Malgrado questo, le reazioni di chi si imbatte in rete in una ricetta twist non sono sempre delle più urbane. Qualche mese fa al gastronomo Luca Sacchi venne il capriccio di realizzare la ricetta del 1954, quella con cui abbiamo aperto questo articolo, e di postare sui social il video in cui si macchiava di apostasia culinaria. Pensava di fare, il tapino, un’operazione storica e filologica, finì bersagliato dagli insulti degli hater de noantri. Ci fu anche chi gli augurò la morte. Come il guanciale nella Carbonara: la morte sua