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 2024  aprile 04 Giovedì calendario

Intervista a Tronchetti Provera


Dottor Marco Tronchetti Provera, anche se in modo più tribolato che in passato e con divisioni che potevano essere evitate, da poche ore la Confindustria ha il suo nuovo presidente. Si lascia alle spalle un periodo non esaltante, durante il quale l’associazione non ha brillato per compattezza né per lungimiranza. In quali ruoli ora può recuperare credibilità agli occhi del Paese?
«Vedo un duplice ruolo. Il primo è in una più assidua collaborazione con il governo per rilanciare la competitività del Paese, deve perciò essere autorevole, competente e in grado di dialogare con le autorità e le parti sociali, mettendo in chiaro da subito le priorità».
Maurizio Landini ha già indicato le sue priorità: cancellare il job act e ripristinare l’articolo 18. Quali potrebbero essere quelle di Confindustria?
«Rafforzare investimenti e produttività, semplificando la macchina burocratica e amministrativa come previsto nel Pnrr».
E il secondo ruolo?
«Cercare di capire che cosa accade a Bruxelles e come poter interagire con il governo, le istituzioni e le associazioni industriali europee. L’Europa ha perso competitività nei confronti di Cina e Stati Uniti anche perché abbiamo un serio problema di approvvigionamenti delle materie prime e siamo fortemente carenti sul fronte delle nuove tecnologie, in particolare in tema di intelligenza artificiale, dove c’è un abisso di conoscenze e di strutture operative che ci divide da loro. È perciò necessario che gli interlocutori che vivono sui mercati portino il loro contributo».
Non basta quanto sta facendo la commissione guidata da Mario Draghi?
«Certamente aiuta, ma io penso a un contributo strutturale che consenta all’Europa di tornare centrale. Per questo credo sia giunto il tempo che Confindustria collabori di più con le altre organizzazioni imprenditoriali europee. Qui ci giochiamo il futuro dell’Unione».
Dieci mesi fa Pirelli aveva un serio problema con l’azionista cinese che sembrava volesse spostare a Pechino il centro nevralgico del gruppo. Il governo è sceso in campo attivando il golden power. Con quali risultati?
«Grazie a quel decreto la situazione in Pirelli è tornata nella posizione in cui era all’origine degli accordi. In altre parole, piena autonomia del management e tutela delle sue tecnologie, condizioni che riflettono quanto già dispone lo statuto che prevede l’impossibilità di spostare la sede da Milano se non con il 90% dei voti a favore e la non trasferibilità delle tecnologie fuori dell’azienda».
Come sono nate le criticità che hanno provocato l’intervento del governo?
«Nel tempo la situazione era mutata in quanto l’azionista originale era cambiato in seguito alla fusione con un altro gruppo a controllo statale che aveva messo in discussione lo spirito delle regole originali. Con il decreto del governo si è tornati a quello spirito».
Siamo certi che non ci saranno nuovi cambi di rotta? Altri gruppi, penso a Stellantis, avevano dato rassicurazioni sulla loro italianità. Abbiamo visto come è andata a finire.
«Il decreto del governo ha sancito una situazione definitiva. Inoltre, sono personalmente garante del fatto che Mtp e Camfin, gli azionisti italiani, rimarranno nel tempo: la nostra è una posizione stabile da oltre 35 anni».
A proposito dei rapporti tra Europa e Cina, tensioni e conflitti non mancano. Quanto è necessario in questa fase mantenere rapporti di scambio con Pechino?
«Purché gestito nel rispetto delle regole europee, ogni investimento cinese è benvenuto. Anzi, sul tema l’Europa dovrebbe avere una strategia mirata perché i rapporti con la Cina sono fondamentali per la crescita globale. Basta che siano rispettate le regole del gioco».
Come giudica l’attività del governo Meloni a diciotto mesi dall’insediamento?
«L’economia italiana ha reagito alla pandemia e ai successivi choc meglio di gran parte dei paesi europei. Ciò, malgrado il più importante partner commerciale, la Germania, sia finito in recessione: vuol dire che c’è vitalità tra le nostre imprese, anche grazie al Pnrr. Di recente sono emersi fabbisogni finanziari superiori al previsto, rendendo più complessa la situazione. Di fronte a un sentiero diventato più stretto, va dato atto al governo di aver agito in maniera da non compromettere l’obiettivo. La mia valutazione è perciò positiva».
Tra due mesi tutti gli europei saranno chiamati al voto. Che cosa ci stiamo giocando?
«Ci stiamo giocando quello che non abbiamo detto ai cittadini: il futuro. Con 440 milioni di consumatori l’Europa è uno dei più grandi mercati del mondo, ma ha delle fragilità legate alla carenza di materie prime e al fatto che non è più protagonista negli equilibri geopolitici, sempre più determinanti ai fini della crescita e della sicurezza. Tutto ciò non viene chiarito. Queste elezioni, in tutta Europa stanno diventando una proxy locale, si guarda più agli equilibri nazionali che al destino dell’Unione».
Colpa di una politica sempre troppo concentrata sul proprio ombelico?
«Colpa del mancato racconto della verità. Questa situazione doveva essere descritta meglio da Bruxelles, dal Consiglio Ue, dai capi di governo, dalla Commissione. L’Europarlamento doveva lanciare ai cittadini un segnale chiaro sui rischi che corre l’Europa».
Che cosa si aspetta dal prossimo voto europeo?
«Quale che sia lo schieramento politico che prevarrà mi aspetto che si prenda atto di uno scenario globale che noi stiamo subendo e sul quale non possiamo incidere. Basta vedere il nostro ruolo di fronte alle due guerre che si stanno combattendo sull’uscio di casa. In questi anni abbiamo avuto la fortuna di vivere sotto l’ombrello americano e non abbiamo colto che con la caduta del Muro di Berlino non era finita la storia, ma ne era iniziata una nuova. Non ci siamo accorti che la valenza strategica dell’Europa mutava agli occhi degli Stati Uniti perché lo scenario stava cambiando. Agli occhi degli americani il confine prima era il Muro, dopo la caduta lo sono diventate la Polonia, l’Estonia, la Finlandia. Non a caso il presidente Biden, invece che a Bruxelles si è recato a Varsavia quando è venuto in Europa».
Come può l’Europa recuperare centralità? Che cosa dovrebbero promettere agli elettori dell’Unione i diversi candidati al nuovo Parlamento?
«Che intendono fare sul serio. Prendiamo l’intelligenza artificiale. Non abbiamo un cloud europeo e siamo totalmente dipendenti. Di fronte all’esplosione di ChatGpt, Stati Uniti, Cina ed Europa hanno introdotto le prime regole, ciascun Paese a misura della propria governance. Ma mentre l’Europa ha messo sul piatto sette miliardi di euro per lo sviluppo del settore, la sola OpenAI ha annunciato che raccoglierà sette trilioni di dollari per rivoluzionare i modelli di business attraverso l’intelligenza artificiale. Come si può pensare di competere con quelle grandezze? In pochi mesi il mondo è cambiato e noi, pur avendo capacità, individui di grande genio, ottime università e giovani con visione, non siamo ancora riusciti a cogliere questa profonda trasformazione. La terra attorno a noi brucia da tempo e solo ora cominciamo a discutere di difesa comune».
Ucraina, Gaza, Mar Rosso: anche lei teme un’escalation della conflittualità?
«Nella mia non breve vita non ho mai vissuto una situazione a rischio come quella attuale. La debolezza dell’Europa, il non completamento dell’integrazione, temo possano arrivare a compromettere le tutele conquistate con fatica nel secolo breve, minando alla base una storia di democrazia che è un patrimonio universale. Per quanto il sistema europeo sia imperfetto, è però un unicum che non bisogna disperdere: ne va dell’equilibrio mondiale».
Che cosa suggerirebbe per mettere fine alle follie cui stiamo assistendo?
«I suggerimenti in un momento come questo valgono poco, anzi rischiano di aggiungere confusione. Uno può sperare che avvengano certe cose, può auspicarle. Garantire la pace in Europa e il rispetto dei valori che sono stati pagati a caro prezzo dalle generazioni che ci hanno preceduto, deve diventare la missione della nuova Commissione europea. La libertà dalla guerra non è un dono del cielo, va conquistata anche con la capacità di difendersi, con la capacità di competere. Devi essere forte, credibile, un esercito europeo, una politica estera europea sono necessari, ma bisogna essere coscienti della necessità di agire insieme, investendo quel che è necessario anche con debito comune. Airbus è un caso di cooperazione europea di grande successo, replichiamolo su vari fronti».
A proposito, se i tassi sono bassi gli imprenditori si sentono più incoraggiati a investire. In Europa il taglio promesso dovrebbe arrivare a giugno. Non è un po’ tardivo?
«Una manovra puramente monetaria è la meno adatta per uscire dalla recessione. Con la crescita dell’inflazione l’aumento dei tassi avrebbe dovuto essere accompagnato da un’immissione di liquidità a sostegno della crescita, esattamente come è stato fatto negli Stati Uniti con gli oltre 700 miliardi dell’IRA. Non è un caso se oltreoceano la ripresa appare decisamente più dinamica».
Lei ha dichiarato che dalle crisi si esce soltanto con la crescita, non con le restrizioni. Un’accusa diretta alla Bce?
«La Banca Centrale Europea ha il mandato statutario di garantire il controllo dell’inflazione. Si dovrebbe cambiare la regola creando una relazione tra la politica monetaria e quella economica. D’altro canto, con una Europa che guarda solo all’implementazione delle regole e che esalta la burocrazia, non si va lontano. Di questo dovrebbe occuparsi il prossimo Europarlamento. Bisogna mettere in comune il bilancio, trasformare l’Unione in una Federazione, solo così l’Europa reggerà ritrovando la centralità di un tempo».