Corriere della Sera, 4 aprile 2024
Guerre senza confini
La sovranità territoriale, uno dei feticci dello Stato-Nazione, è ormai abitualmente violata, ignorata, calpestata. I confini, simbolo di quella sovranità, vengono varcati da carri armati e proiettili d’artiglieria, scavalcati dai raid aerei e dai droni, «bucati» con le scorribande e gli atti di terrorismo. L’armata russa invade il territorio dell’Ucraina e ne occupa una cospicua parte: oggi nessuno saprebbe dire quale sia il confine tra i due Stati, cambia ogni giorno sul campo di battaglia. Le forze armate d‘Israele attaccano l’ambasciata di Teheran, territorio iraniano, nel territorio della Siria. L’esercito di Hamas penetra la frontiera, entra in Israele e uccide tutti quelli che incontra, civili e militari indifferentemente. Tsahal, l’armata di difesa israeliana, invade Gaza con un altissimo costo di vite umane, anche di tanti innocenti. Il segno del nostro tempo, cominciato nel 2001 con l’attacco di Al Qaeda all’America e proseguito con l’invasione americana dell’Iraq, è la fine di ogni legalità internazionale. Tutto ciò sta banalizzando la guerra. Nel Novecento il conflitto armato era l’estrema risorsa della sovranità, la sua propaggine finale e definitiva: chi vedeva violata la propria, dichiarava guerra all’avversario. Il più forte vinceva, e stabiliva alle sue condizioni la nuova legalità internazionale. Dopo il secondo terribile conflitto mondiale, scoppiato – ricordiamolo – in seguito alla violazione dell’integrità territoriale della Polonia, si tentò di cambiare questa situazione.
Si provò a dare un nuovo ordine al mondo che evitasse la guerra «come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», per dirla con le parole della nostra Costituzione. Quel tentativo ha sempre funzionato poco e male, ma ora è del tutto fallito: nessuno ascolta più l’Onu, ammesso che qualche volta riesca a dire qualcosa.
Eppure, paradossalmente, questa nuova realtà circoscrive – o almeno ha finora circoscritto – le guerre. Nel secolo scorso, per molto meno dell’assassinio mirato di un generale iraniano o dell’annessione forzata di territori ucraini, sarebbe stata dichiarata una guerra tra potenze: furono l’attentato di Sarajevo e lo «stupro del Belgio» a innescare e far divampare l’immane incendio della Grande Guerra. Ora, invece, alla violazione di sovranità si risponde con minacce, ritorsioni, campagne di terrorismo. Perfino una vera e propria invasione in grande stile è stata pudicamente chiamata «operazione speciale». Così la guerra è ovunque, ma «a pezzi»: non si unifica in un conflitto generale tra Stati.
Non è solo ipocrisia: è un modo nuovo e pericoloso di rendere accettabile l’uso della violenza nelle relazioni internazionali. È come se gli Stati ora si combattessero con quello stesso metodo dei conflitti «asimmetrici» che all’inizio del secolo era sembrata prerogativa dei gruppi terroristici. In fin dei conti Israele è in guerra con due organizzazioni, per dir così, non governative, come Hamas ed Hezbollah. In territorio russo combattono dei sedicenti «partigiani russi» filo-ucraini. E quando Mosca ha subito un attentato dell’Isis, ne ha ritorto la colpa sull’avversario in Ucraina.
Distinguere tra guerra e terrorismo è così sempre più difficile. Questo però rende anche la guerra più facile. La mitizzazione della sovranità si è tradotta nel suo contrario: ne ha reso fragili ed evanescenti i «sacri confini».
L’ambiguità in cui vive l’Europa è la migliore testimonianza di questa trasformazione. Da un lato, è l’area del mondo che più ha saputo apprendere le lezioni del suo sanguinoso passato, risolvendo il problema dell’indebolimento delle frontiere con il loro progressivo dissolvimento. Così oggi è il regno della legalità, l’apoteosi dello stato di diritto, il luogo dove si decide o per consenso o per sentenze, mai con la forza. Mentre in Russia l’autocrate è intoccabile e gli oppositori muoiono a decine, qui gli oppositori adiscono la Procura europea, che può mettere sotto inchiesta anche il capo della Commissione per degli sms che non si trovano più.
Ma, d’altra parte, l’Europa è disarmata. Non ha i mezzi, le forze, il coordinamento per potersi un giorno difendere da sola senza l’aiuto americano. Che, finché c’è, ci toglie le castagne dal fuoco; ma se un giorno finisse – e finirà prima o poi – ci lascerà da soli alle prese con la difesa dei confini esterni, quelli che condividiamo con l’Ucraina.
Alcide De Gasperi, uno che le frontiere seppe proteggerle a Trieste ma anche dissolverle in Alto Adige, sapeva che la neutralità è possibile solo a due condizioni: o è difesa dalle armi o dalla geografia. Non abbiamo né l’una né l’altra. Ed è ancor più vero oggi, di fronte alla «banalità» di guerre senza più confini.